La peste nel XIV secolo

Tra il 1347 e il 1348 cominciò a svilupparsi in Europa una devastante epidemia, la peste, malattia trasmessa all’uomo attraverso la puntura delle pulci dei ratti.  La morte rapida ed inspiegabile di uomini, donne e bambini cagionò paura all’interno di molte popolazioni, poiché non si conoscevano le cause.

Questa grave malattia si presentò in tre modi differenti: la peste “bubbonica”, definita così perché si manifestava con ascessi e tumefazioni delle ghiandole inguinali e ascellari, quella “polmonare” che colpiva i polmoni e quella “setticemica”, che si manifestava con ampie emorragie che davano luogo a chiazze nere. (La peste polmonare non si manifestò in Europa, ma solo tra i minatori della regione della Manciuria).

Gli uomini del Trecento chiamarono la malattia peste nera o morte nera. Perché? Alcuni storici pensano che il termine si riferisse alle macchie provocate dalla peste setticemica. Altri ritengono che questa espressione oscura volesse semplicemente dire “terribile” o “senza scampo”.

Come reagirono gli uomini del Medioevo? Pensarono che questo terribile flagello manifestasse una collera divina. I medici ipotizzarono che la malattia fosse legata alla “corruzione dell’aria” e consigliavano alla popolazione di evitare l’aria al di sopra delle acque stagnanti e degli acquitrini, di eliminare i cumuli di sporcizia, di lavarsi molto spesso le mani utilizzando acqua e aceto e soprattutto di tenersi lontano dai malati.

La malattia ci fu probabilmente portata dai corrieri mongoli che percorrevano l’Asia centrale,  fino a raggiungere l’Europa,  facilitando il contagio attraverso i topi annidati nei sacchi di grano, e fu aggravata dall’assenza di un sistema fognario nelle città che offrivano un ambiente ideale i ratti ed i loro parassiti.

Si capì presto che la miglior convenzione consisteva nel chiudere le porte delle città ai viandanti ed ai mercanti forestieri. Fu così che la città di Milano riuscì a scampare al contagio.

Tuttavia i medici del Trecento, non poterono arrestare questa devastante epidemia: non avevano sufficienti conoscenze scientifiche e non disponevano di farmaci adeguati.

 

Riportiamo un bianco alla Casa Bianca

Foto di Jamie Sabau

Quando si discute di Apartheid, sembra di parlare di un fatto lontanissimo, passato e ormai concluso. Ci si limita all’analisi degli eventi con la lettura dei libri di storia, i quali, senza troppa enfasi, mettono in luce qualche nome, come Mandela.

La lotta dei neri d’America avvenuta negli anni Sessanta del secolo scorso, per l’emancipazione, per l’affermazione dalla propria dignità e delle proprie origini, è già stata gettata nel “dimenticatoio”, specie da chi non l’ha vissuta in diretta.

Affrontare superficialmente casi simili di discriminazione, è come condannare tali fatti ad una progressiva perdita di significato e di rilevanza storica, ma prima di questo, significa dare l’impressione di aver portato a termine la lotta al razzismo e di averlo finalmente debellato.

Ma l’avversione per la pelle scura è stata veramente superata? No. Per capirlo, è sufficiente prendere la metropolitana o il tram, dove ci si ritrova a dover scegliere se sedersi o no affianco “all’uomo nero”. Non sono certa se sia meglio definirla paura o ignoranza, ma è manifesta, quasi tangibile, nonostante i tentativi di repressione.

E a conferma di quanto affermato, ecco un fatto avvenuto durante le elezioni del nuovo presidente americano: nella folla di sostenitori ne emerge uno a favore di Mitt Romney con uno slogan a dir poco offensivo rivolto all’avversario Barack Obama.

Lo chiamano Extreme anti-Obama sentiment: la sua notizia ha sconvolto e riempito i siti web, la fotografia è stata condivisa nei social network e su Google è reperibile per oltre 12 mila risultati.

Il colore della pelle diventa un motivo valido per cui un uomo rischia la perdita di una nomina tanto importante quanto quella di presidente, come se essere di colore fosse una colpa, un peccato imperdonabile. Era necessario usare il razzismo come arma? E a quale scopo? Vincere la nomina alla White House.

Quindi, si è trattato di un forte tentativo di convincimento della parte di americani bianchi che avrebbero votato per Obama. Eppure è stato inutile. E’ triste sapere che gli sforzi di tanti uomini neri che in passato hanno tentato di affermare la propria dignità, siano resi vani da un così breve, crudo e senza dubbio incisivo slogan. E’ come scivolare da una parete rocciosa poco prima di essere arrivato alla fine e dover riprendere la scalata dall’inizio.

Tuttavia non importa quanti americani siano stati a favore di una frase discriminante, ma di quanti non lo siano stati. Pensiamo al fatto che, nonostante le difficoltà, “l’uomo nero” abbia finalmente colorato la Casa Bianca.

…we rise and fall together, as one nation, and as one people
Barack Obama