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La responsabilità di un ricordo

“Bella ciao, è questo il fiore del partigiano morto per la libertà”, amore e morte, addii e sangue. Gli addii dei giovani eroi alle loro fidanzate, ragazzi esattamente come noi, disposti a rinunciare alla loro giovinezza e ai loro amori spinti dalla molla di combattere per l’emancipazione della loro gente; eroi simili a fiori, che crescono umilmente sulle montagne, alimentati dal sangue di chi combatte per i grandi valori.

Un pensiero che fa loro onore, il non poter non esserci in quella guerra, comunque vada, persino con la consapevolezza di andare incontro a una fine molto probabile; per questo motivo, come scrive Bidussa nel suo libro Dopo l’ultimo testimone, “quando l’ultimo partigiano sarà morto, la società sarà diversa”

Niente di più vero: saremo da soli a dover raccontare quello che è stato l’orrore della Shoah, saremo da soli a mantenere il ricordo, e soprattutto, saremo i soli ad aver la responsabilità che non si ripeta mai più.

Non rimarrà altro che un ricordo indiretto di ciò che è stato, e quello che è successo durante la mattinata ne è stato una prova: non ci è stato possibile avere l’onore di ascoltare le parole di Laura Fabbri, nipote di Matteotti. Con il passare degli anni, infatti, ci stiamo allontanando sempre di più dal periodo della Resistenza e, di conseguenza, i testimoni diretti sono sempre meno numerosi.

Quello che rimarrà è però la storia, che è quanto di più vivo ci possa essere, insieme al ricordo, che non viene cancellato dalla morte.

Quanto vale la memoria di un ricordo?

“Le parole passano, le emozioni restano nei ricordi”

Il 25 Aprile è il giorno in cui si celebra la festa della Resistenza: c’è chi vorrebbe rimuovere questa giornata dedicata al ricordo di un passato che purtroppo è esistito, e poi c’è chi, invece, non solo vuole conservarla e mantenerla viva, ma anche consolidarla. In merito a quest’ultimo obbiettivo, l’associazione A.N.P.I. organizza incontri tra studenti e i pochi  testimoni diretti, ancora vivi: ex-partigiani che, attraverso il racconto di ciò che hanno vissuto e di ciò a cui hanno preso parte, sono una preziosa fonte di insegnamento per le nuove generazioni.

L’esempio, forse, più significativo è la testimonianza di Francesca Laura Wronowsky (meglio conosciuta come “la partigiana Laura”), protagonista degli anni della Resistenza, che ha lottato per la propria libertà e soprattutto, in quanto donna, ha lottato per la propria dignità: “e quali scelte potevo fare? Potevo stare a casa, fare la sfollata e stare alla finestra… Beh, per temperamento non so stare alla finestra”. La sua determinazione non era casuale, era stata dettata da una serie di sfortunati eventi che aveva dovuto sopportare: l’assassinio dello zio Giacomo Matteotti, la morte in guerra del suo primo fidanzato, l’arresto del padre, la rinuncia a una vita normale e alla propria casa quando con la sua famiglia fu costretta a fuggire da Milano. Le ingiustizie subite, invece che scalfire il suo animo combattivo, l’hanno stimolata a reagire, a lottare e a sperare sempre di più in un’Italia libera e democratica, al punto tale da imbracciare il fucile e restare sulle montagne liguri, al fianco di altri partigiani fino all’Aprile del ’45.

Laura oggi ha più di novant’anni, ma questo non le impedisce di portare avanti le sue idee, né di combattere contro il negazionismo. Perché non ha smesso di sperare.

I latini, tanti anni fa, dicevano: “verba volant, scripta manent”; le parole volano, gli scritti restano, per sempre. Per sempre è tanto, davvero tanto. Forse troppo. Nemmeno un ricordo è eterno, perché una volta finito il nostro viaggio, viene via con noi, svanisce. È il tempo, che come un tiranno distrugge tutto, per rinnovare e dare nuova vita. Tanto crudele, quanto necessario; per vivere, per progredire, per poter gridare, piangere, correre, per poter respirare, e per poter dire “fermiamoci un attimo”. Io, proprio ora, ci sto provando, ma proprio non riesco a stare ferma, come quando ero piccola, e la vita era tutta davanti a me. Non ci fermiamo mai. O meglio, lui, il tempo, non si ferma mai; e noi di conseguenza, spazzati via da questo dio pagano che impazza come un uragano, e distrugge ogni cosa.
A volte, pensate, persino la memoria.
Però, forse, c’è qualcosa che nemmeno il tempo riesce a scalfire. Forse perché non se ne cura, è troppo accecato dal suo orgoglio, dalla sua voglia di annientare ogni cosa. Forse nemmeno lui stesso ha tempo da dedicarle.
É tanto bugiarda, quanto vitale, essenziale alla sopravvivenza, a volte quasi egoista, ma tremendamente istintiva, forse l’unica cosa pura che c’è rimasta ancora nel cuore.
E la cosa sbalorditiva, è che non si nutre di tempo.
È furba, troppo furba, per aspettare che quello la metta a digiuno.

Parlo della speranza.

Quella che io ho ritrovato ascoltando la testimonianza della partigiana Laura, che non dimenticherò.

…Sperando che queste parole, chissà, rimangano per sempre, proprio come dicevano i latini, uomini abbandonati dal tempo, e che un giorno qualcuno ritrovi dentro di sé quella voglia di far vivere la nostra costituzione, quella speranza, che finché ci batte il cuore, portiamo sempre dentro di noi.

Camilla Rizzi

Il coraggio nella rinuncia – La partigiana Laura

1 gennaio 1924, Milano. Nasce quella che diventerà la pioniera della Resistenza antifascista femminile, Francesca Laura Fabbri Wronowsky. Nasce in un ambiente liberale essendo strettamente imparentata con Giacomo Matteotti, assassinato dal governo fascista nel ’24. La grande storia della Resistenza la conoscono tutti, giovani ragazzi che si improvvisano eroi tentando di cacciare l’invasore tedesco, mossi unicamente dalla speranza di democrazia e libertà, ma la Resistenza partigiana ha visto protagoniste persone normali, comuni, che avevano una vita al di fuori della guerra, come Laura. La figura di Matteotti ha seguito la crescita della giovane partigiana, come un’ombra, segnando non solo le sue scelte, i suoi ideali e i suoi valori, ma anche la sua stessa vita. Lei stessa testimonia, parlando della sua giovinezza: “le amicizie finivano davanti al portone di scuola, nessuno veniva a casa da noi”; l’unico luogo in cui si sentiva normale, libera, senza paure, era il mare, il suo primo grande amore.

Laura racconta anche del suo secondo grande amore, Sergio Kasman, comandante di Giustizia e libertà a Milano, bellissimo ragazzo che conobbe la morte in battaglia, per mano dei nazisti. Il primo innamoramento è quello che si vive più intensamente, quello che si crede infinito e vederlo distrutto da una guerra fa crescere, impedisce di credere nell’invincibilità dei giovani e dell’amore, fa diventare adulti. Tutto questo fa riflettere, non solo, a livello prettamente storico, su quanto sia stato indispensabile l’intervento partigiano in Italia, ma anche su quanto coraggio debbano aver avuto questi giovani ragazzi, che hanno messo in gioco tutto ciò che avevano per un ideale in cui credevano profondamente.

Quanto deve essere difficile rinunciare alle amicizie durante l’infanzia e l’adolescenza? Quanto deve essere doloroso sapere il ragazzo che si ama morto in battaglia?

Quanto deve essere dura una vita piena di rinunce?

A quale scopo? Andare in guerra, rinunciare, combattere, mettere a rischio la propria vita per un risultato che non è certo che arrivi. Riflettiamo non solo sul coraggio di questi giovani, ma sul dolore, sulla disperazione, sul desiderio di libertà che hanno spinto a queste azioni.

Per noi oggi tutto è scontato, tutto è dovuto, per questa ragione è importante ricordare, in particolare attraverso testimonianze dirette che abbiano vissuto il dolore e siano disposte a condividerlo, in modo da rendere il ricordo fonte di insegnamento.

Nada Mansour