GALILEO E LA FILOSOFIA
( Schiavoni, Galileo a circa 40 anni, incisione dal ritratto di Domenico Tintoretto, in Documenti Lincei e cimeli galileiani, Roma 1965, Accademia Nazionale dei Lincei)
Galileo voleva esser chiamato non solo matematico, ma anche filosofo perché diceva di aver trascorso più anni nello studio della filosofia che mesi in quello della matematica. E’ noto che egli usava il termine "filosofia" col significato che noi attribuiamo al termine fisica: infatti a quei tempi la phisyca era considerata parte della philosophia. Si trattava infatti di una delle tre parti della filosofia di Aristotele, cioè quella che riguarda il mondo sensibile e mutevole. Mentre la matematica studia gli aspetti immutabili dei corpi, che, però non esistono separati, da essi la fisica tratta di ciò che avviene.
Galileo affermava che l’uomo deve seguire la ragione e non l’autorità, ma non è per questo che lo si può definire filosofo perché questa affermazione era condivisa da qualsiasi altro pensatore, soprattutto se geniale.
E. Cassirer ha scritto che Galileo è filosofo perché ha un nuovo concetto della verità in antitesi con quello della scolastica medievale. Mentre questa cercava la verità nel Libro sacro, Galileo la cerca nella creazione, e essa non può essere davvero compresa se non la si studia con l’osservazione della natura, l’esperimento e la deduzione matematica. In verità Galileo, come possiamo notare nella lettera a Don Benedetto Castelli "…procedendo di pari dal Verbo divino la Scrittura sacra e la natura…", ritiene che la rivelazione attraverso la natura non escluda affatto quella attraverso la Scrittura.
E.Garin pone la questione se l’universo copernicano fosse in contrasto con la fede cristiana. Se si è galileiani, si deve riconoscere che la nuova cosmologia non ha proprio nulla a che fare coi dogmi del cristianesimo. Questo non nega il significato di Galileo nella storia della filosofia, ma, piuttosto, gli attribuisce importanza in quanto ha instaurato un nuovo tipo di sapere supportato da un nuovo metodo del quale Galileo però parla pochissimo.
Siccome Galileo oppone il suo metodo a quello di Aristotele è opportuno fare un confronto tra i due. La "fisica" aristotelica era concepita come il primo grado del sapere teoretico: quello che ha per oggetto il mondo mutevole e sensibile. Il sapere teoretico è il sapere dimostrato, e la dimostrazione si deve fondare su premesse immediatamente evidenti alcune delle quali, gli assiomi, valgono per ogni genere di cose; altre sono proposizioni assunte come vere per il genere di cose alle quali si riferisce una determinata scienza: Aristotele li chiama ipotesi e postulati. Assiomi, ipotesi e postulati sono presi come punti di partenza della dimostrazione e sono considerate proposizioni necessarie e universali. Oltre alle preposizione prime immediatamente evidenti, la dimostrazione presuppone le definizioni che esprimono che cosa è un oggetto, ma, a differenza degli assiomi e dei postulati, non affermano nulla di questo oggetto.
Il procedimento della dimostrazione è il procedimento sillogistico che consiste nel riconoscere in un oggetto particolare un aspetto, del quale si conoscevano già certe proprietà. Questo aspetto è espresso dal termine medio. Nella premessa maggiore si sa che un predicato appartiene al medio, nella minore si riconosce il medio in un caso particolare; nella conclusione si attribuisce il predicato della maggiore a questo soggetto particolare. Un esempio può essere quello dei triangoli: se uno sa che in ogni triangolo la somma degli angoli è uguale a 180° e riconosce nella figura inscritta in un semicerchio un triangolo, può concludere che la figura inscritta in un semicerchio ha gli angoli interni uguali a 180°. Sia l’esempio che il procedimento presi da Aristotele sono propri della geometria. A tale procedimento Galileo non ha nulla da rimproverare, anzi dice che solo i matematici sanno applicarlo. Egli non doveva apprezzare molto le regole della sillogistica, perché si rendeva conto che esse non sono di nessuna utilità nel ragionamento matematico e inoltre le regole della sillogistica servono solo per argomentazioni fatte di proposizioni predicative i cui predicati esprimano proprietà inerenti all’essenza delle cose o loro qualità: quella meta-teoria che è la sillogistica non è dunque applicabile al ragionamento matematico fatto di proposizioni che esprimano relazioni quantitative. D’altra parte Galileo riconosce che la teoria aristotelica della dimostrazione, nata da una riflessione sul procedimento geometrico è valida. Ma tutta la teoria sulle figure e i modi dei sillogismi, pur non essendo falsa è inutile alla costruzione di una scienza della natura perché una fisica che riguardi il reale deve essere matematizzata.
Ma, se il procedimento di Aristotele è corretto perché le conclusioni della sua fisica contraddicono i dati dell’esperienza? Bisogna badare ai primi principi e fondamenti dice Galileo, cioè agli assiomi, i postulati e le definizioni che stanno alla base della fisica aristotelica. Aristotele dice che le proposizioni universali sono conosciute per induzione, cioè partendo dall’esperienza di casi particolari, ma non ci dà una teoria dell’induzione come invece aveva fatto per la "deduzione" nei Primi Analitici; questo perché egli sembra convinto che non sia difficile arrivare a definizioni e assiomi partendo dall’esperienza. Da queste tesi Aristotele stabilisce che la natura del moto deve corrispondere alla natura di ciò che si muove; che il moto rettilineo è imperfetto perché se è infinito non ha principio né fine e, se è finito, lo si può prolungare, mentre il moto circolare, che vediamo nel cielo, è perfetto.
Aristotele affermava che l’esperienza sta alla base del sapere, ma di che esperienza si tratta? Che differenza c’è tra l’esperienza galileiana e quella aristotelica? Innanzitutto bisogna eliminare ciò che i commentatori hanno aggiunto ad Aristotele, non perché fosse il risultato di nuove esperienze, ma perché glossavano semplicemente un testo assunto come autorità. In secondo luogo l’esperienza deve essere fatta direttamente, come Galileo insiste a dire nel Saggiatore. Inoltre l’esperienza deve essere non solo diretta, ma precisa e ripetuta in circostanze diverse, poiché non basta cogliere un fatto una volta sola, rapidamente senza guardarlo da tutti i lati. Infine l’esperienza galileiana si vale della tecnica e, proprio per questo è più precisa e più ampia di quella di Aristotele che non poteva conoscere certi fenomeni, per mancanza di strumenti.
Ma se l’esperienza deve essere alla base della conoscenza della natura, non è tuttavia sufficiente a darci la scienza: altrettanto necessario è il ragionamento, il discorso, come diceva Galileo, può qualche volta decidere da solo una questione.
Ma come si arriva a principi sicuri, a premesse capaci di fondare una deduzione valida? Galileo dice che "la prima pietra e fondamento" della cosmologia di Aristotele è falsa, e che per arrivare a principi sicuri bisogna seguire altri "precetti d’architettura". Abbiamo detto che uno di questi precetti è certamente quello di fare esperienze più precise di quelle di Aristotele e che l’esperienza è necessaria ma non sufficiente. Bisogna che l’esperienza sia tale da poter essere razionalizzata, tale da permetterci di arrivare a premesse universali dalle quali si possano dedurre conseguenze certe. Se esaminiamo il ragionamento di Galileo vediamo che egli parte prima da una esperienza accessibile a chiunque per far riflettere sulla relatività del moto (l’esperienza delle balle di merce sulla nave) ma, per giustificare la certezza con la quale egli afferma, senza esperienza, che la pietra deve cadere ai piedi dell’albero, egli fa appello al principio di inerzia. Questo è a sua volta giustificato dall’esperienza della palla che, su un piano orizzontale, manterrebbe indefinitamente il suo moto uniforme. Ma questa è un’esperienza idealizzata: si tratta infatti di corpi geometrizzati, ossia idealizzati. E a chi gli obietta che in natura non esistono sfere perfette egli risponde che quello di geometrizzare è l’unico modo per ragionare sulla natura, in quanto i ragionamenti geometrici ci permettono di trarre conclusioni verificate dall’esperienza.
Mentre Aristotele crede che sia facilissimo sapere cosa siano il caldo, il freddo e le altre qualità sensibili, Galileo afferma che di queste noi abbiamo solo sensazioni, non una notizia intrinseca. Mentre per Aristotele le qualità sensibili fanno conoscere l’essenza delle cose, per Galileo di queste noi abbiamo solo percezioni sensibili, ma ne ignoriamo la natura. Alle pretese essenza, caratterizzate dalle loro qualità sensibili, Galileo oppone alcune affezioni, come il luogo, il movimento, la figura, l’estensione, l’opacità, che sono tutte proprietà misurabili, riducibili a rapporti di grandezze; proprietà alle quali si possa applicare il ragionamento matematico. Per poter dedurre, infatti, le definizioni devono esser precise, e nessuna nozione qualitativa è precisa; Galileo, afferma che bisogna limitarsi a descriverle in termini matematici. Ad esempio la gravità andrà descritta in base ai caratteri del moto a cui sono soggetti i corpi gravi: moto uniformemente accelerato. Invece che speculare su essenze che ci sono ignote, formulare su di esse pretesi assiomi e dedurre conclusioni smentite poi dall’esperienza, Galileo definisce l’essenza di un fenomeno mediante la legge del suo svolgimento. E poiché la legge è espressa in termini matematici, è possibile verificarla esattamente, poiché la matematica è, sì, una conoscenza limitata, come ogni umano sapere, ma ha nei suoi limiti un’assoluta evidenza
ARISTOTELE:
Esperienza ----> Definizione (qualitativa) ----> Assioma --Deduzione--> Teorema (previsione)
GALILEO:
Esperienza (depurata dalle qualità) ----> Assioma (in termini matematici) ----> Definizione --Deduzione--> Previsione
Il metodo rapidamente indicato, ma, soprattutto, applicato da Galileo nelle sue ricerche di meccanica, instaurava un nuovo tipo di sapere: quello che oggi chiamiamo scienza e distinguiamo dalla filosofia. Per Aristotele il sapere, pur avendo dei gradi, secondo la minore o la maggiore astrazione dei dati sensibili, aveva dei tratti comuni. La fisica considera la realtà in tutta la complessità che essa assume nelle cose mutevoli, la matematica astrae da tale mutabilità e considera solo l’aspetto quantitativo, la filosofia prima, o metafisica, considera le cose solo in quanto enti; il procedimento conoscitivo era però il medesimo: dall’esperienza alla definizione, dalla definizione all’assioma, da questo al teorema.
Un altro problema riguardo a Galileo è quello del rapporto con Platone: un platonismo affermato da alcuni tra cui Koyré e negato, fra gli altri, da Geymonat e Carugo.
Galileo ammira Platone e lo cita perché Platone apprezza la geometria. Secondo Koyré, bisogna essere già platonici, bisogna ammettere la corrispondenza fra geometria e fisica per affermare, come Galileo, che la natura va letta geometricamente. In realtà Galileo afferma la necessità di leggere geometricamente il libro della natura perché questa lettura è riuscita, perché è verificata dall’esperienza. E Galileo descrive minuziosamente gli accorgimenti per rendere l’esperienza il più esatta possibile: affinché questa possa verificare una legge precisa, espressa in termini matematici, bisogna che si limiti ad "alcune affezioni", e queste debbono essere misurabili. Galileo geometrizza per poter formulare leggi precise, intelligibili, solo partendo da tali leggi si può dedurre, ossia prevedere ciò che deve accadere. Non bisogna essere già platonici, come dice Koyré, per ammettere che le realtà fisiche siano approssimate ad enti geometrici, ma si diventa necessariamente platonici se si vuol fare una scienza della natura che possa essere verificata nell’esperienza.
Ma per Galileo essere platonico non vuol dire fare una metafisica, come fece Cartesio, per giustificare questa presa sul reale delle nozioni matematiche; Galileo non ha mai escogitato una metafisica platonica, nella quale l’anima sia assolutamente staccata dal corpo. Il platonismo di Galileo consiste nella convinzione che la natura sia intelligibile per l’uomo e che il solo modo di cogliere questa intelligibilità è la conoscenza matematica. La tesi che la natura sia intelligibile non distingue il platonismo dall’aristotelismo; ciò che li distingue è la tesi che l’intelligibilità della natura si colga leggendola matematicamente. Ma quest’ultima tesi è affermata da Galileo in nome della sua riuscita, della sua capacità di prevedere i fatti.
L’instaurarsi di un nuovo tipo di sapere, quello che oggi chiamiamo fisica, la creazione della fisica come scienza, pone un problema filosofico: la fisica come scienza è l’unico tipo di sapere sulla natura? Se si risponde affermativamente, si può intendere la risposta in due modi: 1- la fisica matematizzata ci dice tutto sulla natura, sul mondo corporeo; 2- la fisica non ci dice tutto ciò che è la natura, ma ci dice tutto quello che l’uomo ne può sapere. La prima risposta è sostenuta da Cartesio, la seconda da Kant. Ma c’è anche una risposta negativa a quella domanda cioè che la fisica matematizzata non è l’unico tipo di sapere sulla natura: questa è la tesi sostenuta da Leibniz. Il problema, che poi è il problema dei rapporti tra scienza e filosofia, si pone anche dopo Cartesio, Leibniz e Kant; si pone nel positivismo e nel neopositivismo. Si vede quindi quale significato filosofico aveva l’introduzione di quel nuovo tipo di sapere che è la fisica come scienza, la fisica chiamata ancora oggi galileiana.
Ma Galileo con la sua fisica, ha posto il problema alla filosofia, non ha dato una soluzione. I problemi che oggi chiamiamo filosofici non lo interessano: quel che lo interessa sono i particolari come la misura della velocità e dell’accelerazione di alcuni movimenti. Galileo inclina verso una concezione meccanicistica della natura, cioè verso una concezione che riduca il mondo corporeo a estensione e moto locale, ma non lo svolge sistematicamente, e quindi non ha bisogno di aggiungere a una cosmologia meccanicistica una metafisica spiritualistica per giustificare la sua fede religiosa. E’ convinto che Dio esiste, che il mondo è creato da lui, che vi è una finalità nell’universo, ma, con una intelligenza quasi istintiva, e senza impalcature metafisiche; ha una concezione della finalità, più profonda di quella dei suoi avversari: l’uomo non può essere l’unico scopo dell’infinita sapienza divina. Galileo non nega la finalità della natura; nega solo che possiamo conoscerla nei fatti naturali e, a maggior ragione, che questa pretesa conoscenza possa fornirci le spiegazioni dei fenomeni fisici.
Galileo è pure convinto che il mondo vivente, con la sua bellezza, sia qualcosa di più perfetto dei corpi bruti, che un gelsomino sia qualcosa di più prezioso dell’argento e dell’oro, senza domandarsi se la bellezza di queste piante è solo il risultato di leggi meccaniche o se vi è in esse qualcosa di più, qualcosa di simile alle detestate forme sostanziali. Un passo più deciso verso una concezione meccanicistica del mondo corporeo è la pagina del Saggiatore nella quale Galileo nega la fisicità delle qualità corporee: colori, suoni, odori. Tali qualità sono puri dati sensibili: il discorso o l’immaginazione non arriverebbero ami a stabilirle: quindi si può fare una scienza della natura senza tener conto di certe qualità (colori, odori, sapori); non solo: che estensione, figura, movimento sono le sole proprietà dei corpi che si possano veramente conoscere, delle quali si può avere una "notizia intrinseca".
Galileo è convinto che i corpi, con le loro proprietà misurabili, esistono; ma non giustifica questa convinzione. O forse accenna ad una giustificazione quando distingue senso e discorso: ciò che è solo sentito è soggettivo, ciò che è intelligibile e base per un ragionamento è oggettivo.
Galileo dice che le qualità sensibili risiedono nel corpo sensitivo: chi sente, dunque, per lui non è uno spirito, una mens come per Cartesio, ma un corpo; il che vuol dire che le qualità sono per lui una realtà fisiologica, non una realtà spirituale. Ma che cos’è la realtà fisiologica? Che cosa fa sì che certi corpi abbiano il potere di produrre qualità? Galileo non risponde a questi problemi; anche qui il meccanicismo di Galileo non va fino in fondo, non è una concezione filosofica; si potrebbe quasi dire che è un meccanicismo metodico, che però dà luogo ad una serie di problemi che caratterizzano la filosofia moderna da Cartesio a Kant. Sono problemi nati dalla rivoluzione scientifica, e di questa Galileo è certo un protagonista, ci sono dunque buone ragioni per assegnare a Galileo, non filosofo, un posto di rilievo nella storia della filosofia.