LICEO “EINSTEIN” DI MILANO: MATURITA’ 1972, TERZA COMMISSIONE

Molti si sognano gli esami di maturità per tutta la vita, io mai. Secondo Freud i sogni sono riemersioni di materiale psichico depositato nell’inconscio: ma, nel mio caso, quel mese di luglio 1972 nell’inconscio non ci finirà mai e rimarrà sempre ben presente nei miei ricordi. Sono andato a recuperare in mansarda il ritaglio del “Corriere della Sera” del 5 agosto 1972, che a quella sessione d’esame dedicava un lungo articolo intitolato “Comincia la guerra dei ricorsi per i ventinove alunni respinti”. Se non erro si trattava di sette della mia quinta (sezione E) e di undici della F, gli altri saranno stati privatisti che allora, diversamente da oggi, non potevano farsi tranquillamente gli esami nelle loro scuolette.
Il numero dei bocciati era comunque esorbitante ed anomalo, considerando che, dopo la riforma del 1969, l’esame era diventato molto più facile. Due scritti e orali su due sole materie: la prima scelta dal candidato e la seconda (formalmente) dalla commissione. In realtà il “membro interno” (uno solo dei sei componenti) aveva l’elenco dei “desiderata” degli studenti e normalmente era in grado di assicurare la possibilità di fare l’orale su due materie scelte dallo studente.
La mia quinta non era una gran classe e non aveva precedenti brillanti. Infatti in terza, su 36 che eravamo, ben 16 erano stati bocciati fra giugno e settembre, dopo un anno in cui il nostro comportamento era stato spesso semplicemente inqualificabile e diversi miei compagni erano stati gratificati del sette in condotta. Grazie a questo inevitabile bagno di sangue, in quarta diventammo una classe quasi normale, ingentilita (e abbellita) dall’inserimento di due belle ragazze provenienti da altri licei che portarono la popolazione femminile della classe a ben quattro unità.
Tutti in quinta, dunque, nell’anno scolastico 1971/72: e in quinta (esattamente come adesso, anzi peggio) non si faceva un tubo fino ad aprile, quando il Ministero comunicava le quattro materie d’esame, fra cui se ne sceglievano due e si cominciava finalmente a studiare.
Da parte mia, ero uno studente appassionato, ma selettivo e molto sensibile alle attenzioni e alle gratificazioni dei docenti. Le insegnanti di lettere, matematica ed inglese travedevano per me, mentre il nuovo professore di filosofia riteneva che della sua materia non capissi quasi nulla; la professoressa di scienze mi sopportava a malapena e quello di disegno (Architetto Palazzolo Mario) per me semplicemente non esisteva. Normale, dunque, che la mia pagella fosse molto contrastata: otto in matematica e cinque in filosofia, nove in inglese e cinque in disegno. La negligenza di alcune materie, evidenziata nel giudizio di ammissione all’esame, mi sarebbe costata i pieni voti.
Ma veniamo agli esami. Presidente della commissione era la Prof. Franca Saini di Monza; i commissari erano il Prof. Viva di lettere (proveniente da Lecce), il prof. Maggi di filosofia (romano) e la Prof.ssa Ravagnan, di matematica, proveniente da Torino. Membro interno, la nostra Prof. Croci, di lettere. L’unico membro interno, nell’esame di allora, aveva un compito delicatissimo, in quanto doveva gestire da solo quell’attività diplomatica che oggi si può svolgere, in squadra, a cura di ben tre commissari interni.
La prima prova (italiano, come oggi) proponeva quattro temi, fra cui scelsi quello sull’Unione Europea, che io bollai come una sorta di “internazionale capitalista”, voluta dai governi e non dai popoli. In tempi recenti, più di un referendum popolare ha confortato la mia tesi di allora. So che l’elaborato ebbe un’ottima valutazione.
Alla prova di matematica non fu consentita la libera scelta del posto. Si passava dal tavolo della presidenza per l’appello e un commissario indicava il banco a cui sedersi: un banco sì, un banco no, in modo da mescolare le due classi. Io, non so come, riuscii a sedermi, non individuato, fra le mie compagne Elvetico ed Esposti, che quella mattina avrebbero fatto di tutto per me. Ad entrambe le prove scritte, sorretto da presunzione ed incoscienza, avevo portato solo la penna nera. Niente vocabolario, niente formulari (solo un foglietto con le formule di postaferesi, che logicamente non servì a nulla).
Il compito di matematica proponeva quattro temi fra cui se ne dovevano scegliere due. Io ne feci tre e aiutai nel contempo le mie due compagne.
La tensione all’interno della commissione incominciò durante la correzione degli scritti; la Prof. Croci (irritualmente) ce ne teneva al corrente in lunghe telefonate. Formalmente alle singole prove non si davano voti, ma giudizi: l’unico voto ufficiale era quello finale; ma ovviamente per praticità ogni prova scritta veniva letta e valutata con un voto numerico. Io ebbi otto in italiano e nove in matematica, ma tanto per i miei compagni quanto per i colleghi del corso F grandinarono le insufficienze. La Prof. Croci dava fondo alle risorse del suo elegante savoir faire, mentre il membro interno della F (il Prof. Umberto Diotti, poi divenuto preside di liceo classico e oggi in pensione) di carattere meno diplomatico, litigava a muso duro.
Agli orali, soprattutto all’inizio (quando tutti vanno a sentire e l’ansia di chi è interrogato aumenta), la tensione era alle stelle: c’era chi tremava, chi scoppiava in lacrime nel bel mezzo del colloquio, chi ammutoliva. Io sostenni la prova orale il 26 luglio, a tre giorni dalla conclusione della sessione. Portavo italiano e avevo avuto inglese, la seconda materia che avevo chiesto. In italiano non fui particolarmente brillante (la presidente mi fece commentare “Il gelsomino notturno” di Pascoli e il commissario di italiano un brano dei “Sepolcri”: raramente si avventurava oltre il Foscolo), mentre in inglese potei maramaldeggiare su una malcapitata commissaria supplente che interrogava aiutandosi con il libro sperto sotto il banco.
Mentre esponevo torrenzialmente Thomas Stearns Eliot, la poverina continuò a ripetere “yes, yes, enough, enough…” fino a quando finalmente allentai la morsa.
Venne poi lo scrutinio finale, con altre liti e battaglie: situazione ulteriormente complicata dal nostro esimio signor preside Enrico Georgiacodis che, caso vuole, era stato presidente di commissione nel Liceo di Monza da cui proveniva la presidente della nostra commissione e… aveva lasciato il segno. Sicché noi diventammo vittime dell’inevitabile ritorsione. Io ci rimisi il 60/60 (poco male: nel resto della mia vita non ha affatto pesato), ma molti altri furono condannati a un altro anno di Liceo e i privatisti vennero sterminati. I ricorsi al Ministero produssero come effetto – vero Natale – il rifacimento degli orali per i bocciati di fine luglio, ma uno solo di essi riuscì a rovesciare il verdetto dell’estate.