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EUTANASIA

L’eutanasia è l’atto con cui si pone intenzionalmente fine alla vita di un individuo che versa in gravissime condizioni di salute, a causa di una malattia o di una menomazione, con lo scopo di interromperne la sofferenza.
Il termine deriva dal greco “euthanasia” (composta da “eu” bene e “thanatos” morte) che letteralmente significa “la buona morte”.
L’eutanasia si distingue tra:

• Attiva (o diretta) nel caso in cui il medico interviene per procurare la morte di un paziente.

• Passiva (o indiretta) nel caso in cui il medico si astiene dall’effettuare operazioni che manterrebbero in vita la persona.

Il primo paese al mondo a permettere l’eutanasia e il suicidio assistito è l’Olanda mediante una legge approvata nell’aprile del 2001. Dopo l’Olanda molti altri paesi europei acconsentirono all’eutanasia anche se con qualche limitazione; ad esempio la Spagna in cui l’eutanasia attiva non è permessa e la Francia in cui l’eutanasia passiva è parzialmente ammessa e quella attiva è invece vietata. Tra questo elenco non rientra l’Italia in cui non vi è una legge che legalizzi l’eutanasia.

La discussione attorno al tema dell’eutanasia è molto complessa e confusa poiché caratterizzata dallo scontro di svariate opinioni e punti di vista.
La Chiesa ha ribadito con fermezza la sua posizione di netta opposizione all’eutanasia, giudicata come “moralmente inaccettabile” dal numero 2276 del Catechismo della Chiesa Cattolica.
Riguardo questa sensibile tematica che tocca molti campi tra cui quello giuridico, morale e religioso è importante effettuare opportune e complete riflessioni che siano in grado di raccogliere il maggior numero possibile di fattispecie, anche se questo risulta difficile dato che i casi sono sempre molto differenti tra loro.
È perciò fondamentale comprendere le ragioni per cui un individuo sia favorevole o meno a una legge che consenta l’eutanasia e trovare una soluzione che possa essere condivisa dalla maggioranza dei cittadini. Tuttavia giungere ad una soluzione di questo tipo non sarà facile in quanto le posizioni che si contrappongono sono, in certi casi, radicalmente opposte ed è proprio per questo che nei paesi in cui non vi è ancora una legge per legalizzare l’eutanasia una posizione finirà per prevalere sull’altra.

 

Claudio Frattini

La responsabilità di un ricordo

“Bella ciao, è questo il fiore del partigiano morto per la libertà”, amore e morte, addii e sangue. Gli addii dei giovani eroi alle loro fidanzate, ragazzi esattamente come noi, disposti a rinunciare alla loro giovinezza e ai loro amori spinti dalla molla di combattere per l’emancipazione della loro gente; eroi simili a fiori, che crescono umilmente sulle montagne, alimentati dal sangue di chi combatte per i grandi valori.

Un pensiero che fa loro onore, il non poter non esserci in quella guerra, comunque vada, persino con la consapevolezza di andare incontro a una fine molto probabile; per questo motivo, come scrive Bidussa nel suo libro Dopo l’ultimo testimone, “quando l’ultimo partigiano sarà morto, la società sarà diversa”

Niente di più vero: saremo da soli a dover raccontare quello che è stato l’orrore della Shoah, saremo da soli a mantenere il ricordo, e soprattutto, saremo i soli ad aver la responsabilità che non si ripeta mai più.

Non rimarrà altro che un ricordo indiretto di ciò che è stato, e quello che è successo durante la mattinata ne è stato una prova: non ci è stato possibile avere l’onore di ascoltare le parole di Laura Fabbri, nipote di Matteotti. Con il passare degli anni, infatti, ci stiamo allontanando sempre di più dal periodo della Resistenza e, di conseguenza, i testimoni diretti sono sempre meno numerosi.

Quello che rimarrà è però la storia, che è quanto di più vivo ci possa essere, insieme al ricordo, che non viene cancellato dalla morte.

Quanto vale la memoria di un ricordo?

“Le parole passano, le emozioni restano nei ricordi”

Il 25 Aprile è il giorno in cui si celebra la festa della Resistenza: c’è chi vorrebbe rimuovere questa giornata dedicata al ricordo di un passato che purtroppo è esistito, e poi c’è chi, invece, non solo vuole conservarla e mantenerla viva, ma anche consolidarla. In merito a quest’ultimo obbiettivo, l’associazione A.N.P.I. organizza incontri tra studenti e i pochi  testimoni diretti, ancora vivi: ex-partigiani che, attraverso il racconto di ciò che hanno vissuto e di ciò a cui hanno preso parte, sono una preziosa fonte di insegnamento per le nuove generazioni.

L’esempio, forse, più significativo è la testimonianza di Francesca Laura Wronowsky (meglio conosciuta come “la partigiana Laura”), protagonista degli anni della Resistenza, che ha lottato per la propria libertà e soprattutto, in quanto donna, ha lottato per la propria dignità: “e quali scelte potevo fare? Potevo stare a casa, fare la sfollata e stare alla finestra… Beh, per temperamento non so stare alla finestra”. La sua determinazione non era casuale, era stata dettata da una serie di sfortunati eventi che aveva dovuto sopportare: l’assassinio dello zio Giacomo Matteotti, la morte in guerra del suo primo fidanzato, l’arresto del padre, la rinuncia a una vita normale e alla propria casa quando con la sua famiglia fu costretta a fuggire da Milano. Le ingiustizie subite, invece che scalfire il suo animo combattivo, l’hanno stimolata a reagire, a lottare e a sperare sempre di più in un’Italia libera e democratica, al punto tale da imbracciare il fucile e restare sulle montagne liguri, al fianco di altri partigiani fino all’Aprile del ’45.

Laura oggi ha più di novant’anni, ma questo non le impedisce di portare avanti le sue idee, né di combattere contro il negazionismo. Perché non ha smesso di sperare.

I latini, tanti anni fa, dicevano: “verba volant, scripta manent”; le parole volano, gli scritti restano, per sempre. Per sempre è tanto, davvero tanto. Forse troppo. Nemmeno un ricordo è eterno, perché una volta finito il nostro viaggio, viene via con noi, svanisce. È il tempo, che come un tiranno distrugge tutto, per rinnovare e dare nuova vita. Tanto crudele, quanto necessario; per vivere, per progredire, per poter gridare, piangere, correre, per poter respirare, e per poter dire “fermiamoci un attimo”. Io, proprio ora, ci sto provando, ma proprio non riesco a stare ferma, come quando ero piccola, e la vita era tutta davanti a me. Non ci fermiamo mai. O meglio, lui, il tempo, non si ferma mai; e noi di conseguenza, spazzati via da questo dio pagano che impazza come un uragano, e distrugge ogni cosa.
A volte, pensate, persino la memoria.
Però, forse, c’è qualcosa che nemmeno il tempo riesce a scalfire. Forse perché non se ne cura, è troppo accecato dal suo orgoglio, dalla sua voglia di annientare ogni cosa. Forse nemmeno lui stesso ha tempo da dedicarle.
É tanto bugiarda, quanto vitale, essenziale alla sopravvivenza, a volte quasi egoista, ma tremendamente istintiva, forse l’unica cosa pura che c’è rimasta ancora nel cuore.
E la cosa sbalorditiva, è che non si nutre di tempo.
È furba, troppo furba, per aspettare che quello la metta a digiuno.

Parlo della speranza.

Quella che io ho ritrovato ascoltando la testimonianza della partigiana Laura, che non dimenticherò.

…Sperando che queste parole, chissà, rimangano per sempre, proprio come dicevano i latini, uomini abbandonati dal tempo, e che un giorno qualcuno ritrovi dentro di sé quella voglia di far vivere la nostra costituzione, quella speranza, che finché ci batte il cuore, portiamo sempre dentro di noi.

Camilla Rizzi

Il coraggio nella rinuncia – La partigiana Laura

1 gennaio 1924, Milano. Nasce quella che diventerà la pioniera della Resistenza antifascista femminile, Francesca Laura Fabbri Wronowsky. Nasce in un ambiente liberale essendo strettamente imparentata con Giacomo Matteotti, assassinato dal governo fascista nel ’24. La grande storia della Resistenza la conoscono tutti, giovani ragazzi che si improvvisano eroi tentando di cacciare l’invasore tedesco, mossi unicamente dalla speranza di democrazia e libertà, ma la Resistenza partigiana ha visto protagoniste persone normali, comuni, che avevano una vita al di fuori della guerra, come Laura. La figura di Matteotti ha seguito la crescita della giovane partigiana, come un’ombra, segnando non solo le sue scelte, i suoi ideali e i suoi valori, ma anche la sua stessa vita. Lei stessa testimonia, parlando della sua giovinezza: “le amicizie finivano davanti al portone di scuola, nessuno veniva a casa da noi”; l’unico luogo in cui si sentiva normale, libera, senza paure, era il mare, il suo primo grande amore.

Laura racconta anche del suo secondo grande amore, Sergio Kasman, comandante di Giustizia e libertà a Milano, bellissimo ragazzo che conobbe la morte in battaglia, per mano dei nazisti. Il primo innamoramento è quello che si vive più intensamente, quello che si crede infinito e vederlo distrutto da una guerra fa crescere, impedisce di credere nell’invincibilità dei giovani e dell’amore, fa diventare adulti. Tutto questo fa riflettere, non solo, a livello prettamente storico, su quanto sia stato indispensabile l’intervento partigiano in Italia, ma anche su quanto coraggio debbano aver avuto questi giovani ragazzi, che hanno messo in gioco tutto ciò che avevano per un ideale in cui credevano profondamente.

Quanto deve essere difficile rinunciare alle amicizie durante l’infanzia e l’adolescenza? Quanto deve essere doloroso sapere il ragazzo che si ama morto in battaglia?

Quanto deve essere dura una vita piena di rinunce?

A quale scopo? Andare in guerra, rinunciare, combattere, mettere a rischio la propria vita per un risultato che non è certo che arrivi. Riflettiamo non solo sul coraggio di questi giovani, ma sul dolore, sulla disperazione, sul desiderio di libertà che hanno spinto a queste azioni.

Per noi oggi tutto è scontato, tutto è dovuto, per questa ragione è importante ricordare, in particolare attraverso testimonianze dirette che abbiano vissuto il dolore e siano disposte a condividerlo, in modo da rendere il ricordo fonte di insegnamento.

Nada Mansour

Disegnare il mondo di…Gogi

“Gogi” con la sua disegnatrice, Nigar Nazar

Quante volte abbiamo sentito guardando in tv eloquentissimi comici cimentarsi in monologhi basati su stereotipi e luoghi comuni che hanno la capacità di rendere un banale accaduto in un episodio divertente? Personalmente molte. Quante volte dopo aver riso però abbiamo riflettuto su ciò che abbiamo sentito dire? Poche. A quanto pare invece è un ottimo mezzo per esprimere concetti non sempre condivisibili soprattutto se si vive in un paese poco aperto alla libertà di stampa e di pensiero.

Non sto presentando un affermato comico, ma una disegnatrice pakistana di nome Nigar Lazar. Il suoi mezzi di comunicazione sono carta e penna a china e il risultato finale si chiama “Gogi“, personaggio femminile estremamente brillante amato dai grandi ma soprattutto dai piccini, grazie alla sua ampia diffusione sulla tv pakistana.

Nelle vignette Gogi mette in luce situazioni mondane che lettori sbadati potrebbero intendere finalizzate solamente a far sorridere, ma, come spiega Nigar, “lo scopo principale è far cogliere alle persone ciò che accade con un occhio critico, l’ironia è solo il mezzo per facilitare la comprensione del concetto che vorrei trasmettere”.

Per Nigar non è sempre facile trattare alcuni argomenti, come ad esempio la religione o la politica (tanto che non sempre le sue vignette sono pubblicate dai media locali), ma la disegnatrice è sempre stata brava a non eccedere nell’essere controcorrente, ottenendo comunque grandi risultati per la sensibilizzazione al riconoscimento dei diritti delle donne in oriente, come ad esempio il diritto all’educazione scolastica per le bambine. Nigar infatti sa quanto sia importante una corretta formazione culturale, malgrado abbia lasciato l’università di medicina anzitempo, poichè quella facoltà non la realizzava a pieno.

Ma grazie a questa presa di coscienza ha capito che non poteva vivere senza disegnare e che gli scarabocchi che lasciava sui bordi dei libri di anatomia un giorno sarebbero diventati famosi non solo agli occhi dei suoi compagni.

Sfido chiunque a trovare un’arma più semplice e funzionale di un disegno per avviare un processo di cambiamento lento ma efficace, perchè oggi Nigar grazie a Gogi rallegra la giornata di milioni di bambini e ragazzi in tutti i paesi del medio oriente, ma un domani saranno proprio quei bambini a dettare il cambiamento. E non dobbiamo ringraziare abili pionieri di guerra se un cambiamento ci sarà, ma l’essenza che ognuno di noi trasmette ad un movimento inciso su una superficie: un disegno.

Riccardo Sisinni

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La partita dei sessi

 

Billie Jean King vs Bobby Riggs

20 Settembre 1973 “King contro Riggs”. La più importante partita di tennis del mondo vede come protagonisti la paladina del movimento di liberazione della donna, Billie Jean King, contro Bobby Riggs, migliore giocatore del mondo negli anni ’40. Quest’ultimo dichiarò pubblicamente che la competizione femminile sarebbe stata inferiore a quella maschile e che qualunque uomo sarebbe riuscito a battare la miglior giocatrice del mondo, sifdando le migliori giocatrici del momento a dimostrare il contrario. La King accetta la sfida spinta dal desiderio di fare rispettare anche il tennis femminile; attraverso un gioco di attacco è riuscita a vincere. Questo incontro è ricordato come “la battaglia dei sessi”. Gia in precedenza la King aveva lottato per il genere femminile muovendo delle proteste contro la USTA (United States Tennis Associtation) attraverso conferenze stampa criticando il riconoscimento economico, da parte delle associazioni, per le donne rispetto a quello degli uomini. Nel 1974 la King assieme a delle colleghe fonda la Women’s Sports Foundation che promuove borse di studio per le ragazze sportive, affinchè possano coltivare i loro sogni. Nel 2014 ha chiesto alla FIFA di garantire dei campi di erba alle giocatrici di calcio per il mondiale del 2015. Billie inoltre fu una delle prime giocatrici a fare coming out, dichiarando apertamente la propria omesessualità. Ella inoltre fece parte della delegazione che rappresentò gli Stati Uniti alle olimpiadi invernali di Sochi nel Febbraio del 2014 per lottare per protestare contro le leggi anti-gay di Putin.

Billie Jean King è una “cattiva ragazza” poichè si oppose a ciò che per i suoi tempi sembravano la normalità.

Omar Al-Sabbagh

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Musulmani e cristiani: un’unica comunità

Né la razza, né la religione, né il sesso permetteranno di deviare da un gran obiettivo

 

Ibtihaj Muhammad ne è la prova e vive per dimostrare sulla propria pelle tale frase: vive per realizzare il suo sogno di diventare la miglior schermista, nonostante gli stereotipi sulla sua comunità musulmana.

“La scherma mi ha insegnato tanto di me stessa e quello che sono capace di fare. Voglio essere un esempio per minoranze e giovani musulmani, insegnando che tutto è possibile con la perseveranza. Voglio che sappiano che nulla deve mai impedirgli di raggiungere i loro obiettivi: né la razza, né la religione, né il sesso”

Sebbene fosse amante degli sport, non trovava nessuna attività adatta a sé, poiché voleva conciliare la sua religione.

Così conobbe la scherma, disciplina sportiva sia conforme alle norme della religione musulmana, in quanto le permetteva di indossare il velo sotto la maschera bianca, sia libera da disagi, poiché non si sentiva più fuori posto tra i suoi compagni di squadra.

Lo sport scelto le permise di diventare un tassello per il miglioramento della condizione della sua comunità islamica.

Combatté e superò situazioni di incomodità, imbarazzo e inferiorità, assiduamente vigenti nel corso sua vita e non solo. Fu sospettata di terrorismo, vittima di stalker, destinataria di denunce irrazionali e pregiudiziali in quanto musulmana. Non era l’unica.

Gli stereotipi sono un ostacolo da superare. L’America, avendo come presidente Trump, è condizionata dai suoi pensieri che hanno il proposito di “proteggere” il paese, separandolo anche dagli islamici. Ibtihaj vuole invece dimostrare che la sua comunità non è affatto un pericolo o degrado per la società statunitense, bensì le può apportare benefici, persino in campo sportivo.

Muhammad Ibtihaj riuscì ad affermarsi di fatto nel 2016 come la prima donna musulmana a rappresentare gli Stati Uniti nelle Olimpiadi, indossando l’hijab, velo tradizionale delle donne di fede musulmana, ma anche come la prima donna islamica che vinse la medaglia di bronzo nella gara a squadre di sciabola femminile ai “Summer Games” di Rio.

Grazie alla sua presenza alle Olimpiadi, ebbe l’opportunità di parlare a nome di chi non ha voce a un vasto pubblico, diffondendo il suo punto di vista.

La sua determinazione nella lotta contro gli stereotipi, ci permette di inserirla nel gruppo delle “cattive ragazze”, poiché, come afferma con pertinacia in prima persona, “io voglio rompere le norme culturali. Un sacco di gente crede che le donne musulmane non abbiano voce o che non possano partecipare agli sport. E non si tratta solo di sfidare pregiudizi al di fuori della comunità musulmana ma soprattutto all’interno di essa”. Aggiunse inoltre: “Devo contestare questa idea che in qualche modo noi (musulmani) non apparteniamo agli Stati Uniti a causa della nostra razza o della nostra religione. Voglio che la gente sappia che faccio parte della comunità”.

Pertanto è ritenuta “cattiva ragazza” in quanto rappresenta un’ icona alla lotta contro razzismo e discriminazione, sottolineando che non vi è alcun motivo per non essere considerati americani e musulmani al contempo.

 

Stacy Villa

 

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Una guerriera contro la mutilazione

Nice Nailantei Leng’ete

«Non voglio essere tagliata. Io voglio studiare, non mi interessa il matrimonio», queste sono le parole che sono state pronunciate all’età di 9 anni da Nice Nailantei Leng’ete, una guerriera masai che vive in un villaggio in Kenya alle pendici dell’imponente monte Kilimangiaro.

Nice come tutte le bambine del suo villaggio giocava, studiava e andava a scuola, ed è proprio nell’ambiente scolastico che viene a conoscenza, per “voci di corridoio”, del terribile e temibile rito di passaggio che doveva compiere ogni bambina per poter diventare una donna adulta. Tale rito consiste nella mutilazione dei genitali con l’ablazione totale o parziale del clitoride. La pericolosità del rito, però, nasce dal modo con cui viene praticata la mutilazione, cioè, in assenza di un medico e, nella gran parte dei casi, anche distanti ore da un ospedale, con la possibilità che la mutilata possa morire dissanguata o a causa di infezioni che si sviluppano successivamente.

Nice il giorno in cui avrebbe dovuto subire quel rito barbaro, terrorizzata dai racconti, decise, insieme a sua sorella, di scappare dal nonno per poter evitare la mutilazione. Una volta giunte dal nonno, che oltretutto era uno dei capi tribù, Nice riuscì a convincerlo di farle proseguire gli studi e non essere mutilata; sua sorella, invece, non riuscì a scampare al rito e venne mutilata come tutte le altre bimbe del villaggio.

Da quel fatidico giorno, Nice era diventata una “cattiva ragazza”. Da quel giorno, infatti, iniziò a lottare contro le mutilazioni genitali e grazie al supporto di Amref, la più grande organizzazione sanitaria no profit presente in Africa, dal 2009 è riuscita a salvare più di 10.500 bambine da questa atrocità.

Gruppo di ragazze che stanno compiendo il rito alternativo

Nice, però, dovette affrontare un altro problema: con cosa sostituire il tradizionale rito di passaggio? A mio parere ha preso la decisione più opportuna che si potesse prendere: sostituire il rito tradizionale con una altro rito privo di sofferenze e lacrime.

Il rito alternativo unisce parte della cerimonia tradizionale con l’educazione alla salute sessuale e all’istruzione delle future donne e coinvolge le figure chiave delle tribù: gli anziani, le madri e i giovani guerrieri Moran. Oggi centinaia di bambine giungono al villaggio di Nice per potersi sottoporre al rito alternativo.

Nice è una donna straordinaria che è stata capace di opporsi alle regole e cambiare il mondo in meglio, ogni giorno, passo dopo passo.

Marco Canitano

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“Nera, bassa e formosa”

Io adoro il ballo, perciò non potevo che scegliere Misty Copeland come cattiva ragazza. Ma si può veramente definire una “cattiva ragazza” una persona che insegue i propri sogni?

“unfortunatly you have not been accepted… at thirteen you are too old to be considered” queste furono le parole che ricevette Misty Copeland dalla prestigiosa American Ballet Theatre.

Misty Copeland  lottò sia con le difficoltà dovute al colore della pelle sia con il suo corpo fuori dai canoni. Aveva 13 anni quando provò ad entrare nella scuola di ballo, ma era considerata troppo grande per intraprendere un futuro da ballerina. “Nera, bassa e formosa”, sentiva ripetersi, non aveva i piedi giusti per stare sulle punte, era troppo muscolosa e aveva il petto troppo largo : non aveva il corpo per diventare una ballerina classica. La madre, a causa delle condizioni economiche, aveva deciso che non poteva permettersi di mantenerla a scuola e quindi le aveva comunicato che avrebbe dovuto lasciare il sogno del palcoscenico. “Mia madre è sempre stata chiara nel dirmi che sono una ragazza nera” dice misty in un’intervista “e che come tale sarei stata considerata”.

Misty Copeland non si fermò solo alle parole o offese, il suo unico obiettivo era realizzare il suo sogno e  in lei si è scatenata “ la rabbia di spingersi oltre”.

A 17 anni finalmente fu  accettata dall’American Ballet Theatre, ma non immaginava che sarebbe stata l’unica donna nera lì dentro.

Nonostante i pregiudizi iniziali, Misty scelse di inseguire i suoi sogni, disobbedendo alla madre, ignorando gli insulti e le considerazioni sul suo corpo e sulla sua pelle, solo così, comportandosi da “cattiva ragazza”,  raggiunse il suo obiettivo! Ma Misty ribadisce “Credo che ci voglia più diversità in tutti gli ambiti, sul palco, tra il pubblico, nella direzione, e che le nuove generazioni vadano sollecitate in questo senso. il razzismo è una piaga che forse non verrà mai debellata”. Misty è diventata l’esempio da seguire per tutte le ragazze afroamericane e non che vogliono raggiungere il proprio sogno, qualunque esso sia.

Laura Faiella

 

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Un mondo in continuo cambiamento

Ci troviamo in un mondo in cui le donne non hanno le stesse possibilità in ambito lavorativo e sociali di un uomo, nonostante l’epoca in cui siamo dovrebbe permettere lo sviluppo di una mentalità più aperta nei confronti delle donne permettendo di avere la parità dei sessi, tenendo conto di ciò che è successo nella storia, di donne che hanno cercato di farsi valere per cambiare la loro condizione e che molto spesso ci sono riuscite. Ma come si può vedere da diversi esempi, ci sono ragazze e donne che solo recentemente per la prima volta riescono ad ottenere le stesse cariche, lavori, possibilità degli uomini. Una dei personaggi che voglio presentare in questo articolo, come donna che è riuscita a raggiungere un traguardo mai raggiunto da nessun’altra è Fabiola Gianotti.

Fabiola Gianotti è una fisica nata il 29 ottobre 1960 a Roma. Studia a Milano al liceo classico, dove grazie alla lettura della biografia di Marie Curie, una scienziata, si appassionò alla fisica.

É stata una scienziata, Marie Curie, a ispirarmi e influenzarmi nella scelta di studiare fisica.”

 

Così si iscrisse alla facoltà di fisica. E grazie alle sua grandi aspirazioni e alla sua determinazione riesce nel 1987 ad entrare al CERN di Ginevra (organizzazione europea per la ricerca nucleare) contribuendo a diversi esperimenti. L’esperimento più importante a cui prende parte è l’Atlas, a cui migliaia di fisici partecipano e ne diventa coordinatrice.

Non abbandonare mai i tuoi sogni. Potresti rimpiangerlo per il resto dei tuoi giorni.”

 

È una donna che ha saputo valorizzarsi in un ambiente prevalentemente maschile; poche donne tendono a diventare scienziate e fisiche poiché poco incentivate dalla società in cui viviamo. Gianotti però non è una di quelle, anzi per i suoi meriti viene addirittura inserita nella rivistaTime”e nella rivista “Forbes”tra le cento donne più potenti al mondo.

La svolta decisiva nella sua vita sia come donna che come fisica si ebbe nel 2014, quando viene scelta per la carica di direttore generale, è la prima donna nella storia a cui viene assegnato un incarico del genere. Dopo 60 anni il CERN è guidato da una donna. È proprio questo quello che riuscì a raggiungere Fabiola Gianotti, un posto fino ad allora destinato agli uomini. Come si può capire dalla sua vita, fu una donna che si contraddistinse per le sue spiccate doti nell’ambito della fisica e divenne una delle donne più influenti del tempo. Una donna che a poco a poco, passo dopo passo ha raggiunto lo stesso livello dell’uomo. Gianotti è una donna che è riuscita farsi vedere per quello che è, cioè prima di tutto un essere umano che ama la fisica e poi una donna. Si è dimostrata alla pari di un uomo, se non meglio in quanto diventata direttore generale del CERN. Questo è quello che sta accadendo nella società, sta cambiando in meglio facendo diventare a poco a poco il mondo un posto dove anche le donne possono avere le stesse opportunità degli uomini.

Continueremo a incoraggiare le giovani scienziate a impegnarsi nella ricerca, vigileremo perché abbiano sempre le stesse opportunità dei loro colleghi maschi.” 

Chiara Martini

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