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Terminato anche quest’anno il progetto GTL MIT

Anche quest’anno è terminato il progetto GTL MIT. Gli studenti Andrew Lin, Sam Solomon e Audrey Pettigrew, del MIT di Boston, hanno svolto lezioni di fisica e matematica in inglese nelle classi del triennio del liceo scientifico e del liceo scienze umane, i primi due a Rozzano e la terza a Noverasco, tra il 7 ed il 28 gennaio 2020. Il progetto si è concluso con la soddisfazione di tutti i partecipanti, studenti, professori, studenti del MIT e famiglie che hanno ospitato gli studenti del MIT. A questo proposito è utile riportare quanto mi ha scritto uno dei genitori, di due ex studenti del Calvino, in proposito: “… ritengo che l’opportunità che mi è stata offerta … sia stata eccezionale, ci permette di confrontarci con ragazzi provenienti da un diverso stato, con una diversa cultura e con una difficoltà in più derivante dalla lingua, che ha tuttavia permesso a me di rispolverare le mie scarse conoscenze della lingua inglese, a mia moglie la capacità d’accoglienza che la contraddistingue, ai miei figli di rinnovare l’inglese imparato con proficuo nell’Istituto Calvino che, spero, abbia sempre il top a livello di insegnanti.
Non ho parole per spiegarle come Sam, ed Andrew, siano integrati nelle famiglie d’appoggio, ma allo stesso tempo vorrei evidenziare come queste esperienze siano importanti sia per i nostri ragazzi che eccitanti per questi giovani che affrontano un’esperienza molto particolare ma sicuramente molto importante e diversa da ciò a cui sono abituati.
Spero che riusciate a fare in modo che le famiglie ospitanti siano molte di più di quelle poche che oggi hanno accettato questa possibilità.
Grazie mille, sono veramente contento. Buona settimana.”

Sam in aula
Nella foto i due studenti del MIT che hanno lavorato a Rozzano con alcuni dei docenti che hanno partecipato

Ringraziamo tutti per la riuscita del progetto, dagli studenti per la collaborazione, ai colleghi che hanno ceduto alcune loro ore, ai colleghi del dipartimento di matematica e fisica che hanno contribuito alla riuscita del progetto, agli studenti del MIT per l’impegno e per aver scelto il nostro Paese, al direttore ed al personale amministrativo per il loro prezioso lavoro, alla direzione per la disponibilità e l’incoraggiamento, ma soprattutto alle famiglie che hanno ospitato i tre studenti americani. Nella foto i due studenti del MIT che hanno lavorato a Rozzano con alcuni dei docenti che hanno partecipato al progetto.

La scuola che vorrei

Solitamente il passato è errore, il presente è redenzione ed il futuro è rinascita.

Questo funziona sia nelle religioni e riadattandolo anche nelle scienze, ovunque.

Funziona o funzionava?

Nietszche, 130 anni fa, aveva previsto che saremmo andati incontro ad una società nichilista, senza uno scopo.

Il problema, infatti, è che ora sembra manchino le prospettive “rosee” per il futuro, anzi ora sembra mancare proprio il futuro.

Tutto ciò ha effetti devastanti sulla psiche di ogni uomo, in primis sui ragazzi.

Basta osservarli… Continua la lettura di La scuola che vorrei

Binario 21

Nell’ambito del progetto sulla “legalità”, la classe VaD ITE, accompagnata dalla professoressa Maria Teresa Avaldi, si è recata presso il Binario 21. La visita non ha lasciato di certo indifferenti gli studenti, i quali hanno descritto sentimenti e stati d’animo suscitati da tale esperienza.

Memoriale della Shoah binario 21
Memoriale della Shoah di Milano

È un giorno qualunque della settimana, in cui generalmente la scuola è il tuo unico pensiero. Ma oggi è diverso, io e la mia classe andremo a visitare il Memoriale della Shoah. Mi alzo e mi preparo. Come tutte le mattine pensando a quello che avrei visto e conosciuto quest’oggi. Appena varcato il portone della mia palazzina, scruto il cielo e mi soffermo sul grigiore di quest’ultimo, l’acquerugiola mi accarezza il viso e in quell’ istante capisco che qualcosa di insolito era nell’ aria. Non gli do molto peso, anzi dimentico quasi l’ importanza della visita al Binario 21. Si, perchè a questa età difficilmente si riesce a dare il giusto peso a ciò che ci circonda, molto spesso rimaniamo impassibili come se nulla ci sfiorasse, scherzando e sminuendo esperienze di rilievo. È anche questa la “bellezza” dell’ essere giovani e spensierati, anche se è proprio con esperienze di questo tipo che si crea quel senso critico in noi stessi, che ci caratterizzerà per tutta la vita. Ed è proprio questo “sentire”, che contraddistingue una persona priva di cultura e di una propria visione della vita e della storia, da un individuo in grado di dare un proprio punto di vista con un pensiero e una riflessione ragionata, un pensiero che possa lasciare degli insegnamenti e dei valori che influiscano positivamente sulla vita di noi giovani.
Una volta arrivati davanti al Memoriale, mi stupisce subito la sua collocazione. Infatti, la Stazione Centrale di Milano è una delle poche in Europa ad essere sviluppata su due piani, con un pian terreno e un primo piano. Quest‘ultimo è quello che tutti noi conosciamo o abbiamo almeno visto una volta nella nostra vita, dove i treni partono dai binari, verso una moltitudine di destinazioni. Il pian terreno, è oramai adibito ad area museale, ma quello che lo contraddistingue è sicuramente la sua storia. Questo piano “nascosto”, veniva usato come una vera e propria stazione destinata allo scarico e carico dei treni postali e del bestiame. Quale miglior posto, avrebbe rispecchiato e allo stesso tempo mascherato quello che si celava dietro le leggi fascistissime del 1925. Grazie alla tecnologia utilizzata dagli ingegneri italiani del tempo, questo piano, tramite un geniale montacarichi, permetteva la risalita dei vagoni bestiame, straripanti di povera gente. Ma, cosa ancor più interessante, è che questi treni, grazie alla collocazione del montacarichi, partivano per i maggiori campi di concentramento e di sterminio senza essere visti, in quanto i vagoni erano collocati al di fuori della stazione centrale. Infatti questi treni vennero soprannominati “treni fantasma”. Numerose persone negarono ogni tipo di violenza o di esistenza di questo vero e proprio smercio di persone.
Persone che avevano ormai perso ogni tipo di dignità, trattate come animali, private della propria personalità, standardizzate, private persino del proprio ramo famigliare. Venivano infatti catturate famiglie intere in maniera tale da eliminare dalla radice il “problema”.
Il sentimento che più distrusse il cuore di questa povera gente che era perfettamente integrata e rivestiva ruoli di tutto rilievo nella società di allora, fu quello dell’indifferenza. Indifferenza del popolo Italiano di fronte ad uno scempio di questa grandezza, indifferenza dettata dall‘opportunismo generale della stragrande maggioranza dei nostri antenati che non sono riusciti a denunciare questi atti osceni. Funzionari italiani e capi treno che nella maggior parte dei casi hanno sempre messo le mani davanti a occhi ed orecchie, compreso lo Stato e la Chiesa.
Famiglie che vengono ricordate attraverso un lungo muro, con i pochi superstiti che vengono evidenziati, la parola indifferenza che viene incisa a sua volta in un‘altra parete che si innalza all’entrata del Memoriale.
Grazie ad una ristrutturazione molto ben studiata all’interno del Memoriale riusciamo, chiudendo gli occhi, a percepire quello che potevano provare queste persone. I treni che passano al di sopra ci fanno immergere in una atmosfera surreale che ci mette quasi i brividi. Mi immedesimo in quelle persone che non sapevano neanche a cosa andassero
Incontro; la maggior parte infatti pensava che andassero a lavorare, ma non tornarono mai più dai propri cari.
Questa struttura al giorno d’oggi, rappresenta il ricordo di questo periodo buio della nostra storia che non deve essere mai più dimenticato. Queste famiglie sterminate devono lasciare un insegnamento nei nostri cuori, un amore reciproco tra tutte le persone che condividono lo stesso cielo, un senso di appartenenza al mondo che nessuno può portarci via.
Appartenenza che viene attuata con il progetto per l’accoglienza ai migranti, infatti questa struttura grazie parecchi volontari è stata adibita, soprattutto nei periodi estivi, come dormitorio per i migliaia di profughi presenti sul nostro territorio. Il Memoriale quindi svolge più funzioni, in primo luogo quello del ricordo di questi tristi momenti e in secondo luogo quello dell’accoglienza e quindi dell’ amore verso delle persone di differente nazionalità, religione e pensiero.
In via definitiva penso che questa esperienza mi abbia lasciato svariate emozioni, dalla tristezza, alla rabbia per la stupidità e superficialità del nostro popolo, alla curiosità di andare in visita ai maggiori campi di concentramento e sterminio d’Europa per rievocare nuove emozioni nel mio cuore. Ma, la cosa che più ho apprezzato è il fatto di poter raccontare con più senso critico questo argomento fondamentale per la nostra esistenza, di poterlo condividere con i miei coetanei per cercare di suscitare le stesse emozioni, che io stesso ho provato sulla mia pelle.

Alberto Bonacossa

muro dei nomi
Muro dei nomi del memoriale

L’indifferenza, uno dei più grandi mali del mondo contemporaneo. Il ricordo che riaffiora, facendo riaprire quelle ferite mai chiuse e causate da persone senza scrupoli, accecati da interessi puramente politico-economici e da manie di grandezza e potere. Come sempre è la gente innocente a subire quelle conseguenze che hanno portato il mondo a scrivere la pagina più nera della sua epoca contemporanea. Un grande muro nero con incisa la scritta “indifferenza” è stato installato all’ingresso del museo situato al livello zero della stazione centrale di Milano. Questo muro è stata la cosa che più mi ha impressionato e che tutt’ora mi fa molta paura. Un “sentimento”, se così che si può definire, molto condiviso al giorno d’oggi e che in molti casi può sfociare in quello che si chiama egoismo. Ed è proprio quell’egoismo che ha portato alle leggi razziali approvate da paesi come l’Italia e la Germania. Quegli stessi Paesi che oggi si professano democratici e rispettosi dei diritti umani. Proprio quella stessa Germania che nonostante sia stata coinvolta in prima linea in quei brutali crimini, si ostina oggi a non voler ricordare. Quei treni che partivano da quel maledetto binario, nascosto agli occhi di tutti, ma vicino al quale si stavano consumando i più grandi crimini contro i diritti e la dignità di persone, uomini, donne e bambini innocenti, e vittime soprattutto dell’indifferenza. Proprio quel treno, ormai diventato museo, racconta nel suo silenzio quei drammatici momenti e quelle devastanti deportazioni che hanno provocato terrore e sdegno subito dopo la loro scoperta. Una visita, questa del binario 21, che deve far riflettere e deve far capire quanto l’uomo può far male ai suoi stessi simili. Simili, perché non esistono razze, non esistono religioni, non esistono filosofie di pensiero che possano giustificare questi atti inumani. Ma come la storia insegna, è dagli errori che si ricomincia e si riparte, sempre ricordando quello che è accaduto nel passato, anche più remoto, per evitare di inciampare nei medesimi sbagli.

Simone Scavilla

binario 21
Il binario 21 del memoriale

Indifferenza. La parola che ci ha accolto proprio sotto la stazione Centrale di Milano, all’inizio della nostra visita, incisa in un grande muro di pietra.

La parola che più mi ha fatto riflettere. L’indifferenza delle persone verso l’avvenimento più triste e folle della nostra storia. Nostra non solo perché ci riguarda come esseri umani, ma perché proprio in Italia, a Milano, sotto la stazione Centrale, si trova il Binario 21.

Utilizzato per anni come mezzo di deportazione degli ebrei verso i campi di sterminio nazisti dove, prima dello sterminio fisico, veniva sterminata la loro dignità. Gettati in questi treni e rinchiusi per settimane senza cibo né acqua, senza un minimo di igiene, senza distinzione tra uomo o donna, bambino o anziano.

Non erano persone, almeno, non lo erano più.

Una volta entrati in questi “mezzi dello sterminio” uscirne vivi era impossibile… Pensare che molti di essi erano gli stessi che in passato servirono la patria. Esatto. Gli stessi italiani, solo per professare un credo differente o perché di origine ebraica, venivano rapiti e fatti sparire, cancellandoli dalla società.

Questo memoriale della shoa è stato ideato per non dimenticare. Per far si che la parola indifferenza, quella che Antonio Gramsci definì come <<il peso morto della storia>>, rimanga nelle nostre menti e ci ricordi cosa ha causato.

Sì, perché il compito della storia è proprio quello di far si che certe cose insegnino, che non bisogna dimenticare, poiché cosi facendo rischieremmo di commettere gli stessi errori che ci hanno segnato nel passato e che se commessi di nuovo ci segnerebbero per il resto della vita.

A questo proposito è stato ideato il Muro dei Nomi, un muro che, oltre a farci ricordare il terribile evento, serve a restituire quella dignità che tempo fa, i nostri antenati, avevano perso.

All’interno del memoriale si trova anche un luogo di riflessione e raccoglimento. Questo non vuole essere soltanto un monumento alla memoria di chi non c’è più, ma vuole ricordare di non rimanere indifferenti. Sì, perché ricordare significa rompere l’indifferenza.

Diego Ferretti

Mosaico di nomi dedicato a 1.500.000 bambini deportati
Mosaico di nomi dedicato a 1.500.000 bambini deportati nel periodo della Shoah creato da Yad Vashem

Alla scoperta della Sinagoga di Milano

Sinagoga di via Guastalla a Milano

Ore 8:00 del mattino di mercoledì 31 gennaio, sull’autobus che mi porta, molto lentamente, al tram, penso che nonostante la pioggerella che non smette di scendere, questa può essere una buona giornata, non solo perché non ci sarà scuola, ma per soddisfare una mia curiosità: mi è già capitato di visitare un’altra sinagoga, quella di Praga, ma voglio vedere com’è quella della nostra città.

Infatti, nella settimana in cui ricorre l’anniversario del giorno della memoria, la professoressa Marafioti ci ha proposto di visitare la Sinagoga di Milano che si trova in via della Guastalla.

Alla spicciolata ci siamo trovati tutti lì; all’esterno della struttura la prima cosa che mi ha impressionato è la presenza di militari che, con il mitra, presidiano questo luogo. Ho provato un po’ di turbamento perché non trovo giusto che delle persone che intendono professare la loro fede non lo possano fare in tranquillità. Penso che sia eccessivo lo schieramento di militari, ma poi ripenso alle immagini viste al telegiornale, dove venivano presi di mira con attentati mortali luoghi di culto di ogni fede (chiese cristiane, moschee, …) e quindi mi rendo conto della necessità che questi luoghi a rischio vengano protetti in ogni modo.

Compattato il gruppo e raggiunti dalla guida, passiamo alla visita vera e propria della sinagoga, non prima però di esserci soffermati a guardare la bellissima facciata con i mosaici azzurro e oro che, sapremo poi, è l’unica cosa rimasta dell’originale sinagoga costruita nel 1892, in quanto i bombardamenti della Seconda guerra mondiale su Milano, l’avevano completamente rasa al suolo.

Per la visita ci ha accompagnato una guida che ci ha dato varie informazioni sia dell’edificio che delle tradizioni e dei riti del popolo ebraico. La Sinagoga di via della Guastalla è il principale luogo di culto della comunità ebraica di Milano..

Entrando nella Sinagoga, la guida ha invitato i maschi a coprirsi il capo, usando un cappello o il cappuccio della felpa, mentre a chi non aveva nulla di adeguato ha distribuito una kippah.

Da subito si rimane affascinati per la luminosità e il colore rosso e oro che dominano la sala. Lo spazio interno è diviso in due piani. Dal piano superiore, il cosiddetto matroneo, la zona riservata alle donne, abbiamo potuto apprezzare ancora di più la bellissima architettura della Sinagoga. L’edificio è molto illuminato grazie ad una grande cupola ed alle vetrate multicolori con simboli ebraici e lettere ebraiche, tra cui la stella di David, simboli liturgici e lettere dell’alfabeto ebraico. Le vetrate sono state realizzate dall’artista newyorkese Roger Selden nel 1997, anno in cui la struttura è stata profondamente riammodernata.

Le donne durante la preghiera devono sedersi nel matroneo, questa usanza, ci ha spiegato la guida, è finalizzata a permettere ai maschi di seguire lo svolgimento delle preghiere senza distrarsi. L’Ebraismo è una religione matriarcale e tiene in grande considerazione la donna. Non a caso per entrare in questo luogo sacro sono gli uomini che devono indossare il famoso copricapo, la kippah, e non le donne perché si ritiene che queste ultime siano sempre in connessione con il divino al contrario dei fedeli di sesso maschile.

Nella Sinagoga di Milano, come è tradizione per la religione ebraica, non ci sono statue, immagini sacre o quadri ma solo alcune scritte perché per la religione ebraica la preghiera può essere fatta in qualunque luogo dove non vi siano sculture o immagini che ritraggono persone o animali.

Il punto centrale è costituito dall’Aròn (Arca Santa) simile ad un armadio che ha una grandissima importanza all’interno della Sinagoga e per la liturgia ebraica perché è il mobile in cui è contenuto il rotolo della Torah, ossia i primi cinque libri – i più importanti – della Bibbia. La Torah non può essere toccata con le mani ed è per questo che si usano dei sostegni in legno inoltre nel suo testo non ci sono vocali.

Una particolarità è che se lo scriba quando scrive la Torah sbaglia, deve ricominciare da capo e l’ultima parola si deve scrivere in Sinagoga.

Al centro della sala c’è l’altare, posto in mezzo ai fedeli e non in posizione distaccata. Sull’altare è posta la menorah, il famoso candelabro a sette bracci, a memoria dei sette giorni della creazione. Il rito viene fatto dal rabbino che non è rivolto verso le persone ma verso la Torah questo perché non prega per i fedeli ma con i fedeli.

Ci ha raccontato poi alcuni cenni di storia degli ebrei legata a Milano. A differenza di molte città, a Milano non è mai esistita una zona dedicata agli ebrei (ghetto). Dai tempi di Ludovico il Moro infatti esisteva una legge che vietava agli ebrei di restare in città oltre tre giorni, dopodiché erano costretti ad andare a dormire nelle località vicine e far ritorno ogni giorno a Milano. A partire dalla fine del 500, e per più di due secoli, non c’è stata più presenza ebraica in città. Solo agli inizi dell’800 viene permesso agli ebrei di professare la propria fede e di realizzare edifici di culto. La comunità ebraica milanese, decise così di innalzare una sinagoga notevole e centrale, coinvolgendo uno degli architetti più importanti dell’epoca, Luca Beltrami. Nel Novecento la comunità crebbe costantemente, fino agli anni trenta quando molti ebrei tedeschi lasciarono la Germania a causa dell’avvento di Hitler al potere e si rifugiarono in Italia. Nel 1938, al momento della promulgazione delle leggi razziali, gli ebrei erano dodicimila. Di questi, cinquemila riuscirono a fuggire. I deportati nei campi di sterminio, partendo dal famigerato binario 21 della stazione centrale, furono 896. Di questi tornarono solo cinquanta. Oggi vivono a Milano circa seimila ebrei, provenienti da diversi paesi. Molti di questi hanno mantenuto riti, usi e costumi del paese d’origine e si sono organizzati autonomamen­te con proprie sale di preghiera.

La guida ci ha illustrato anche alcune caratteristiche e tradizioni della vita ebraica.

Innanzitutto gli Ebrei considerano le giornate scandite dalla luna e non dal sole.

I bambini ebrei raggiungono l’età della maturità a tredici anni e diventano così responsabili per se stessi nei confronti della legge religiosa ebraica.

Anche la festa del sabato appartiene alla cultura ebraica. Per gli ebrei il sabato deve essere interamente dedicato al Signore. Inizia dopo il tramonto del venerdì e si conclude all’apparire delle prime stelle del sabato. Il sabato, in ebraico Shabbat, ricorda il giorno in cui il Signore concluse la creazione. Prima che inizi, la padrona di casa accende le candele, che indicano la fine del lavoro e l’inizio del riposo. Un giorno di riposo assoluto. Nelle ventiquattro ore bisogna astenersi da qualsiasi attività e non chiederne ad altri; i cibi devono essere preparati in precedenza; il riposo deve essere assoluto per tutti; non si possono provocare scintille e ci si può spostare solo a piedi.

Infine il rito della rottura del bicchiere durante la celebrazione delle nozze. Le nozze ebraiche si possono celebrare sempre, tranne durante lo Shabbat (dal venerdì sera dopo il tramonto fino al sabato sera). L’ultimo gesto della cerimonia, prima dei festeggiamenti, è la rottura del bicchiere da cui hanno bevuto gli sposi, da parte dello sposo con un piede; questo gesto sta a significare il ricordo della distruzione del Tempio di Salomone a Gerusalemme, nel 70 d.C. per opera dei Romani e la conseguente diaspora.

Dopo circa un’ora, passata velocemente, la visita è terminata. E’ stata un’esperienza bella ed interessante che ritengo debba ripetersi anche con altre culture e religioni, ad esempio quella musulmana, perché credo che la conoscenza sia l’unico modo per evitare di cadere in pregiudizi.

Gioie da prof

Non ho nessun merito, ma il successo degli alunni è sempre una gioia per i prof.
Sto parlando del nostro stage linguistico a Londra dal 12 al 18 febbraio, presso un’ottima scuola londinese.

Quale successo?
Il livello di competenza in inglese che ci si aspetta dagli studenti alla fine del liceo è il B2. Be’, dopo il test iniziale, ben sei dei nostri 15 studenti sono stati assegnati al livello C1, insieme a studenti universitari e laureati provenienti da tanti paesi del mondo e che soggiornavano a Londra già da tempo. C’era anche un’altra scuola italiana, un liceo linguistico, presente con tre classi: soltanto una ragazza in C1.

Ma non basta, dopo la correzione di uno dei compiti assegnati, il docente inglese ha commentato: «Avete fatto tutti bene, ma gli italiani sono stati, in assoluto, i migliori».

Complimenti, ragazzi!

sede del Twin Center

Qualcosa di speciale

Tutti potrebbero pensare a una gita come le altre, senza differenze, che finisce e si dimentica. Ma quella che abbiamo vissuto noi è stata qualcosa di più. Come classe non avevamo mai realmente fatto una escursione che durasse più giorni e l’idea di riuscire finalmente a organizzare qualcosa ci ha entusiasmati fin da subito. Nessuno credeva davvero che sarebbe stato possibile, dato anche alcune esperienze degli anni passati, e il pensiero che sarebbe stato soltanto un “sogno” irrealizzabile era sempre più forte. Alla fine, però, grazie soprattutto all’ aiuto e il sostegno del professor Paganini, siamo riusciti a farcela e sin da quel momento tutti non vedevano l’ora che il giorno della partenza arrivasse. Nonostante sia durata soltanto 7 giorni, è stata una esperienza indimenticabile che ci ha insegnato molte cose: grazie al corso mattutino ognuno ha migliorato un po’ il suo livello d’inglese, con le escursioni pomeridiane, nei vari musei e luoghi d’attrazione, siamo entrati a contatto con il patrimonio culturale di uno dei più grandi paesi al mondo, e, grazie all’esperienza in famiglia, abbiamo conosciuto la tradizione e i vari modi di fare di un’altra popolazione. Quest’esperienza, però, è stata diversa soprattutto perché fatta con i propri compagni. Le risate, gli scherzi e le varie chiacchiere in compagnia dei propri amici di scuola, infatti, hanno reso tutto ciò più bello e segnato in penna indelebile una gita che rimarrà per sempre dentro di noi.

Adrian Safa

Tower Bridge

 

Foxes in London

Caccia alla volpe

Stage linguistico con la quinta B a Londra.
Conoscevo l’Inghilterra come il paese della caccia alla volpe. Immaginatevi la mia sorpresa quando, tornando la sera alla casa dove ero alloggiato, ho più volte incontrato volpi per nulla intimorite dalla mia presenza.

Pace fatta tra gli inglesi e le volpi?
Non lo sapevo, ma dal 2005 la caccia alla volpe è proibita in Inghilterra e Galles. In Scozia lo era già dal 2002.

Così a Londra oggi ci sono più di 10.000 volpi, 16 volpi per miglio quadrato. Una fortuna, probabilmente, per gli inglesi, dato l’enorme numero dei topi in città.

Una volpe per le vie di Londra
Una volpe per le vie di Londra – foto di Duncan Harris

Stage linguistico a Londra

La nostra classe, 5aB liceo, accompagnata dal professor Paganini e dalla professoressa De Santis (che ringraziamo per aver passato con noi questa settimana), ha partecipato ad uno stage linguistico a Londra dal 12 al 18 Febbraio 2017.

Londra: il Big Ben

E’ stata la mia prima volta in Inghilterra e devo dire che non ha deluso le mie aspettative: senza dubbio Londra è una bella città, ricca di musei e di negozi. Abbiamo visitato il British Museum, la National Gallery e il Tate Modern, inoltre siamo andati a Piccadilly Circus durante il nostro pomeriggio libero, che abbiamo dedicato allo shopping. Visitando il centro di Londra abbiamo visto il Big Ben, Buckingham Palace, Trafalgar Square, Tower Bridge e siamo saliti sul London Eye.

Durante la settimana, al mattino avevamo lezione presso il Twin Group, a Greenwich: inutile dire che l’insegnante fosse preparato, essendo madrelingua, ma comunque bisogna riconoscergli che tentava di non rendere le lezioni troppo pesanti facendoci fare pratica soprattutto per quanto riguarda la speaking.

Questo stage a Londra mi ha lasciato dei bei ricordi, ma grande parte del merito va anche alla compagnia: penso che passare quasi la maggior parte del tempo con il resto della classe ha permesso a tutti trascorrere dei bei momenti a cui sicuramente ripenseremo una volta diplomati.

Un ultimo ringraziamento ad Alessandra Alari, ex studentessa del Calvino, che ci ha permesso di visitare gli uffici di Google, presso cui ora lavora.