Differenze e pregiudizio

Attualmente, la distanza tra il nostro Paese, la lontana America ed il remoto Oriente sembra annullarsi. I mass media permettono una conoscenza dei fatti in tempo reale. Con la televisione e il web si è diffuso quel fenomeno chiamato globalizzazione, che riveste un ruolo fondamentale in tanti aspetti della nostra vita. Ogni abitante della Terra sembra conoscere già tutti i popoli del mondo, eppure le difficoltà di relazione tra stranieri esistono ancora.

Oggi, nel nostro pianeta altamente globalizzato, è fondamentale sviluppare la propria capacità di comprendere l’altro. Bisogna raggiungere un livello di empatia tale per cui non vi siano più incomprensioni e scontri tra gli abitanti di paesi radicalmente o superficialmente diversi. Ma, per potersi immedesimare nell’altro e condividerne così i pensieri, occorre avere un contatto molto più diretto di quello che ci offre la TV e va lasciato da parte il nostro intramontabile pregiudizio.

Vi è mai capitato di visitare un’antica città giapponese? Continua la lettura di Differenze e pregiudizio

Martin Lutero

Dipinto raffigurante Martin Lutero
Martin Lutero

Martin Lutero nacque il 10 novembre 1483 ad Eisleben, una città situata nella regione centro-orientale della Germania. Suo padre, Hans Luther, aveva fatto fortuna come imprenditore nelle miniere di rame, mentre la madre, Margarethe Ziegler era una massaia.

Nel 1484 poco dopo la nascita di Martin (primo di 7 fratelli), i genitori si trasferirono nel vicino paese di Mansfeld, dove il padre era stato eletto quadrumviro, rappresentante e difensore della cittadinanza davanti alle autorità superiori. Proprio in questa cittadina Lutero frequentò la scuola di latino mentre successivamente nel 1497 si recò a Magdeburgo per proseguire gli studi presso la scuola dei Fratelli della Vita Comune. Lutero ci rimase solo per un anno, infatti successivamente andò a vivere da alcuni parenti ad Eisenach, dove stette fino al 1501.

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L’uovo di Colombo

Cristoforo Colombo
Ritratto di Cristoforo Colombo eseguito da Sebastiano del Piombo, 1519

Cristoforo Colombo, in seguito alle scoperte dei Portoghesi, pensò che potesse esistere un altro universo oltre a quello già riportato sulle carte geografiche. Questo sarebbe stato scoperto solo navigando verso Occidente.
Tuttavia la sua ipotesi venne criticata da molte persone, le quali sostenevano che quel mondo non potesse esistere. In seguito alla scoperta di Colombo gli stessi si dichiararono convinti che quella terra fosse già conosciuta e che quindi fosse stato un ritrovamento facile. Questi replicò alla loro critica mettendoli alla prova: chiese loro se fossero in grado di far stare in piedi un uovo. Nessuno ci riuscì. Allora Colombo ruppe l’estremità inferiore del guscio, dimostrando che in questo modo l’oggetto rimaneva in equilibrio. Così  Colombo fece capire ai suoi contestatori che anche le cose più semplici avevano bisogno di essere scoperte.

Il primo viaggio di Colombo fu davvero incredibile, tanto che egli stesso dovette affrontare molte paure comuni al tempo, la più grande partire attraverso l’ignoto. Per questa impresa era necessario possedere una profonda conoscenza del mare accompagnata da un forte senso di volontà e da una buona dose di coraggio.
Ci vollero circa quattro mesi prima della partenza. Vennero messe a disposizione tre caravelle, che furono ricordate nella storia col nome di Niña, Pinta e Santa Maria. Continua la lettura di L’uovo di Colombo

Innocenti puniti e individualisti

Crisi

A partire dal settembre 2008 una nuova crisi finanziaria, seconda solo al crollo di Wall Street del famoso “giovedì nero” del 1929, ha colpito il mondo intero.

Sulla stessa onda del ’29, le banche sono ritenute il capro espiatorio di tutto questo a causa del loro comportamento troppo permissivo e alla facilità con cui hanno concesso aiuti, sotto forma di prestiti, a chiunque ne facesse richiesta.

La differenza dalla prima grande crisi deriva dal fatto che le banche non si sono limitate a salvare o sostenere finanziariamente solo i provati e le imprese, ma esse sono arrivate a finanziare anche lo Stato stesso, creando una coesione tale che il fallimento di una delle due parti, avrebbe fatto cadere nel baratro anche l’altra.

Questo ruolo ha garantito un dominio assoluto delle banche nella finanza mondiale: basti pensare che gli Stati Uniti spendono miliardi (14000 miliardi nel 2008, 26000 miliardi nel 2011 e 29000 miliardi nel 2012) per salvare le banche dal fallimento e rimettere in piedi il sistema finanziario.

Nonostante le banche siano enti privati soggetti al fallimento, il collegamento di dipendenza che le unisce con gli organi statali, obbliga questi ultimi a fare il possibile, ricorrendo anche a ingenti spese monetarie, per evitare il collasso economico e finanziario.

Lo Stato presenta il conto di queste spese ai cittadini (dato che è da questi che avviene il prelevamento della ricchezza attraverso le imposizioni fiscali quali tasse, tributi e contributi): l’aumento della pressione fiscale, il taglio dei servizi e dei dipendenti pubblici, ha causato una crisi a livello morale attraverso la quale i cittadini perdono la fiducia non solo nei confronti delle istituzioni pubbliche, ma anche in sé stessi. Ad alimentare questa sfiducia vi è l’accordo stipulato tra banche e Stato, il quale prevede l’assicurazione di queste ad essere salvate a prescindere dalle assurdità e dai fatti che hanno portato alla loro crisi, incoraggiate quindi a riprendere la vecchia strada. Continua la lettura di Innocenti puniti e individualisti

`A proposito di` Non so niente di te (Paola Mastrocola)

Vedere quest’intervista, e leggere il libro “Non so niente di te”…

a pensare che a scriverlo sia stata una professoressa del Liceo mi fa venire in mente quanta apprensione ci possa stare dentro la testa di un’insegnante –a trovarsi fra le mani questa pasta così molle e allegra che è un ragazzo.
Se vi capita …!

Saluti tanto affettuosi,
Giuseppe

Allego quest’intervista:

Questo video non è più disponibile

L’esperienza dell’autogestione al Calvino

Non ci avrebbe creduto nessuno: erano passati troppi anni dall’ultima “autogestione” nell’Istituto Calvino di Rozzano e prendere sul serio un’iniziativa del genere, organizzata in modo apparentemente approssimativo, sarebbe stata solo una perdita di tempo. Eppure è accaduto.
La scarsa fiducia dilagante tra i docenti e il preside nei confronti degli studenti era giustificata da numerosi fattori, in primis la superficialità con cui inizialmente noi ragazzi ci siamo approcciati ad un simile progetto: quella di “autogestirci” , d’altronde, era una scelta estrema rispetto ad altre eventuali forme di protesta previste dal nostro Regolamento d’Istituto.
La questione è proprio questa: la nostra “autogestione” o “giornata alternativa” non è nata dalla protesta né dal bisogno di parlare di attualità, e non ha mai preteso di farlo; l’urgenza di organizzare una giornata alternativa non c’era (almeno per la maggioranza degli studenti) per cercare dell’altro al di fuori del programma curricolare o al di fuori di ciò che già fa parte della nostra vita: facendo un’autocritica, infatti, le attività “alternative” che abbiamo scelto erano nella maggioranza dei casi (ma non sempre) attività che svolgiamo già nella nostra vita di tutti i giorni, per esempio i tornei sportivi.

Ma allora perché tutto questo? Qual è il perché della tenacia con cui alcuni ragazzi sono arrivati fino in fondo a questo progetto, nonostante mancasse loro l’appoggio da parte del corpo docenti e soprattutto dalla stragrande maggioranza degli studenti?
L’autogestione, comunemente parlando, è in sé un mezzo, non un punto di arrivo; nel caso del nostro istituto è addirittura un punto di partenza: prima ancora di una protesta del corpo studenti, dobbiamo renderci consapevoli che siamo un corpo studenti. Ciò vuol dire prenderci sul serio l’un l’altro e realizzare che siamo parte dello stesso istituto, della stessa macchina studentesca. Continua la lettura di L’esperienza dell’autogestione al Calvino

Assegni scoperti

Il 12 aprile 2013 alle ore 20:30, nel nostro auditorium di Rozzano, è andato in scena lo spettacolo di fine anno del gruppo di teatro, guidato dal regista Marco Pernich e da Stefania Lorusso.
Questi ragazzi offrono sempre interessanti spunti di riflessione. Quest’anno ci hanno proposto una rivisitazione del Mercante di Venezia di Shakespeare.

Perché proprio quest’opera?
A questa domanda i neo-attori hanno risposto cosi: «All’inizio di questa nuova avventura teatrale abbiamo esposto i temi che più ci stavano a cuore. Quelli più sentiti riguardavano la crisi attuale, i pregiudizi, il mondo del lavoro e le difficili scelte che esso comporta e la prima opera che ci è sembrata vicina alle nostre esigenze è stata proprio quella di Shakespeare».

Buona scelta! Se infatti pensiamo ai temi portanti del Mercante di Venezia, troviamo: scontro etico, sociale e culturale, conflitto fra amicizia e amore, potere del denaro, lealtà e giustizia. Questo grande drammaturgo si è distinto tra tutti gli scrittori inglesi dell’epoca per la sua capacità di regalare allo spettatore un formidabile affresco della natura umana: il mondo che sembra così equilibrato, diviso in buoni e malvagi, colpevoli e innocenti, eletti e reietti, mostra le sue crepe e si rivela fragile. Si pensa di aver capito ma ci si rende conto che la realtà è un’altra. È proprio lui che intende farci capire che tutti si preoccupano della propria sopravvivenza e della propria felicità, difendendo con forte determinazione il proprio ideale di vita come l’unico possibile, trascurando la tolleranza e confidando ciecamente nel potere del denaro.
Io da spettatrice mi sento di dire che nonostante il regista ci abbia tenuto a precisare che non vuole formare attori professionisti, loro si sono immedesimati perfettamente nei ruoli e ci hanno fatto capire il messaggio che lo spettacolo intendeva trasmettere.

il regista Marco Pernich
il regista Marco Pernich

L’anima aristotelica

Aristotele. Dettaglio dalla Scuola di Atene di Raffaello Sanzio (1509).
Aristotele. Dettaglio dalla Scuola di Atene di Raffaello Sanzio (1509).

Aristotele divide i corpi terrestri in due categorie: privi di vita e viventi. Gli interessano soprattutto i secondi, perché sono i più complessi. Come molti antichi, egli interpreta la natura esistente attraverso un modello biomorfico: spiega il  non vivente per mezzo di concetti maturati grazie all’analisi dei viventi.
Gli esseri viventi e non viventi sono costituiti dagli stessi elementi, i primi però hanno una forma diversa: l’anima.
Ma che cos’è l’anima? Aristotele lo spiega nel De Anima, introduzione alle sue opere di biologia. Definisce l’anima come «La forma di un corpo naturale che ha la vita in potenza» o come «l’atto primo di un corpo naturale dotato di organi», dove “atto primo” indica il principio di ogni attività vivente.

Che differenza rispetto a Platone! L’anima non è più un essere indipendente dal corpo ed imprigionato in esso come in una prigione o in una tomba. L’anima è, per Aristotele, la struttura stessa del corpo e dirige il funzionamento dei suoi organi per mantenerlo in vita. Quando l’anima lascia il corpo, questo diventa un cadavere senza vita.
Le funzioni dell’anima sono, per Aristotele, tre: vegetativa, sensitiva ed intellettiva. L’anima vegetativa governa le attività più elementari: la nutrizione e la riproduzione, ad esempio nelle piante; l’anima sensitiva, tipica degli animali, comprende le funzioni di quella vegetativa ed è arricchita dalla sensibilità e dal movimento. Infine gli uomini possiedono l’anima intellettiva, perché sono dotati dal pensiero e dalla volontà.
L’anima intellettiva è superiore a quella vegetativa e sensitiva e svolge anche le loro funzioni inferiori. Per Aristotele l’anima è unitaria, invece per Platone è suddivisa in tre parti (razionale, animosa e concupiscibile) in conflitto fra loro.

Nel De Anima il filosofo afferma che la sensibilità è la capacità di provare percezioni attraverso i sensi. Percezione significa, per l’organo di senso, assumere la forma sensibile di un oggetto.
La percezione è un passaggio dalla potenza all’atto sia dell’organo che percepisce sia dell’oggetto che è percepito in atto. Negli organi si forma un’immagine dell’oggetto chiamata phàntasma, conservata nella memoria e riprodotta dall’immaginazione (phantasìa). Continua la lettura di L’anima aristotelica