La peste nera: di chi è la colpa?

Trionfo della Morte
Trionfo della morte, già a palazzo sclafani, galleria regionale di Palazzo Abbatellis, palermo (1446) , affresco staccato

Tra il 1347 e il 1348 la gente cominciò a morire di peste in modo rapidissimo. Gli uomini del tempo ritenevano il contagio manifestazione della collera divina e, come in tutte le stragi e le epidemie, il pensiero della morte si faceva sempre più presente nella vita dei cittadini. In questa atmosfera nasceva così l’esigenza di riuscire ad esorcizzare la paura della morte, che colpiva spesso in maniera improvvisa e brutale amici e familiari. Molti erano coloro che approfittavano del disagio comune per improvvisarsi indovini e stregoni e vendere filtri magici, unguenti e portafortuna, a loro detta in grado di allontanare il flagello della peste. Ma ciò non bastava. Come sempre a fronte delle grandi calamità della Storia, si sentiva il bisogno di attribuirne la causa a un popolo o a una comunità di persone, che fungevano appunto da “capro espiatorio”. La colpa questa volta ricadde sugli ebrei e sui lebbrosi. Indicati come “agenti di Satana”: erano accusati di inquinare le acque e avvelenare l’aria.
Ma perché prendersela proprio con gli ebrei?
Per capire, bisogna cercare l’origine dei conflitti tra cristiani ed ebrei. I giudei erano considerati innanzitutto gli “uccisori” di Cristo, in quanto questi fu giudicato e condannato da un tribunale ebraico. Le cose andarono poi peggiorando con il pontefice Urbano II durante le spedizioni delle crociate, quando il cristianesimo cominciò a essere ostile non solo all’islamismo, ma anche alle altre religioni con le quali era venuto in contatto.
Vi erano ovviamente anche motivazioni socio-economiche: gli ebrei svolgevano quelle attività finanziarie, come il prestito di denaro a interesse, che la chiesa riteneva moralmente sbagliate, ma che permettevano loro di esercitare una grossa concorrenza nei confronti dei mercanti e degli artigiani europei. Spesso gli stessi nobili si trovavano in difficoltà con il pagamento dei debiti e risultava comodo in quei casi un odio “strumentale” nei confronti degli ebrei. Dal 1347 quindi questo popolo si trovò flagellato sia dalla peste, sia dalle persecuzioni cristiane. Gli ebrei erano in poche parole “diversi” e risultava facile mettere il popolo contro di loro.
Ciò che però mi sembra importante cercare di capire è il perché sia necessario attribuire ingiustamente a una categoria ben precisa di persone la responsabilità della malattia. Spesso, come accadde anche nel XVII secolo con la peste di Milano, la necessità di un capro espiatorio, in quel caso i famosi “untori”, era finalizzata a nascondere la responsabilità di qualcun altro come lo stato, che aveva cercato di fingere che tutto andasse bene. Ma non credo che nel Trecento fosse ben chiaro chi avesse per primo sparso il contagio, quindi probabilmente il motivo era un altro. Dopo che la chiesa considerò eretiche le pratiche di stregoni e indovini, la gente si trovò “sola” a combattere per la propria vita e il pensiero della morte si faceva più vicino ogni volta che essa colpiva parenti e familiari. L’uomo si è da sempre sentito impotente nei confronti della natura e d’altronde è così, ma ciò era difficile da accettare. E’ difficile ammettere che l’unica cosa possibile è affidarsi alla provvidenza, quando si vedono persone care morire davanti ai propri occhi. Tutto ciò che sembrava lontano appare incredibilmente vicino e possibile. Ecco perché la necessità di un capro espiatorio: per cercare di ridurre un pericolo inarrestabile a una causa concreta che può essere sconfitta. La cosa è di certo poco razionale ma del resto, scrive anche un maestro yoga orientale: “La più sottile di tutte le afflizioni è l’attaccamento alla vita: anche l’uomo saggio ne è toccato”.