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Freud e l’interpretazione dei modelli astronomici

Sigmund Freud
Sigmund Freud

Sigmund Freud, il padre della psicanalisi, ha visto nell’impostazione tolemaica un’espressione di narcisismo dell’uomo e nel copernicanesimo la prima grande contestazione della centralità dell’uomo.

L’impostazione tolemaica è un modello astronomico proveniente dall’astrologo, astronomo e geografo greco Tolomeo, vissuto nel II secolo d.C. Egli riprese e perfezionò ulteriormente il sistema proposto da Ipparco (le cui opere sono andate tuttavia perdute) nel II secolo a.C. .
Si trattava di un sistema di tipo geocentrico; esso poneva dunque la Terra al centro dell’universo, supponendo che gli altri corpi celesti ruotassero intorno ad essa.
Il sistema copernicano fu invece introdotto da Nicolò Copernico (Mikołaj Kopernik), astronomo polacco; egli propose (nel XVI secolo) un modello astronomico di tipo eliocentrico: il Sole fisso al centro dell’universo e gli altri pianeti che vi girano intorno. Non fu il primo modello eliocentrico: anche Aristarco di Samo nel III secolo a.C. ne aveva proposto uno, ma gli antichi avevano preferito l’ipotesi tolemaica.

L’interpretazione dell’affermazione di Freud potrebbe sembrare banale: l’uomo si riteneva tanto importante da porsi addirittura al centro dell’Universo. È opportuno guardare la definizione, presa dal vocabolario, del termine “narcisismo” riferito al singolo individuo umano: adorazione morbosa di sé stessi, che si esprime nel culto e nella cura maniacale per il proprio corpo e che spinge a improntare a totale egoismo i rapporti con il mondo. Dunque, nel nostro caso, l’Uomo, inteso come genere umano, si sarebbe posto al centro dell’Universo, “mettendo in mostra” puro egoismo. Simile, ma più improntata all’ambito sessuale, è l’interpretazione che Freud dà del narcisismo nella sua opera Introduzione al narcisismo. Il termine «narcisismo» deriva dalla descrizione clinica; Freud lo riprese da Paul Näcke, che lo adottò nel 1899 per descrivere l’atteggiamento di chi tratta il proprio corpo allo stesso modo con cui viene di solito trattato il corpo di un oggetto sessuale, per cui lo utilizza per raggiungere un personale soddisfacimento. Il termine “narcisismo” viene così ad indicare una perversione che ha assorbito tutta la vita del soggetto. Dunque, ricapitolando, Freud vide nell’impostazione tolemaica un’espressione di narcisismo dell’Uomo proprio per la fermezza e costanza con la quale Egli difese questo modello.

Copernico ebbe il coraggio di andare contro il buon senso comune, osò mettere in discussione una teoria scientifica accettata da secoli e, soprattutto, scalzò l’essere umano da una posizione di privilegio. Il copernicanesimo è, allora, davvero, la prima grande contestazione della centralità dell’uomo.

Sembra ovvio, persino banale. Eppure mi sorge spontanea una domanda: com’è possibile che durante il Medioevo (durante il quale il genere umano “venne condotto” dai dogmi della Chiesa), e fino alla rivoluzione scientifica, l’Uomo, abbia ritenuto corretto il sistema tolemaico e ritenuto falso a prescindere qualsiasi altro modello, quando è ben risaputo che la mentalità medievale pone Dio, e non l’uomo, al primo posto? E, d’altra parte, com’è possibile che proprio nel periodo umanistico-rinascimentale, quando l’Uomo si scopre artefice del suo destino, Egli cominci finalmente ad accettare il sistema copernicano, che elimina l’uomo dal centro dell’universo?

La ghigliottina, la pena di morte “umanitaria”

Era il 1791 quando l’Assemblea Costituente francese approvò la proposta presentata dal dottor Joseph-Ignace Guillotin circa due anni prima: “ogni condannato a morte avrà la testa tagliata”.
Precedentemente questo era un “privilegio” destinato solo ai condannati aristocratici, che venivano decapitati, a differenza del popolo, della gente comune. Infatti, fino all’approvazione della proposta, i criminali erano generalmente messi a morte sul rogo, con il supplizio della ruota o tramite impiccagione.
Tutti questi tipi di esecuzioni rispondevano al significato che la mentalità dell’antico regime attribuiva alla pena di morte: essa doveva essere occasione di espiazione per il criminale; dunque doveva consistere in un supplizio corporale (un vero e proprio tormentoso cerimoniale, una tortura) che si concludeva quasi sempre con l’esecuzione capitale (o, in pochi casi, con la morte per agonia, per dissanguamento, …). Era quindi strettamente necessario che la pena di morte non apparisse come una semplice privazione del diritto alla vita: il condannato doveva morire mediante una serie di sofferenze, che erano commisurate alla gravità del reato che aveva commesso.
Fu grazie all’Illuminismo e alla Rivoluzione Francese che nacque l’idea che le pene corporali (la tortura pre-esecuzione) dovessero essere sostituite con la detenzione in carcere, e che la morte dovesse avvenire nel modo meno crudele possibile. Da qui l’origine della proposta del dottor Guillotin. Egli si rifiutò però di aiutare l’Assemblea nella soluzione pratica, che prevedeva la costruzione di una “democratica” macchina dispensatrice di morte.
Fu dunque chiesto aiuto al dottor Antoine Louis, segretario perpetuo dell’Accademia di Chirurgia: egli scrisse una relazione su come dovesse essere costruita la macchina, che riporto qui di seguito:

«Il paziente poserà la testa su un ceppo di otto pollici di altezza, quattro di spessore, e uno di larghezza. Coricato sul ventre, avrà il petto sollevato dai suoi gomiti e il suo collo sarà senza disagio nell’incavatura del ceppo. Posto dietro la macchina, l’esecutore allenterà i due capi che sostengono la mannaia e farà cadere dall’alto lo strumento che, per il suo peso e per l’accelerazione della velocità, separerà la testa dal tronco in un batter d’occhio.»

Il lavoro manuale fu infine assegnato a Tobias Schmitt, un fabbricante di pianoforti tedesco che si aggiudicò la contesa con un carpentiere, Guidon, il quale aveva richiesto una retribuzione di 5660 livres, giustificandosi con il fatto che si trattava di un’ opera sgradevole da realizzare. Il preventivo vincente fu di sole 960 livres.
La realizzazione richiese una settimana circa. La ghigliottina fu inaugurata dall’esecuzione di un criminale comune, ma venne utilizzata successivamente soprattutto per nemici politici; la macchina mantenne sede fissa presso la zona del Carrousel (anche se l’idea iniziale era quella di erigere il patibolo dove il crimine era stato commesso).

esecuzione di Maria Antonietta
Esecuzione di Maria Antonietta il 16 ottobre 1793

L’indipendenza della fede della ragione

Guglielmo di Occam
Guglielmo di Occam – da un manoscritto della Summa Logicae – British Museum

Guglielmo di Ockham fu un importante teologo e filosofo francescano inglese. Nacque intorno al 1285 e morì nel 1349. Entrò nell’ordine mendicante fondato da San Francesco d’Assisi fin dalla giovane età e trascorse gran parte della sua vita ad Oxford; fu prima studente e poi professore. Fu accusato di eresia e per questo subì un processo da parte dell’Inquisizione, ad Avignone, nel 1324. Papa Giovanni XXII condannò, a seguito di questo evento, 51 sue enunciazioni teologiche. Fu assolto solo nell’anno della sua morte da Papa Clemente VI.

Egli era particolarmente convinto che l’armonia fra ragione e fede (messa in analisi da filosofi a lui precedenti) fosse pressoché inesistente. Dunque, il piano del sapere razionale (fondato sull’evidenza logica) si trova, secondo il suo pensiero, ben distinto da quello della fede.

Infatti Guglielmo considerava le verità di fede come un vero e proprio dono gratuito di Dio; esse sono “rivelate” e niente può renderle più trasparenti e chiare di quanto non possa la fede in sé. Esse devono quindi essere prese per vere per sola fede, e non dimostrate razionalmente.

Riassumendo questa parte del suo pensiero è quindi possibile affermare che l’ambito delle verità di fede (cosiddette “rivelate”) è sottratto completamente al regno della conoscenza razionale.

Motivo per cui, secondo Gugliemo di Ockham, la filosofia non è in alcun modo serva della teologia. Quest’ultima risulta non essere più una scienza, ma un insieme di verità che sono tenute insieme dalla sola forza della fede dell’individuo e non dalle dimostrazioni logiche (che sono proprie dell’ambito razionale).

È ora opportuno riportare ciò che la tradizione della Chiesa Cattolica dice in merito al rapporto tra fede e ragione: le verità della fede non possono essere colte in maniera immediata dallo spirito umano, poiché superano le capacità razionali dello stesso. Tuttavia l’aspetto razionale e la fede non sono in contrasto, ma si completano a vicenda. Bisogna infatti ricordare come la fede sia un atto razionale, in quanto esso è una decisione fondamentale dell’individuo umano, che è dotato di ragione; la certezza gli deriva dalla verifica delle verità della fede nella vita pratica: la fede è perciò sia una decisione, sia un progetto che interessa l’individuo umano e tutta la sua realtà.

Dunque Gugliemo di Ockham si trova in una posizione contrastante rispetto alla Chiesa, in questo ambito.

Mi sarei dichiarato in completa sintonia con quanto afferma il filosofo francescano, poiché ritengo che un vero fedele non debba porsi interrogativi sulla sua fede. Sarebbe sufficiente leggere la definizione fornita dal dizionario online Treccani per il termine “fede”: credenza piena e fiduciosa che procede da intima convinzione o si fonda sull’autorità altrui più che su prove positive. E, se si considerano come “prove positive” dei risultati soddisfacenti provenienti da dimostrazioni razionali, allora è possibile riassumere la definizione del termine “fede” in questo modo: credenza piena che si fonda sulla propria fiducia o sull’autorità divina (“Altrui”).

Ma , nell’introdurre quest’ultimo capoverso, ho usato dei tempi condizionali. Mi chiedo dunque se sia davvero giusto, in qualsiasi caso, accettare la fede senza alcun tipo di ragionamento sulle verità che essa fornisce. O se, invece, sia più giusto considerare il rapporto fra fede e ragione come complementare, come la tradizione della Chiesa Cattolica afferma.