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La difesa personale

La difesa personale comprende esclusivamente strategie ed insegnamenti per la difesa dalle aggressioni a livello fisico, psicologico e verbale; non è infatti da intendersi come un insieme di tecniche per sopraffare fisicamente un avversario prima che sia lui a farlo.

L’attività di difesa personale serve solo per difesa e mai per offesa, quindi lo scopo non è ovviamente quello di totalizzare più punti dell’avversario, ma quello di terminare lo scontro a proprio favore e nel più breve tempo possibile. Deve essere vista come una prevenzione adatta a tutti.

Lo studio di un’arte di difesa prima di tutto intende dare fiducia in sé stessi ed una conoscenza dei rischi e delle violenze.

La giurisprudenza sull’argomento pone dei limiti alla reazione che possiamo avere di fronte ad una minaccia, ribadendo il principio della “proporzionalità” dell’uso della forza. Tali limiti sono giustamente motivati dalla necessità di salvaguardare in primo luogo la vita umana: la nostra come quella del nostro aggressore che è, come noi, titolare degli stessi diritti di fronte alla legge. Tale impostazione “garantista”, ovviamente, non sembra tenere conto che: al nostro aggressore della nostra salute e del nostro benessere non importa un granché e che di fronte ad un attacco violento e determinato, l’unica possibilità di sopravvivenza è una risposta ancora più violenta e determinata.

Così stanno le cose e questo è il motivo per cui, di fatto, il cittadino che debba legittimamente difendersi avrà sempre qualche difficoltà nel dimostrare di averlo fatto nel rispetto di norme.

La legge, quindi, concede pochissime situazioni ideali in cui chiunque provoca qualsiasi lesione ad un’altra persona, anche se per difesa personale, non è punibile.

Secondo me è importante sottolineare che è inutile sapere infinite tecniche se poi non riusciamo a metterle in pratica nel momento del bisogno. E’ risaputo che atleti bravissimi in palestra non sono riusciti a difendersi per strada da persone che non avevano mai praticato arti marziali.
Questo perché non conoscono la loro reazione di fronte alla paura e non sono addestrati ad affrontarla cosicché l’adrenalina che si è generata in quel momento li ha paralizzati mentalmente e fisicamente.

Quindi in una situazione non abituale, come un pericolo improvviso, se non si ha acquisito una procedura per quella situazione od una situazione analoga e’ come se andassimo in tilt e una paralisi sarà l’opzione più probabile. Per questo motivo ci dobbiamo allenare il più vicino possibile alla realtà. In questo modo creeremo un rafforzamento stimolo- risposta che i tecnici chiamano”memoria muscolare”. In pratica aver provato più volte paura, naturalmente affrontata a piccole dosi, consente di raggiungere un certo grado di assuefazione, come una sorta di vaccinazione.

Agonismo: gli atleti del sacrificio

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Quando rimaniamo a bocca aperta guardando nuotare Michael Phelphs o ci incantiamo davanti alla grazia di Roberto Bolle, inevitabilmente si pensa allo sport come elemento unificatore, come linguaggio universale, come attività che fa stare bene… questi valori affiorano alla mente di tutti, ma spesso non ci si ferma abbastanza a riflettere sull’altra faccia della medaglia.
Una volta entrati nella dimensione dell’agonismo lo sport non è più solo una questione di passione.
L’agonismo (dal greco agōnismós, lotta) ha un’enorme influenza su tutti gli aspetti della vita di un atleta, a livello fisico, sociale e psicologico: tutto ruota attorno al proprio sport, il resto è secondario.

A tredici anni, quando sono entrata nella squadra nazionale italiana di pattinaggio artistico su ghiaccio, mi allenavo quattro ore al giorno per sei volte a settimana e studiavo di notte.
La mia vita ha assunto un ritmo diverso: la combinazione tra vita scolastica, gare e allenamenti ha escluso qualsiasi altra attività di tipo ricreativo che dovrebbe caratterizzare la crescita di un adolescente, come uscire con gli amici, andare a feste di compleanno o avere un hobby alternativo.
A questi livelli lo sport diventa totalizzante, non lascia spazio ad altro e l’atleta si ritrova a vivere in una costante dimensione di stress e ansia in cui esiste solo il proprio sport, per il quale si devono spendere tutte le proprie energie.
La pressione psicologica che un agonista (di qualsiasi disciplina) subisce è altissima: l’aspettativa personale, quella di allenatori e preparatori atletici e la competizione con i compagni fanno scattare, nella mente dell’atleta, un meccanismo da non sottovalutare.

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L’agonista non si accontenta mai di ciò che impara: una volta che un risultato viene ottenuto, diventa scontato, e viene posto immediatamente l’obiettivo successivo, più difficile da raggiungere.
Gli obiettivi devono essere raggiunti ad ogni costo, e per farlo si ricorre a restrizioni alimentari e allenamenti durissimi. Gli atleti diventano come delle macchine, non possono permettersi di essere stanchi o prendersi delle pause, altrimenti deluderebbero gli allenatori che “li rimpiazzerebbero” rivolgendo tutte le attenzioni ad atleti in condizioni fisiche migliori.

L’atleta quindi rimane intrappolato in una spirale negativa di duro lavoro e sacrificio che lo porterà a non sentirsi mai abbastanza bravo e, a causa della stanchezza, a subire degli infortuni.
Gli infortuni sono momenti molto difficili da affrontare per sportivi ad alti livelli, perché comportano una sospensione da gare ed allenamenti. In queste situazioni, gli allenatori sono i primi ad incitare gli atleti a ridurre le tempistiche di guarigione suggerite dai medici per ricominciare ad allenarsi e a “produrre” risultati.

Nel mondo del pattinaggio sul ghiaccio, si dice che un atleta “ha perso il treno” non solo quando smette di allenarsi, ma anche quando non riesce ad imparare in un determinato periodo di tempo alcuni elementi fondamentali, facendosi “superare” dai suoi compagni di allenamento e non riuscendo a mostrare le nuove tecniche durante le gare.
Un agonista non accetta quindi di fallire;  per questo, quando succede, prova una profonda frustrazione per aver lavorato e sacrificato moltissimo e non aver raggiunto il risultato desiderato. Dopo una competizione, l’atleta non è soddisfatto, non dà importanza a ciò che ha svolto correttamente, al percorso che ha fatto per poter partecipare ad una gara internazionale, ma la sua mente è tormentata da quei piccoli errori che hanno dato vantaggio agli avversari.

Avversari che molte volte comprendono anche i propri compagni di allenamento, con cui purtroppo non si riesce a stringere una vera amicizia a causa della continua tensione della competizione.

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Un atleta agonista, quindi, deve avere un fisico forte e deve essere in grado di sostenere tutte le dinamiche psicologiche che il suo sport comporta.
Ma fino a quando una persona è disposta a sopportare tutto questo? Questa è la domanda che si pongono tutti gli atleti che, raggiunta una certa età, si sono resi conto di aver sacrificato gli anni più belli della propria vita senza essere diventati dei campioni di fama mondiale, di non aver raggiunto i livelli di Nadal nel tennis o di Carolina Kostner nel pattinaggio.
Questa è la domanda che mi sono posta anch’io due anni fa, dopo il mio quinto infortunio. L’estate in cui abbandonai la mia carriera agonistica (che stavo portando avanti da 14 anni), ho deciso di ascoltare il mio corpo, rispettarlo, e sviluppare quelle passioni che avevo sempre lasciato da parte per il pattinaggio.
Una volta chiuso il capitolo dell’agonismo, mi si sono aperte moltissime porte: ho vinto una borsa di studio di un mese in Giappone, ho imparato la lingua giapponese, ho scoperto di avere una grande passione per le materie scientifiche, ho conosciuto molte persone e sono entrata in contatto con realtà diverse.
Purtroppo, ci si rende conto di quante cose si possono fare oltre al proprio sport solo dopo che si è usciti dalla spirale frenetica dell’agonismo, e si capisce che molte volte le cose vanno prese con più leggerezza solo dopo alcune sconfitte.

E’ importante, quindi, saper distinguere il “fare sport”, inteso come mantenersi in buona salute e avere un gruppo di amici con cui sfogarsi dopo la scuola o il lavoro, dal “fare agonismo”.
L’agonismo è disciplina, è una scuola di vita che non perdona.

Tuttavia, quando ho smesso di essere un’agonista, ho pensato a tutto quello che mi ero persa della mia adolescenza, e ho capito che il pattinaggio mi aveva trasmesso dei valori che mi sarebbero stati utili per tutta la vita.
Grazie all’agonismo ho capito quanto bisogna impegnarsi per ottenere un risultato, che nessuno nella vita regala niente e ho conosciuto lo spirito di sacrificio.
Senza l’esperienza agonistica, probabilmente non sarei in grado di affrontare le situazioni difficili e non sarei la persona che sono adesso.

Camilla Cappellin

La partita dei sessi

 

Billie Jean King vs Bobby Riggs

20 Settembre 1973 “King contro Riggs”. La più importante partita di tennis del mondo vede come protagonisti la paladina del movimento di liberazione della donna, Billie Jean King, contro Bobby Riggs, migliore giocatore del mondo negli anni ’40. Quest’ultimo dichiarò pubblicamente che la competizione femminile sarebbe stata inferiore a quella maschile e che qualunque uomo sarebbe riuscito a battare la miglior giocatrice del mondo, sifdando le migliori giocatrici del momento a dimostrare il contrario. La King accetta la sfida spinta dal desiderio di fare rispettare anche il tennis femminile; attraverso un gioco di attacco è riuscita a vincere. Questo incontro è ricordato come “la battaglia dei sessi”. Gia in precedenza la King aveva lottato per il genere femminile muovendo delle proteste contro la USTA (United States Tennis Associtation) attraverso conferenze stampa criticando il riconoscimento economico, da parte delle associazioni, per le donne rispetto a quello degli uomini. Nel 1974 la King assieme a delle colleghe fonda la Women’s Sports Foundation che promuove borse di studio per le ragazze sportive, affinchè possano coltivare i loro sogni. Nel 2014 ha chiesto alla FIFA di garantire dei campi di erba alle giocatrici di calcio per il mondiale del 2015. Billie inoltre fu una delle prime giocatrici a fare coming out, dichiarando apertamente la propria omesessualità. Ella inoltre fece parte della delegazione che rappresentò gli Stati Uniti alle olimpiadi invernali di Sochi nel Febbraio del 2014 per lottare per protestare contro le leggi anti-gay di Putin.

Billie Jean King è una “cattiva ragazza” poichè si oppose a ciò che per i suoi tempi sembravano la normalità.

Omar Al-Sabbagh

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Storia delle competizioni automobilistiche

Lo spirito della competizione, da sempre vivissimo nell’uomo, fa sì che, inventato il veicolo a motore, anche questo fosse diventato subito un mezzo con cui competere. Il 16 Luglio 1878 venne disputata la prima corsa automobilistica, ovvero riservata ai “veicoli senza cavalli”  in assoluto della storia: avvenne negli Stati Uniti e vide alla partenza 2 veicoli, entrambi con motore a vapore. In tutta la seconda metà dell’Ottocento anche in Europa si cominciava a nutrire un certo interesse per le corse automobilistiche,mentre in Italia questa passione arrivò leggermente in ritardo, sia perché si vedevano con diffidenza e timore gli automobilisti, sia perché nel nostro paese non esisteva ancora un industria automobilistica. Nel 1895 venne organizzata la prima corsa automobilistica in Italia: la Torino-Asti-Torino, che venne corse da cinque piloti italiani con vetture straniere, solo tre delle quali avevano quattro ruote.

Queste corse diventarono numerose nel corso degli anni fino a quando, intorno al 1910, si cominciarono a disputare dei veri e propri Gran Premi; dapprima erano ancora semplici corse da una città all’altra e successivamente divennero vere e proprie gare disputate in circuiti costruiti appositamente: nel 1922 venne costruito il circuito di Monza, il primo in Europa e il terzo nel mondo. Da questo momento la tecnologia automobilistica si è sviluppata molto rapidamente e, intorno agli anni trenta, si iniziarono a disputare campionati mondiali con vetture molto potenti.

Enzo Ferrari alla Targa Florio del 1922 su Alfa-Romeo.
Enzo Ferrari alla Targa Florio del 1922 su Alfa-Romeo.

Le case italiane Alfa Romeo e Maserati si impossessarono del predominio completo delle vittorie con piloti del calibro di Antonio Ascari, Enzo Ferrari e Tazio Nuvolari fino agli anni trenta quando il partito nazista stanziò consistenti somme per aumentare il prestigio delle case tedesche.

Nel 1949 si ebbe un ulteriore aggiornamento delle corse automobilistiche con la suddivisione in categorie delle diverse tipologie di vetture, le principali erano due: Formula (a ruote scoperte) e Gran Turismo (a ruote coperte), e con l’introduzione del primo campionato del mondo di Formula 1, caratterizzato da precise regole e punteggi, che si componeva di sette gare.  Le gare di Formula 1 rimangono ancora oggi lo sport automobilistico più seguito,perlomeno in Europa, anche se nel tempo si sono sviluppate altre tipologie di gare tra le quali le principali sono: gare di Formula minori, il Rally che si svolge su strade pubbliche sia asfaltate che sterrate o innevate utilizzando vetture di derivazione stradale; il Gran Turismo, caratterizzato dall’uso di auto a ruote coperte di derivazione stradale e non, che si svolgono in circuiti asfaltati; la coppa NASCAR, un campionato che si disputa in America prevalentemente su circuiti ovali con auto stradali che ricevono sostanziali modifiche per quanto riguarda motore e aerodinamica.

 

“Nera, bassa e formosa”

Io adoro il ballo, perciò non potevo che scegliere Misty Copeland come cattiva ragazza. Ma si può veramente definire una “cattiva ragazza” una persona che insegue i propri sogni?

“unfortunatly you have not been accepted… at thirteen you are too old to be considered” queste furono le parole che ricevette Misty Copeland dalla prestigiosa American Ballet Theatre.

Misty Copeland  lottò sia con le difficoltà dovute al colore della pelle sia con il suo corpo fuori dai canoni. Aveva 13 anni quando provò ad entrare nella scuola di ballo, ma era considerata troppo grande per intraprendere un futuro da ballerina. “Nera, bassa e formosa”, sentiva ripetersi, non aveva i piedi giusti per stare sulle punte, era troppo muscolosa e aveva il petto troppo largo : non aveva il corpo per diventare una ballerina classica. La madre, a causa delle condizioni economiche, aveva deciso che non poteva permettersi di mantenerla a scuola e quindi le aveva comunicato che avrebbe dovuto lasciare il sogno del palcoscenico. “Mia madre è sempre stata chiara nel dirmi che sono una ragazza nera” dice misty in un’intervista “e che come tale sarei stata considerata”.

Misty Copeland non si fermò solo alle parole o offese, il suo unico obiettivo era realizzare il suo sogno e  in lei si è scatenata “ la rabbia di spingersi oltre”.

A 17 anni finalmente fu  accettata dall’American Ballet Theatre, ma non immaginava che sarebbe stata l’unica donna nera lì dentro.

Nonostante i pregiudizi iniziali, Misty scelse di inseguire i suoi sogni, disobbedendo alla madre, ignorando gli insulti e le considerazioni sul suo corpo e sulla sua pelle, solo così, comportandosi da “cattiva ragazza”,  raggiunse il suo obiettivo! Ma Misty ribadisce “Credo che ci voglia più diversità in tutti gli ambiti, sul palco, tra il pubblico, nella direzione, e che le nuove generazioni vadano sollecitate in questo senso. il razzismo è una piaga che forse non verrà mai debellata”. Misty è diventata l’esempio da seguire per tutte le ragazze afroamericane e non che vogliono raggiungere il proprio sogno, qualunque esso sia.

Laura Faiella

 

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Subacquea: il mondo al di sotto della superficie

Mi guardo attorno, acqua ovunque, sento solo il mio respiro, vedo il mio respiro. Alzo lo sguardo e vedo la cresta delle onde che questa volta non è più scura, ma azzurra, bianca, e brilla come uno specchio; abituato a vedere la scena da sopra la superficie, la situazione mi affascina. Abbasso lo sguardo e compare il fondo, scuro, opaco e quieto, l’opposto della superficie. Compaiono ogni tanto bolle davanti ai miei occhi, quasi ad estraniarmi da questo nuovo mondo, quasi a ricordarmi che sono l’unica fonte di rumore nei paraggi. E allora smetto per un attimo di respirare, per non rovinare quel silenzio, e inizio a muovermi lentamente, per sentire la leggerezza in ogni parte del corpo, per non sentire la gravità, per non sentirmi legato alla terra, ancorato, quasi come nello spazio.
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I regolamenti possono fermare la determinazione di un’atleta?

Inizio della maratona

Kathrine Switzer: una ragazza che non si arrese mai

“Nella vita ho avuto fortuna. I miei genitori ed Arnie mi hanno sempre detto che potevo fare qualsiasi cosa. Come donna non mi sono mai accontentata di giocare con le bambole o fare solo la cheerleader. Sì, mi piaceva giocare con le bambole od indossare bei vestiti, ma mi divertivo anche ad arrampicarmi sugli alberi e a fare sport. Dopo la mia esperienza a Boston, capii che vi erano milioni di donne al mondo che erano cresciute senza credere di poter superare i limiti a loro imposti. Volevo fare qualcosa per migliorare le loro vite. Ciò di cui abbiamo bisogno è il coraggio di credere in noi stesse ed andare avanti passo dopo passo.”: le parole di Kathrine Switzer sicuramente la collocano tra le cattive ragazze.

Fin da bambina ha amato lo sport, tanto che quando ha avuto l’età adatta anziché diventare una cheerleader ha scelto di diventare un’atleta. Il primo sport è stato l’hockey su prato, uno sport poco apprezzato al college, perciò decise di dedicarsi all’atletica; eppure anche in questo ambito ebbe difficoltà ad emergere perché negli anni sessanta le corse erano riservate unicamente agli uomini , inoltre la sua presenza nella squadra non era accettata dalla mentalità conservatrice della Virginia. Nel 1966 però avvenne una svolta nella sua vita poiché conobbe Arnie Briggs, il postino dell’università che aveva partecipato alla maratona di Boston per ben quindici edizioni e che divenne il suo mentore. A lui svelò il desiderio di partecipare alla maratona, un progetto per cui si era allenata tenacemente anche nelle fredde giornate d’inverno. Arnie rimase colpito dal progetto ardimentoso, le donne non potevano prendere parte alla maratona. Il postino decise di supportarla, non solo allenandola all’impegno ma anche esortandola a prenderne parte in maniera ufficiale, iscrivendosi alla corsa. Insieme escogitarono un modo per aggirare la burocrazia, iscrivendo Kathrine a nome K.H. Switzer, un nome anonimo che non avrebbe destato sospetti.

Qualche sera prima della gara Kathrine espose il suo obiettivo al fidanzato, Tom Miller, suscitando a lui molta ilarità, tant’è che sostenne che se lei ce l’avesse fatta anche lui ne avrebbe preso parte, d’altronde anch’egli era un atleta seppur di lancio del martello. La corsa proseguì senza intoppi per i primi chilometri di gara, grazie anche alla collaborazione sportiva degli altri partecipanti, finché il direttore di gara si accorse della presenza di un’atleta donna a causa dello scompiglio creato dai fotografi.

John Semple cerca di strattonare e fermare Kathrine

Malgrado i tentativi di fermarla, Kathrine giunse al traguardo grazie all’aiuto del suo stesso fidanzato, che la protesse durante il corso della gara. Ovviamente Kathrine non fu inserita nella classifica finale, ma questo fu un motivo di lotta e negli anni successivi cercò di cambiare il regolamento della associazione affinché comprendesse anche le donne alla maratona.

Nel 1972 Kathrine vinse la sua battaglia, così le donne furono ammesse alla Boston Marathon. Successivamente si dedicò alla sua attività giornalistica promuovendo lo sport, partecipò ancora alla maratona vincendola nel 1974. Grazie alla sua determinazione ed alla sua tenacia,è riuscita a cambiare il regolamento ottuso della corsa in un’opportunità per tutti.

 

 

Davide Fioletti

Kathrine alla Women’s Marathon con il “suo” numero 261

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L’uomo dei record

Lionel Messi con la maglia del Barcellona

Lionel Messi, famosissimo giocatore del Barcellona, domenica 9 dicembre 2012 ha infranto il record di gol segnati in un anno solare (85 gol), detenuto in precedenza da Gerd Muller e che durava ormai dal 1972. Questo record battuto non fa altro che confermare le grandi qualità del giocatore catalano, il quale ha dimostrato in diverse occasioni le sue qualità innate per il gioco del pallone.

Lionel Messi è nato a Rosario il 24 giugno 1987 da una famiglia molto povera e composta da altri due fratelli ed una sorella. Fin da piccolo Lionel dimostra le sue grandi qualità balistiche, ma la strada verso il calcio professionistico gli viene sbarrata da un problema di malfunzionamento degli ormoni della crescita che lo porta ad essere di statura molto bassa, tanto che viene soprannominato da tutti la pulga (la pulce). Nonostante questo Carles Rexach, il direttore sportivo del Barcellona, quando lo vede giocare per la prima volta rimane talmente estasiato dal suo talento che è pronto a portarlo a giocare nel suo team e si rende anche disponibile a pagargli le cure molto costose qualora si fosse trasferito in Spagna. Messi accetta subito questa opportunità e non avendo a disposizione della carta Rexach fa firmare a Messi un contratto scritto addirittura su un tovagliolo di carta.

Così il giovane Lionel si trasferisce in Spagna e comincia la sua nuova avventura al Barcellona ufficialmente il 1 marzo 2001 aggregandosi alla cantera catalana, dove comincia anche le sue costose cure ormonali, che lo porteranno a crescere fino all’altezza di 1,69m. Dopo soltanto tre anni, il 16 ottobre 2004 all’età di 17 anni fa il suo esordio con la prima squadra e il 1 maggio 2005 segna il suo primo gol. Fin dalla sua prima partita con il Barcellona offre delle prestazioni ottime, che gli permettono di giocare sempre di più, fino a diventare titolare fisso nella formazione blaugrana. Messi comincia così a segnare e a fare assist regolarmente, evidenziando una superiorità tecnica netta nei confronti dei suoi avversari e dei suoi compagni che lo porta ad essere determinante in quasi tutte le partite da lui disputate.

Nel corso di questi anni Lionel ha vinto un numero spaventoso di trofei con il Barcellona (5 Campionati spagnoli, 5 Supercoppe di Spagna, 2 Coppe di Spagna, 3 Champions League, 2 Supercoppe Uefa, 2 Coppe del Mondo per club), ma ha anche vinto numerosi trofei individuali. Quelli più di spicco sono i tre palloni d’oro vinti consecutivamente (2009-2010-2011) che lo portano ad eguagliare giocatori leggendari come Michel Platini, ma avendo ancora 25 anni ha grandi possibilità d’infrangere questo record prestigioso.

La sua statura ed il suo tocco di palla magico rendono quasi impossibile non paragonarlo ad un altro grande calciatore che ha fatto la storia di questo sport: Diego Armando Maradona. I giornalisti spesso si sono sbilanciati, affermando che Messi sia anche più forte di colui che viene ritenuto “il più grande di tutti”. Probabilmente ci saranno tanti dubbi e opinioni riguardo questo tema, ma credo che non si potrà mai arrivare ad una soluzione comune, poiché i due giocatori sono vissuti in due periodi storici diversi ed ognuno dei due ha comunque scritto una pagina importante nella storia del calcio.

Il tennis da tavolo

Il tennistavolo (o tennis da tavolo), noto soprattutto col nome popolare di “ping pong”, è uno degli sport più diffusi nel mondo ed una specialità olimpica. Può essere svolto a qualsiasi età e si può giocare in luoghi ristretti, al chiuso e all’aperto.
Per la pratica agonistica sono necessari spazi attrezzati al chiuso; richiede inoltre una preparazione psico-fisica a causa delle sollecitazioni, sia fisiche sia di concentrazione mentale, espresse nei brevi tempi di ogni scambio.
Il tennis da tavolo si può praticare da  due giocatori che gareggiano tra loro, oppure in due squadre composte da più atleti, che utilizzano una racchetta, una pallina e un tavolo idoneo. La pallina è vuota, sferica (di diametro 40mm) , molto leggera e può essere indifferentemente bianca o arancione.
Nel gioco del tennistavolo è molto importante saper imprimere giro alla pallina, e saper rispondere a una palla girata, questo perché sebbene le racchette possano essere differenti tra loro, sono tutte sensibili al giro della pallina.
Ogni giocatore, a seconda del proprio stile di gioco, utilizza la racchetta e due gomme che ritiene migliori. Le gomme inoltre si consumano, perdendo aderenza e devono essere sostituite periodicamente affinché abbiano sempre un’efficienza massima.

Esistono due differenti modi di impugnare la racchetta e quindi due diversi stili: lo stile “occidentale” consiste nel tenere il manico della racchetta con tre dita, l’indice sulla gomma di un lato della racchetta, il pollice sulla gomma dell’altro lato, lo stile “cinesino” o “a penna” consiste invece nel tenere il manico della racchetta nell’incavo della mano tra pollice ed indice. I giocatori possono utilizzare racchette di qualsiasi dimensione, forma e peso, ma il telaio deve essere rigido e soprattutto piatto. I telai potrebbero essere fatti anche in casa da alcuni artigiani, i quali si mettono a disposizione dei clienti per la realizzazione di racchette personalizzate.
Personalmente da molto tempo desideravo acquistare una racchetta professionale e finalmente, grazie ai miei risparmi sono riuscito a realizzare questo sogno.

Partita di ping pong svoltasi durante i giochi panamericani di Rio nel 2007
Partita di ping pong svoltasi durante i giochi panamericani di Rio nel 2007

Alessandro Del Piero… Una Leggenda

Alessandro Del Piero
Alessandro Del Piero

Sette campionati italiani, un campionato di serie B italiano, una coppa Italia, quattro supercoppe italiane, una Champions League, una coppa intercontinentale, una coppa Uefa, una coppa intertoto e soprattutto un campionato del mondo… questo è Alessandro Del Piero.
Bandiera della Juventus, sempre con il numero 10 stampato sulla schiena, Pinturicchio (così soprannominato dai suoi tifosi) con la maglia della Juve ha collezionato 290 gol e 705 presenze.
Inizia la sua carriera nel Padova per poi passare alla Juventus nel 1993 e, dopo solo una settimana dalla partita di esordio, segna il suo primo goal in serie A.
Dopo poco tempo diventa subito l’idolo dei tifosi Juventini, regalando goal e grandi giocate.
Alex è sempre corretto sia in campo che fuori.
Nel Novembre del 1998, durante la partita Udinese-Juventus, si procura un grave infortunio al ginocchio (lesione del legamento crociato anteriore e posteriore) che lo costringe all’intervento chirurgico e a rimanere fermo per circa 9 mesi.
Diventa presto capitano e trascinatore della squadra e vicino ad essa sia nei momenti buoni che in quelli cattivi.
Anche quando la sua Juve è stata fatta retrocedere in serie B, non l’ha lasciata, anzi l’ha ‘presa per mano’ e con i suoi 20 goal (con i quali fu capocannoniere del torneo) l’ha riportata nella massima serie.
Soprattutto insieme al suo famoso compagno di attacco, David Trezeguet, Alex ha fatto gioire i tifosi, con le loro giocate infatti il divertimento era assicurato.
Ma Del Piero, oltre che della Juventus è stato anche un giocatore della Nazionale Italiana, con la quale ha anche vinto un campionato del mondo nel 2006, segnando 2 goal.
Nel 2012 la società annuncia che Alex verrà ceduto a fine stagione, sorprendendo tutti i suoi tifosi.
Gioca la sua ultima partita nello Juventus Stadium, contro l’Atalanta, dove segna il suo ultimo goal con la maglia bianconera.
Verso la fine di questa partita viene poi sostituito, per fargli ricevere l’applauso di tutti i suoi tifosi, che perdono Alex Del Piero, il loro capitano, campione e icona del calcio.
Il 5 settembre firma il contratto con una squadra australiana il Sidney F.C. dove ha già realizzato tre goal.
Alex rimarrà per sempre nella storia del calcio.
Tributo ad Alessandro Del Piero