“L’ultima sigaretta”

Vi è mai capitato di decidere di prendere in mano un libro che per tanto tempo avete trascurato e scoprire che non ci sarebbe stato momento più opportuno per farlo? Vi è mai successo di ritrovare tra le pagine di quel libro parti di voi stessi e delle emozioni che state provando in quel particolare momento della vostra vita? A me sì.
Sul comodino di camera mia giaceva dimenticato “La coscienza di Zeno” di Italo Svevo, l’ultimo dei romanzi assegnatoci come lettura estiva l’estate scorsa che però, un po’ per mancanza di tempo e un po’ perché, devo ammetterlo, il titolo e la quantità di pagine mi scoraggiava, mi ero limitata solo ad “assaggiare”. Dopo un anno, spinta dal senso di dovere e dall’ansia del fatidico “esame di stato”, ho deciso di riprenderlo in mano. E’ proprio sfogliando le prime pagine del libro, nelle quali il protagonista, Zeno Cosini, parla della sua dipendenza dal fumo, che mi sono resa conto di quanto un classico possa essere attuale. In questo capitolo il protagonista descrive la sua “malattia” del fumo come qualcosa di profondamente radicato in lui. Ogni volta che sembra determinato a uscire dalla dipendenza, decide di fumare “l’ultima sigaretta” prima di smettere. Ovviamente, quella sigaretta, in quanto ultima, assume un “sapore” speciale. Il problema è però che l’ultima sigaretta non c’è mai, perché difatti Zeno non ha mai la forza di staccarsi da quel vizio. Ogni occasione di felicità sembra perfetta per fumare “l’ultima sigaretta”, ma ogni momento buio riporta il protagonista a trovare riparo nella sua dipendenza.
Ecco, ora provate a togliere la parola “sigaretta” e sostituitela con qualsiasi altra cosa. Vi siete mai trovati in una situazione simile? Io mi sento esattamente così. Quante volte vorremmo voltare pagina, quante volte sentiamo che stiamo sbagliando, che siamo attaccati ad un passato che ci fa soffrire, che siamo prigionieri di qualcosa, di qualcuno o peggio di noi stessi, dei nostri pensieri, delle nostre paranoie e nonostante questo non riusciamo a farlo? Ci concediamo sempre “l’ultimo momento” perché in fondo cambiare ci spaventa. Ciò che è sicuro, per quanto ci possa far stare male, è controllabile. Peggio ancora poi se la cosa che ci provoca sofferenza ci “ammalia” e ci fa credere che tutto vada bene. Bisognerebbe smettere di pensare all'”ultima sigaretta” e capire che le situazioni difficili si combattono da subito: se c’è sempre bisogno dell'”ultima sigaretta” per ricominciare a “vivere” bisogna accettare l’idea che una parte di noi non vuole davvero cambiare, o è troppo debole per farlo. Cosa fare in questo caso? Forse basterebbe chiedere aiuto.

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