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San Tommaso d’Aquino: il grande innovatore

San Tommaso d'Aquino

Nell’arco dell’intera storia della filosofia, il frate domenicano Tommaso d’Aquino è stato di sicuro una delle personalità più influenti e, ancor oggi, conta un numero straordinario di “seguaci” della sua dottrina. Con tale pensatore la fiducia nella possibilità di conciliare fede e ragione, in nome di una concezione rigorosamente unitaria del sapere, raggiunge l’apice. Pochi anni dopo la sua morte le “nozze” fra filosofia e teologia entreranno in crisi.

Come mai questo pensatore ha avuto un così grande rilievo nella storia?

In primo luogo bisogna rilevare che la sua filosofia è importantissima per dottrina cattolica, ed avendo la religione cattolica quasi un miliardo e duecento milioni di credenti, appare quasi naturale che questo filosofo sia ancor adesso tra i più letti e commentati nel mondo.

Possiamo riassumere la sua grande novità rispetto al pensiero precedente in tre punti essenziali:

  1. Cambiamento importante nel pensiero religioso, in particolare per quanto riguarda la natura umana e ciò che l’uomo può dire della natura divina: fino ad allora i pensatori cristiani (compreso Agostino)
    • privilegiavano la “teologia negativa”: l’uomo non può affermare nulla intorno a Dio, perché, essendo l’essere stesso, è sostanzialmente qualcosa di indefinibile
    • svalutano il corpo che, legato alla terra, svia l’uomo dai suoi obiettivi ultraterreni
    • ritengono non vi sia alcuna somiglianza tra noi e Dio: egli è l’essere divino irraggiungibile e noi inutili creature terrene.

    Per Tommaso, al contrario,

    • ciò che noi possiamo dire di Dio non è del tutto sbagliato: di certo non potrà mai arrivare a determinare la sua grandezza, ma serve comunque ad esaltarla
    • il corpo deve essere rivaluto perché anch’esso è opera di Dio e ha un ruolo positivo nella vita umana
    • vi è una similitudine tra l’essere umano e Dio: infatti tutti gli esseri da lui creati traggono dal divino la loro essenza e l’uomo è tra quelli che ne trae di più perché è l’unico essere che ha in sé sia l’elemento spirituale (l’anima) sia l’elemento terreno (il corpo).
  2. Il rapporto tra fede e ragione, che è uno dei temi più importanti sviluppati nella sua filosofia: egli riprende il concetto agostiniano (“credo ut intelligam, intelligo ut credam”) e lo conferma, affermando anch’egli che fede e ragione devono trovare un accordo e collaborare, che filosofia e teologia sono scienze che vanno usate entrambe per raggiungere la verità. Per dare credito alla sua idea che fede e ragione possono collaborare, Tommaso compie una dimostrazione razionale dell’esistenza di Dio, rivelando così che il “credo quia absurdum” di Tertulliano è sbagliato come del resto tutte le correnti fideiste (di cui fa parte anche Guglielmo di Occam), le quali affermavano che nessuno degli attributi divini poteva essere oggetto di dimostrazione, altrimenti Dio non avrebbe compiuto il gesto inutile di rivelare all’uomo ciò che poteva scoprire con le sue sole forze.
  3. La sua teoria della conoscenza: Tommaso a riguardo espone una teoria realista, ossia l’uomo è in grado di conoscere la realtà che lo circonda; tale posizione è contrastata da filosofi come Guglielmo di Occam (il quale era un frate francescano; in quel periodo domenicani e francescani erano ordini religiosi avversi tra loro e, anche in ambito filosofico, avevano sempre posizioni contrastanti): questi filosofi sposavano una posizione nominalista, cioè l’uomo non ha alcuna possibilità di comprendere la realtà.

Dopo questo breve sunto, cerchiamo di analizzare più a fondo i tre elementi della dottrina di Tommaso.

Come citato sopra, fino a quel momento i filosofi cristiani prediligevano la “teologia negativa”, in altre parole, per quanto riguarda il nostro modo di predicare qualcosa di Dio, l’uomo è in grado solamente di dire cosa Dio non è (ad esempio: Dio non è cattivo, Dio non è ingannevole, Dio non è malvagio, ecc.), ma se volesse dire cosa Dio sia, non potrebbe perché la sua natura ineffabile fa sì che nulla di ciò che si professi di lui serva in qualche modo a comprendere il suo essere, il linguaggio umano non può far nulla per descriverlo. San Tommaso, invece, sebbene non si distacchi totalmente da tale tradizione, ritiene che ciò che noi diciamo di positivo sul suo conto (esempio: Dio è glorioso, onnipotente, onnisciente, ecc.), anche se non riesce comunque a estrapolare la sua essenza, serve comunque a valorizzare la sua magnificenza e a cogliere parte del suo essere. Per quanto riguarda invece la natura umana, secondo la “teologia negativa” l’uomo, fatto di anima e corpo, deve “disprezzare” la sua parte corporea che, essendo legata al mondo terreno, lo distoglie dai suoi obiettivi più importanti, ovvero il raggiungere la felicità nella vita ultraterrena. Tommaso al contrario rivaluta il corpo: dopotutto Dio ha creato l’uomo come unione di anima e corpo, ponendolo, di fatto, al confine tra il mondo delle sostanze spirituali (perché possiede l’anima) e il mondo terreno (perché possiede il corpo); il corpo, essendo in stretto legame con l’anima, ha anch’esso una funzione rilevante nel conseguimento della felicità terrena, che contribuisce così anche alla felicità ultraterrena, l’unica davvero importante per il vero cristiano. Il fatto che l’uomo sia un essere a metà strada tra le sostanze spirituali e il mondo terreno è inoltre un segno evidente della nostra somiglianza col divino.

Altra questione è la teoria della conoscenza secondo Tommaso. Nella storia della filosofia la gnoseologia (ossia “teoria della conoscenza”) è da sempre uno degli ambiti più trattati, la quale in particolare nel mondo medievale si divideva in due posizioni contrastanti: la posizione realista, secondo cui l’intelletto è in grado di conoscere la realtà, e la posizione nominalista (cui appartiene Guglielmo di Occam e uno dei più grandi scrittori contemporanei, Umberto Eco, che mostra la sua concezione nella sua opera “Il nome della rosa”: “nomina nuda tenemus”), secondo cui l’intelletto umano non riesce ad avere una conoscenza del reale e i nomi che noi diamo alle cose sono semplici etichette che noi poniamo agli oggetti che sembrano avere una vaga somiglianza. Tornando a Tommaso, la sua teoria della conoscenza viene esposta nel seguente modo: l’anima intellettiva umana non è in grado di apprendere direttamente gli intellegibili, ma può conoscere le forme delle cose solo nella loro unione con i corpi, in altre parole soltanto grazie all’esperienza sensibile. L’anima (fatta di facoltà attiva e passiva) considera le forme sensibili nel loro aspetto universale, ossia la facoltà attiva astrae gli elementi comuni (gli universali) e li imprime nella facoltà passiva, che conserva tutti gli universali raccolti.

Il rapporto tra fede e ragione è una questione piuttosto ampia che affonda le sue radici all’origine delle prime comunità cristiane e che è diventato col passare degli anni un problema sempre più importante dato che il cristianesimo si era ormai affermato come religione europea. Tale problema parte alle origini del cristianesimo con Tertulliano che condanna in modo categorico la ragione e la filosofia (“credo quia absurdum”); poi prosegue con Sant’Agostino, secondo il quale la fede è fondamento della ricerca razionale e la filosofia chiarisce i contenuti di fede, predisponendo l’uomo ad accoglierli (“credo ut intelligam, intelligo ut credam”); in seguito vi è Anselmo d’Aosta, il quale, non distaccandosi totalmente dalla posizione agostiniana, afferma che, anche se la fede ha un primato sulla ragione, quest’ultima chiarisce ciò che si possiede già con la fede (“credo ut intelligam”). Ed ecco che arriva Tommaso d’Aquino, che sotto molti aspetti rivela di avere punti in comune con Agostino: secondo la sua concezione unitaria del sapere, è impossibile che due scienze come filosofia e teologia siano separate, anche se la filosofia può creare contrasti con le verità di fede; dato che comunque la priorità va data alla rivelazione divina, in quei casi bisogna sottostare ai risultati raggiunti dal teologo. Entrambe le scienze tendono a un’unica verità, ma diverso è il modo di conoscerla: pur utilizzando entrambe il medesimo metodo di ricerca (tratto dalla logica aristotelica), partono però da premesse differenti, che in ambito teologico derivano dalla fede, mentre in ambito filosofico sono evidenti. Come conciliare dunque due scienze così diverse, una legata alla fede, l’altra alla ragione? Semplicemente la teologia ha il compito di fornire un sommo sapere speculativo e pratico, mentre la filosofia ha lo scopo di intendere sempre meglio i contenuti della rivelazione, di dimostrare che alcuni dogmi che la ragione umana è in gradi di indagare e capire (come l’esistenza di Dio e l’immortalità dell’anima) non siano contraddittori, di combattere le posizioni contrarie alla fede. Le due scienze non sono in contrasto, ma al contrario sono complementari.

Al giorno d’oggi, in cui l’uomo è ormai approdato a una visione laica della vita, completamente distaccata dalla religione e dal sapere teologico, come si può conciliare la filosofia di un pensatore cristiano medievale, che ritiene che filosofia e teologia siano semplicemente due facce di una stessa moneta?

Secondo me, bisognerebbe partire dal presupposto del perché esista la religione e perché, fin dall’antichità, l’uomo ha avuto bisogno di credere in uno o più enti soprannaturali. Una reale spiegazione credo che sia impossibile trovarla, ma per me è possibile dimostrare l’esigenza per l’uomo di una religione. Prendiamo in esame due casi: al giorno d’oggi se andiamo in mezzo alle tribù eschimesi, possiamo notare che essi possiedono una loro religione seppur animista, lo stesso vale se andiamo in mezzo alle tribù amazzoniche o a qualsiasi altra popolazione tribale o civilizzata; tutti possiedono una religione e questo è un primo elemento per dimostrare il bisogno religioso dell’uomo. La seconda via riguarda l’analisi storica: se prendiamo in considerazione i nostri antenati, come l’homo sapiens di Neanderthal, o le prime tribù nomadi preistoriche, possedevano anche loro una religione. Quindi appare quasi evidente che l’essere umano, unico dotato di ratio, abbia bisogno di credere in uno o più enti sovrumani.

Dunque perché ci meravigliamo che nel corso della storia parte fondamentale della filosofia sia stata dedicata alla religione? Del resto Tommaso non ha fatto altro che incarnare in modo straordinario la mentalità della sua epoca.

Questa breve precisazione, forse un po’ fuori luogo, aveva semplicemente lo scopo di convincere il lettore che, anche se viviamo ormai in una società che si ritrova quasi al rifiuto della religione, è altrettanto vero che la società occidentale affonda le sue tradizioni nel credo cristiano e involontariamente ne siamo ancora molto influenzati. Quindi è inutile cercare di fuggire dal “mos maiorum”, ma dovremmo piuttosto cercare di conciliare tradizione e innovazione, che è ciò che la Chiesa in questi anni sta cercando di compiere.

Dopotutto è quello che ha fatto Tommaso ai suoi tempi, ha conciliato la tradizione della rivelazione divina con gli scritti aristotelici che in quel periodo, grazie alla formazione delle università e ad illustri personalità come Guglielmo di Moerbeke, si stavano diffondendo con una rapidità impressionante, tanto da essere stati più volte oggetto di censura da parte della Chiesa.

Ritorniamo al commento del pensiero di Tommaso. Secondo me, riguardo al superamento della “teologia negativa” vi è poco da condividere ai giorni nostri, perché, trattandosi di ciò che si professa di Dio e della natura umana sotto l’aspetto religioso, riguarda comunque qualcosa di strettamente teologico, non riguardante la società laica moderna; tale problema tuttavia interessa l’ambito della Chiesa che ha confermato la posizione di Tommaso riguardo a quel problema teologico.

Più interessante risulta invece l’ambito gnoseologico che nel corso della storia è stato trattato dalla maggior parte dei filosofi, fino ad arrivare, come già detto prima, ai giorni nostri con Umberto Eco, fautore della posizione nominalista. A mio parere, la posizione realista, di cui fa parte Tommaso, è quella più “giusta” da sposare, perché dà grande rilievo al ruolo della ragione umana. Io ritengo infatti che, se per assurdo non avessimo realmente la possibilità di conoscere la realtà, l’uomo non avrebbe in sé la sua insaziabile sete di sapere e il progresso a cui siamo pervenuti nei giorni nostri non avrebbe mai potuto realizzarsi; del resto se i nominalisti come Occam avessero ragione, periodi storici come il Rinascimento, in cui l’uomo rivaluta la sua ragione, pensa, desidera una conoscenza approfondita della realtà, non sarebbero mai potuti esistere.

Altro ambito è il rapporto fede-ragione. Anche quest’altro nodo fondamentale della dottrina di Tommaso è difficile da ricondurre ai giorni nostri per via della sua natura teologica, ma trattando anche di ragione è più facilmente interpretabile. Se fossi un credente ferreo, sarei completamente d’accordo con Tommaso perché se esiste un modo per cui fede e ragione possano collaborare e per cui le verità di fede possano essere dimostrate, ne andrei subito in cerca. Ma essendo un soggetto critico verso la religione, non credo di poter essere d’accordo con Tommaso, perché secondo me la teologia parte da presupposti non condivisibili da tutti, ma solo dai credenti. All’interno delle visioni cristiane di sicuro Tommaso ha una posizione migliore rispetto al fideismo, ma risulta comunque difficile da conciliare con la visione moderna del mondo.

In tale discorso rientrano le sue famose prove dell’esistenza di Dio, che, devo ammettere, adducono forti argomentazioni a sostegno della tesi, ma si poggiano comunque su premesse non del tutto concrete.

Io ammetto che l’uomo abbia bisogno di credere nel divino, ma è davvero possibile dimostrare l’esistenza di Dio con le sole risorse del mondo sensibile? Lascio la questione aperta, poiché neanche io ho una soluzione a riguardo.

Confutazione delle 5 prove dell’esistenza di Dio

Tommaso d’Aquino nella Summa theologiae propone 5 prove dell’esistenza di Dio. Queste prove riscossero grande successo al suo tempo e furono indubbiamente frutto di una grande deduzione logica, tuttavia zoppicano in alcuni punti e alla luce delle nostre nuove conoscenze risultano altamente improbabili; ora tenterò quindi di confutarle.

La prima via e la più evidente, è quella che parte dal moto. È certo infatti e consta ai sensi, che alcune cose si muovono. Ora tutto ciò che si muove è mosso da altri … Muovere, infatti, vuol dire trarre dalla potenza all’atto: ora una cosa non può essere portata all’atto se non in virtù di un ente che sia già in atto … Se, dunque, ciò da cui deriva il moto si muove a sua volta, sarà necessario che anch’esso sia mosso da un terzo, e questo da un quarto. Ma in questo caso non si può procedere all’infinito … Dunque è necessario arrivare ad una prima ragione del mutamento che non muti affatto; e tutti riconoscono che esso è Dio.

La seconda via parte dalla nozione di causa efficiente. Vediamo infatti, nelle cose che cadono sotto i sensi, un ordine di cause efficienti; tuttavia non si vede, né è possibile, che una cosa sia causa efficiente di sé stessa, poiché, se così fosse, una cosa dovrebbe essere prima di sé stessa, il che è impossibile.(Ogni causa precede sempre i suoi effetti). Ma non è possibile che nelle cause efficienti si proceda all’infinito… Dunque è necessario porre una prima causa efficiente, che tutti chiamano Dio.

Tommaso ritiene a ragione, che esista una causa efficiente prima ingenerata e non causata da altro che metta in moto le varie cause successive, tuttavia se si considera il concetto di causa e effetto, bisogna ammettere che questo è limitato in un certo tempo e uno certo spazio mentre Dio è al difuori di questi concetti perché non è “presente” nello spazio e non è influenzato dal concetto di tempo. Inoltre, o ammettiamo che tutte le cose hanno una causa (quindi anche Dio), oppure esiste qualcosa di non causato che sia causa di tutto il resto. Questo potrebbe essere l’energia o la materia, o anche più enti, infatti se si ammette l’esistenza di qualcosa ingenerato non è detto che sia uno e uno solo.
Attribuire questo ruolo ad un essere superiore significa cercare di dare una spiegazione a fenomeni immanenti di cui non si ha i mezzi e le conoscenze materiali per poterli spiegare razionalmente.
Oggi sappiamo che l’energia non si crea e non si distrugge ed è la causa di tutti i fenomeni fisici che possiamo osservare.

La terza via è presa possibile e dal necessario, ed è questa. Tra le cose noi ne troviamo di quelle che possono essere o non essere; infatti alcune cose nascono e finiscono, il che vuol dire che possono essere e non essere. Ora, è impossibile che tutte le cose di tal natura siano sempre state, perché ciò che può non essere un tempo non esisteva. Se dunque tutte le cose esistenti in natura sono tali che possono non esistere, in un dato momento niente ci fu nella realtà. Ma se questo è vero, anche ora non esisterebbe niente, perché ciò che non esiste, non comincia ad esistere se non per qualcosa che è. Dunque, se non c’era ente alcuno, è impossibile che qualcosa cominciasse ad esistere e così anche ora non ci sarebbe niente, il che è evidentemente falso. […]Dunque bisogna concludere all’esistenza di un essere che sia di per sé necessario, e non tragga da altri la propria necessità, ma sia causa di necessità agli altri. E questi tutti dicono Dio.

Come detto sopra San Tommaso non trovando queste qualità in alcun ente materiale le attribuisce a Dio, tuttavia per poter fare questa affermazione, prima dovrebbe aver potuto vedere ogni cosa materiale e accertarsi che potesse anche non esistere. Inoltre noi oggi possiamo ancora una volta attribuire queste caratteristiche all’energia che, come sappiamo, non può essere creata ne distrutta, e può a sua volta diventare materia che poi si può plasmare nei vari enti che compongono l’universo. E ancora possiamo pensare che i singoli enti possano non essere necessari mentre sia necessario il loro insieme, per esempio per fare una macedonia servono vari frutti ma nessuno di essi è fondamentale, mentre è necessario il loro insieme infatti deve esserci più di un tipo di frutto.

La quarta via parte dai gradi di perfezione che si riscontrano nelle cose. C’è infatti nelle cose il più e il meno buono, il più e il meno vero, il più e meno nobile, e così via. Ma il più e il meno si dicono di cose diverse in quanto si avvicinano diversamente ad un massimo, come è più caldo ciò che si avvicina di più a ciò che è caldo al massimo. Vi è dunque un essere verissimo e ottimo e nobilissimo, e quindi qualcosa che è in grado massimo … Ora ciò che è massimo in un genere è causa di tutto ciò che appartiene a quel genere … Vi è dunque qualcosa che è causa dell’essere, della bontà e della perfezione di tutti gli enti, e quello chiamiamo Dio.

Questa dimostrazione non regge poiché per stabilire un rapporto tra due enti basta confrontarli tra di loro e non serve paragonarli ad un terzo ente che rappresenta il massimo termine di paragone. Per esempio si può affermare che il topo è più piccolo dell’ orso senza conoscere l’elefante.

La quinta via parte dal governo delle cose. Vediamo infatti che alcuni enti privi di conoscenza, ossia i corpi naturali, operano per un fine; il che risulta dal fatto che operano sempre o il più delle volte in modo da conseguire ciò che è il meglio. Da ciò è manifesto che non raggiungono il fine per caso, ma perché vi sono orientati. Ora gli enti che non hanno conoscenza non tendono al fine se non vi sono diretti da uno che ha conoscenza e intelligenza, come la freccia è diretta dall’arciere. Dunque vi è un principio intelligente dal quale tutte le cose della natura sono ordinate ad un fine, e questo chiamiamo Dio.

Il fatto che un ente naturale e privo di conoscenza giunga apparentemente ad un presunto fine non implica che questo sia mosso da Dio. È normale che corpi apparentemente simili si comportino allo stesso modo perché hanno le stesse caratteristiche fisiche. Il sale si scioglie sempre in acqua e possiamo dire che questo succede a causa delle sue proprietà chimico-fisiche e non perché è predisposto a conseguire una presunta perfezione. Inoltre in natura esistono molti fenomeni ed enti dal comportamento ciclico (per esempio gli astri) e che quindi non tendono ad un fine e non sono in alcun modo ordinati. Tommaso fa un’analogia tra degli enti privi di conoscenza di cui sappiamo per esperienza che vengono effettivamente mossi verso il loro fine da enti intelligenti ed altri enti che sembrano anch’essi mossi verso un fine, e poiché non ci fa capire chi li muova attribuisce questo ruolo a Dio. Ma un ragionamento analogico, soprattutto quando esce dal campo dell’esperienza, non ha mai il valore di una prova stringente.

Tommaso d'Aquino, dipinto di Sandro Botticelli
Tommaso d’Aquino, dipinto di Sandro Botticelli

La libertà di S. Tommaso d’Aquino

S. Tommaso d’Aquino spiega che l’uomo non sarebbe pienamente uomo se non mirasse a qualcosa che sta al di sopra dell’uomo stesso. La ragione umana può dimostrare che Dio esiste risalendo quindi a Dio dalla realtà, ma l’uomo non può arrivare al suo destino se non attraverso la sua libertà. La libertà è la capacità che l’uomo ha di essere arbitro, cioè padrone delle proprie azioni, scegliendo tra varie possibilità e alternative: di agire oppure di non agire, di fare una cosa piuttosto che un’altra. Se l’uomo fosse portato al suo destino senza libertà, non potrebbe essere felice, non sarebbe una felicità sua, non sarebbe il suo destino. E’ attraverso la sua libertà che il destino, il fine, lo scopo, l’oggetto ultimo può diventare risposta per lui. Il destino è qualcosa di fronte al quale l’uomo è responsabile, è frutto della libertà. La libertà dunque ha a che fare non solo con l’essere protesi a Dio come coerenza di vita ma anche con la scoperta di Dio. Ci sono tanti scienziati, letterati che approfondendo la loro esperienza, hanno scoperto Dio, e tanti che invece hanno creduto di eliminare Dio attraverso i loro studi. Questo significa che riconoscere Dio non è un problema né di scienza né di sensibilità estetica o filosofica, ma è un problema di libertà. La volontà dell’uomo impone delle scelte buone o cattive seguendo un proprio giudizio. La grazia divina “infonde” virtù che portano l’uomo ad una felicità che in questa vita non si potrà trovare. Nel fare ciò, la grazia non distrugge la libertà umana perché ciascuno si muove secondo la propria volontà, liberamente. La grazia divina è dunque indispensabile perché l’uomo voglia il bene e raggiunga la felicità, ma è una grazia che l’uomo vuole liberamente e che quindi “non ha luogo senza un movimento del libero arbitrio”. Ciò significa che ogni uomo decide o meno di chiedere la grazia per sé, e quando la chiede lo fa perché è cosciente di non essere in grado, senza di essa, di raggiungere il proprio destino.

San Tommaso: il rapporto tra fede e ragione

Tommaso d'Aquino


Tommaso d’Aquino, nato intorno al 1225 e morto il 7 Marzo 1274, è ritenuto uno dei maggiori pensatori del Medioevo. Egli era un domenicano che ispirò la sua riflessione teologica alla dottrina del filosofo greco Aristotele, cercando di conciliarla con la tradizione cristiana.

San Tommaso aveva una concezione unitaria del sapere: riteneva che la filosofia e la teologia fossero due ambiti strettamente connessi.

Ciò contrastava con le convinzioni diffuse in quel periodo, secondo le quali esse erano due attività intellettuali distinte poiché la filosofia spesso si opponeva ad alcuni concetti cristiani; in particolare molte autorità civili ed ecclesiastiche avevano tentato di censurare la dottrina aristotelica, ma ciò ebbe uno scarso successo, dato che essa continuò ad influenzare e affascinare il mondo medievale.

Inoltre bisogna considerare che nel mondo latino, molto più che nel mondo arabo, vi erano numerosi seguaci (tra i quali spicca Boezio di Dacia) dell’averroismo, ossia il pensiero filosofico e scientifico di Averroè e della sua scuola. Esso affermava tra le sue tesi la subordinazione della fede alle verità di ragione (ritenuta l’unico organo idoneo ad acquisire conoscenze scientifiche), l’eternità della materia e del mondo, l’unicità dell’intelletto possibile per tutti gli uomini (definita “monopsichismo”). Molti suoi seguaci però non concordavano con il commentatore arabo a proposito del rapporto fede – ragione, affermando la loro separazione, ma non contrapposizione (in quanto le verità razionali possono essere in contrasto, ma non invalidare le verità rivelate). Gli averroisti latini affermavano il primato della fede sulla ragione e distinguevano i principi, i mezzi e gli ambiti da cui derivavano le conclusioni divergenti. Questa posizione fu osteggiata da molti pensatori medievali come Bonaventura e lo stesso Tommaso d’Aquino, che vedevano in essa il pericolo di cadere in una doppia verità. Quest’ultima è una dottrina attribuita proprio ad alcuni scolastici medievali, secondo la quale devono essere considerate simultaneamente vere una conclusione raggiunta dalla ricerca filosofica e una contraria accettata per fede . Averroè fu a lungo considerato il fautore di questa dottrina, ma in realtà egli sostenne che religione e filosofia hanno funzioni e destinatari differenti: la prima esprime la verità per l’azione e prepara allo studio della seconda, la quale, avendo di mira la speculazione, può riguardare un numero di persone più limitato. Dunque la verità è una sola, ma diverso è il modo di conoscerla.

Il maestro di Tommaso, Alberto Magno, sosteneva la tesi delle autorità, considerando che la fede si basa sulla rivelazione divina, mentre la ragione si può occupare solo di quanto le è accessibile; però egli pensava che si dovesse avere il diritto di studiare anche la fisica e la filosofia aristotelica per capire meglio le leggi che governano il mondo naturale.

Tommaso d’Aquino riconosce che teologia e filosofia partono da premesse differenti, perché la prima inizia la sua indagine e riflessione da verità accolte, a cui si crede per fede, al contrario la seconda analizza fenomeni e concetti evidenti, che si possono raggiungere razionalmente. Egli però ritiene che esse si servano dello stesso metodo scientifico, ossia il criterio aristotelico, per giungere a delle conclusioni; quindi non ci possono essere contraddizioni tra la scienza teologica e quella filosofica, ma nel caso in cui esse esprimano tesi contrastanti, Tommaso afferma che la teologia è superiore in quanto i suoi principi sono infallibili perché ottenuti dalla rivelazione divina, dunque la contraddizione è data da un uso scorretto della ragione, che può arrivare a conoscere da sola esclusivamente una parte dei dogmi affermati nelle Sacre Scritture.

Inoltre secondo San Tommaso la teologia deve fornire un sommo sapere speculativo e pratico, mentre la filosofia ha il compito di dimostrare la non contraddittorietà dei preamboli di fede (come l’affermazione dell’esistenza di Dio, la definizione di esso, dei suoi attributi e l’immortalità dell’anima), deve combattere eventuali posizioni contrarie ad essa e infine chiarire i misteri della fede attraverso analogie e similitudini. Tutte queste funzioni configurano la filosofia anche come una teologia “naturale”.

Dunque egli ritiene che, oltre ad alcuni contenuti religiosi inaccessibili per la ragione umana, ve ne sono altri che essa può arrivare a conoscere e approfondire razionalmente.

Rispetto a visioni tetre, cupe come quella incarnata da San Pier Damiani, il cui centro è la visione religiosa del mondo, la superiorità di essa rispetto ad ogni elemento e il disprezzo delle questioni umane e terrene, Tommaso appare come un innovatore perché egli comprende che non si può credere nell’assurdo, ma che anzi fede e ragione debbono necessariamente collaborare; San Tommaso sostiene dunque il principio formulato da Sant’Agostino “Credo ut intelligam, intelligo ut credam” (“Credo per comprendere, comprendo per credere”). Per questo il teologo domenicano rivaluta il corpo e il mondo terreno.

Il rapporto fede – ragione è stato a lungo oggetto d’indagine, analisi e discussione per diversi filosofi e teologi, ma in realtà esso è stato, è e probabilmente sarà un tema di riflessione per tutti gli uomini di ogni periodo storico, anche nella società attuale.

Io penso che questo sia un argomento molto delicato, che coinvolge tutti in prima persona e su cui è difficile, anzi impossibile, trovare considerazioni condivise.

In una società laica come la nostra, la cultura e il modo di pensare stanno diventando sempre più autonomi dalla religione; ciò porta a credere che la teoria esposta da San Tommaso sia difficile da mettere in atto, perché mentre la fede esprime assiomi ritenuti veri per fiducia nella rivelazione divina, invece la ragione si basa, come detto, solo su elementi logici, deducibili dalla diretta osservazione e dall’esperienza di ognuno di noi.

Inoltre personalmente non ritengo che entrambe siano improntate ad un metodo scientifico, perché esso richiede dei principi evidenti e universalmente noti, quindi può esserlo solo la filosofia, la ragione (anche se Tommaso afferma che la teologia è una scienza perché i principi religiosi acquistano un’evidenza speciale agli occhi del credente, anche perché essi derivano dalla conoscenza che Dio ha di se stesso, trasmessa agli uomini attraverso la rivelazione). Poi ci sono casi in cui esse cadono in contraddizione tra di loro, giungendo a conclusioni divergenti; di ciò era consapevole anche Tommaso e, proprio per questo, egli capì che per esporre il suo pensiero era necessario trovare un punto d’incontro per entrambe e conciliarle (e lo fece infatti affermando che anche la teologia è una scienza).

Nonostante ciò, come afferma Tommaso, sia teologia che filosofia cercano di raggiungere conclusioni veritiere e penso che non si possa negare che esse sono in continuo contatto, confronto e si influenzano a vicenda, perché comunque bisogna considerare che la nostra razionalità si trova a vivere e operare in un contesto di tradizioni e usanze fortemente caratterizzate dalle credenze religiose.

L’attualità del pensiero di Tommaso d’Aquino si può riscontrare anche nella lettera enciclica “Fides et Ratio”, promulgata da Papa Giovanni Paolo II nel 1998. In essa egli afferma che “La Fede e la Ragione sono come le due ali con le quali lo spirito umano s’innalza verso la contemplazione della verità”. Con questa metafora, il Papa spiega che fede e ragione non si escludono, ma al contrario si completano e si sostengono a vicenda. Spesso l’uomo tende ad utilizzare una sola delle due ali, trovando poi difficoltà a proseguire nel percorso di ricerca della verità, perché quest’ultima può essere raggiunta solo con il dialogo e l’interazione tra fede e ragione (che da sole risultano incomplete). Il Papa inoltre spiega che inizialmente l’uomo non riesce a trovare risposte razionali alle verità religiose rivelate, quindi è necessario in un primo momento invocare la fede per proseguire successivamente la ricerca della verità con l’intelletto, che è indispensabile per capire le rivelazioni divine, che dunque non vanno accettate, ma conosciute, pensate e analizzate dalla ragione.