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Sulla pronuncia della parola joule.

La parola joule indica l’unità di misura dell’energia nel Sistema Internazionale. Deriva dal cognome di James Prescott Joule, fisico inglese del 1800. In Italia la maggior parte delle persone lo pronuncia giaul, scritto all’italiana, [‘dᴣaul] nell’alfabeto fonetico internazionale, mentre secondo me va pronunciato giul, scritto all’italiana, [‘dᴣu:l] nell’alfabeto fonetico. Questo perché il fisico Joule pronunciava così il proprio cognome, come si evince dai dizionari inglesi, dai siti web specializzati in pronuncia e ascoltando persone di nazionalità sia britannica sia statunitense. Sarebbe accettabile la pronuncia diffusa in Italia, se fosse una italianizzazione, cioè la pronuncia di una parola straniera secondo le regole della lingua italiana, come stoccafisso per stockfish, Cartesio per Descartes, oppure mit invece di em ai ti per indicare il Massachusetts Institute of Technology, cidì invece di sidì per indicare i compact disk, e così via. Allo stesso modo trovo corretto che i francesi mi chiamino Lombardò, mentre il mio cognome in italiano è Lombàrdo, questo perché i francesi seguono le loro regole di pronuncia. Ma nel caso della pronuncia diffusa in Italia di joule, non è una italianizzazione, perché non segue le regole della pronuncia italiana. Chi pronuncia così lo fa perché è convinto di usare la corretta pronuncia inglese. [‘dᴣu:l] sembra loro francese. In effetti pare che la famiglia di Joule sia di origine belga francofona, ma al di là della origine della pronuncia di Joule, il problema è che in inglese la pronuncia è questa, e non [‘dᴣaul]. Succede lo stesso con la parola stage, che in Italia si usa al posto della parola tirocinio, e che molti pronunciano all’inglese, mentre è francese e deve essere pronunciato alla francese. Ammetto che l’uso fa la regola, e che spesso ho dovuto pronunciare secondo l’uso, anche se sbagliato, per essere capito. Ma credo che bisogna sempre essere consapevoli della corretta pronuncia, e che è bene tentare di pronunciare correttamente, almeno finché l’uso sbagliato non entri definitivamente nella lingua ufficiale. Meditate gente, meditate.
Luigi Lombardo

L’Impero Mongolo

Prima della fondazione dell’impero mongolo, l’Asia era suddivisa in tanti piccoli regni e principati.

Sul territorio cinese, in quel periodo, si estendevano: l’impero Song, Jin e Xixia (o Xia occidentale).

l'Asia prima di Yuan

L’impero mongolo venne fondato da Gengis Khan, nato nel 1162 con il nome di Temujin. Il nome di Gengis Khan gli venne dato a seguito delle sue imprese militari e a seguito della sua elezione come re/capo supremo dei clan mongoli (Khan, infatti, significa supremo).

ritratto di Genghis Khan

Grazie alla sua straordinaria tattica militare, riuscì a conquistare in poco tempo un territorio vastissimo. Nel 1213 i Mongoli varcarono la Grande Muraglia e invasero l’impero Jin per poi conquistare altri territori uno dopo l’altro.

L’impero fondato da Gengis Khan, nel momento della sua massima espansione, arrivò ad occupare il 22% del territorio mondiale.

Impero Mongolo

Dopo la sua morte, avvenuta nel 1227, l’espansione continuò ancora per un breve periodo di tempo, fino ad arrivare in Europa, cioè fino alla Polonia e all’Ungheria.

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La difesa personale

La difesa personale comprende esclusivamente strategie ed insegnamenti per la difesa dalle aggressioni a livello fisico, psicologico e verbale; non è infatti da intendersi come un insieme di tecniche per sopraffare fisicamente un avversario prima che sia lui a farlo.

L’attività di difesa personale serve solo per difesa e mai per offesa, quindi lo scopo non è ovviamente quello di totalizzare più punti dell’avversario, ma quello di terminare lo scontro a proprio favore e nel più breve tempo possibile. Deve essere vista come una prevenzione adatta a tutti.

Lo studio di un’arte di difesa prima di tutto intende dare fiducia in sé stessi ed una conoscenza dei rischi e delle violenze.

La giurisprudenza sull’argomento pone dei limiti alla reazione che possiamo avere di fronte ad una minaccia, ribadendo il principio della “proporzionalità” dell’uso della forza. Tali limiti sono giustamente motivati dalla necessità di salvaguardare in primo luogo la vita umana: la nostra come quella del nostro aggressore che è, come noi, titolare degli stessi diritti di fronte alla legge. Tale impostazione “garantista”, ovviamente, non sembra tenere conto che: al nostro aggressore della nostra salute e del nostro benessere non importa un granché e che di fronte ad un attacco violento e determinato, l’unica possibilità di sopravvivenza è una risposta ancora più violenta e determinata.

Così stanno le cose e questo è il motivo per cui, di fatto, il cittadino che debba legittimamente difendersi avrà sempre qualche difficoltà nel dimostrare di averlo fatto nel rispetto di norme.

La legge, quindi, concede pochissime situazioni ideali in cui chiunque provoca qualsiasi lesione ad un’altra persona, anche se per difesa personale, non è punibile.

Secondo me è importante sottolineare che è inutile sapere infinite tecniche se poi non riusciamo a metterle in pratica nel momento del bisogno. E’ risaputo che atleti bravissimi in palestra non sono riusciti a difendersi per strada da persone che non avevano mai praticato arti marziali.
Questo perché non conoscono la loro reazione di fronte alla paura e non sono addestrati ad affrontarla cosicché l’adrenalina che si è generata in quel momento li ha paralizzati mentalmente e fisicamente.

Quindi in una situazione non abituale, come un pericolo improvviso, se non si ha acquisito una procedura per quella situazione od una situazione analoga e’ come se andassimo in tilt e una paralisi sarà l’opzione più probabile. Per questo motivo ci dobbiamo allenare il più vicino possibile alla realtà. In questo modo creeremo un rafforzamento stimolo- risposta che i tecnici chiamano”memoria muscolare”. In pratica aver provato più volte paura, naturalmente affrontata a piccole dosi, consente di raggiungere un certo grado di assuefazione, come una sorta di vaccinazione.

EUTANASIA

L’eutanasia è l’atto con cui si pone intenzionalmente fine alla vita di un individuo che versa in gravissime condizioni di salute, a causa di una malattia o di una menomazione, con lo scopo di interromperne la sofferenza.
Il termine deriva dal greco “euthanasia” (composta da “eu” bene e “thanatos” morte) che letteralmente significa “la buona morte”.
L’eutanasia si distingue tra:

• Attiva (o diretta) nel caso in cui il medico interviene per procurare la morte di un paziente.

• Passiva (o indiretta) nel caso in cui il medico si astiene dall’effettuare operazioni che manterrebbero in vita la persona.

Il primo paese al mondo a permettere l’eutanasia e il suicidio assistito è l’Olanda mediante una legge approvata nell’aprile del 2001. Dopo l’Olanda molti altri paesi europei acconsentirono all’eutanasia anche se con qualche limitazione; ad esempio la Spagna in cui l’eutanasia attiva non è permessa e la Francia in cui l’eutanasia passiva è parzialmente ammessa e quella attiva è invece vietata. Tra questo elenco non rientra l’Italia in cui non vi è una legge che legalizzi l’eutanasia.

La discussione attorno al tema dell’eutanasia è molto complessa e confusa poiché caratterizzata dallo scontro di svariate opinioni e punti di vista.
La Chiesa ha ribadito con fermezza la sua posizione di netta opposizione all’eutanasia, giudicata come “moralmente inaccettabile” dal numero 2276 del Catechismo della Chiesa Cattolica.
Riguardo questa sensibile tematica che tocca molti campi tra cui quello giuridico, morale e religioso è importante effettuare opportune e complete riflessioni che siano in grado di raccogliere il maggior numero possibile di fattispecie, anche se questo risulta difficile dato che i casi sono sempre molto differenti tra loro.
È perciò fondamentale comprendere le ragioni per cui un individuo sia favorevole o meno a una legge che consenta l’eutanasia e trovare una soluzione che possa essere condivisa dalla maggioranza dei cittadini. Tuttavia giungere ad una soluzione di questo tipo non sarà facile in quanto le posizioni che si contrappongono sono, in certi casi, radicalmente opposte ed è proprio per questo che nei paesi in cui non vi è ancora una legge per legalizzare l’eutanasia una posizione finirà per prevalere sull’altra.

 

Claudio Frattini

Disegnare il mondo di…Gogi

“Gogi” con la sua disegnatrice, Nigar Nazar

Quante volte abbiamo sentito guardando in tv eloquentissimi comici cimentarsi in monologhi basati su stereotipi e luoghi comuni che hanno la capacità di rendere un banale accaduto in un episodio divertente? Personalmente molte. Quante volte dopo aver riso però abbiamo riflettuto su ciò che abbiamo sentito dire? Poche. A quanto pare invece è un ottimo mezzo per esprimere concetti non sempre condivisibili soprattutto se si vive in un paese poco aperto alla libertà di stampa e di pensiero.

Non sto presentando un affermato comico, ma una disegnatrice pakistana di nome Nigar Lazar. Il suoi mezzi di comunicazione sono carta e penna a china e il risultato finale si chiama “Gogi“, personaggio femminile estremamente brillante amato dai grandi ma soprattutto dai piccini, grazie alla sua ampia diffusione sulla tv pakistana.

Nelle vignette Gogi mette in luce situazioni mondane che lettori sbadati potrebbero intendere finalizzate solamente a far sorridere, ma, come spiega Nigar, “lo scopo principale è far cogliere alle persone ciò che accade con un occhio critico, l’ironia è solo il mezzo per facilitare la comprensione del concetto che vorrei trasmettere”.

Per Nigar non è sempre facile trattare alcuni argomenti, come ad esempio la religione o la politica (tanto che non sempre le sue vignette sono pubblicate dai media locali), ma la disegnatrice è sempre stata brava a non eccedere nell’essere controcorrente, ottenendo comunque grandi risultati per la sensibilizzazione al riconoscimento dei diritti delle donne in oriente, come ad esempio il diritto all’educazione scolastica per le bambine. Nigar infatti sa quanto sia importante una corretta formazione culturale, malgrado abbia lasciato l’università di medicina anzitempo, poichè quella facoltà non la realizzava a pieno.

Ma grazie a questa presa di coscienza ha capito che non poteva vivere senza disegnare e che gli scarabocchi che lasciava sui bordi dei libri di anatomia un giorno sarebbero diventati famosi non solo agli occhi dei suoi compagni.

Sfido chiunque a trovare un’arma più semplice e funzionale di un disegno per avviare un processo di cambiamento lento ma efficace, perchè oggi Nigar grazie a Gogi rallegra la giornata di milioni di bambini e ragazzi in tutti i paesi del medio oriente, ma un domani saranno proprio quei bambini a dettare il cambiamento. E non dobbiamo ringraziare abili pionieri di guerra se un cambiamento ci sarà, ma l’essenza che ognuno di noi trasmette ad un movimento inciso su una superficie: un disegno.

Riccardo Sisinni

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La partita dei sessi

 

Billie Jean King vs Bobby Riggs

20 Settembre 1973 “King contro Riggs”. La più importante partita di tennis del mondo vede come protagonisti la paladina del movimento di liberazione della donna, Billie Jean King, contro Bobby Riggs, migliore giocatore del mondo negli anni ’40. Quest’ultimo dichiarò pubblicamente che la competizione femminile sarebbe stata inferiore a quella maschile e che qualunque uomo sarebbe riuscito a battare la miglior giocatrice del mondo, sifdando le migliori giocatrici del momento a dimostrare il contrario. La King accetta la sfida spinta dal desiderio di fare rispettare anche il tennis femminile; attraverso un gioco di attacco è riuscita a vincere. Questo incontro è ricordato come “la battaglia dei sessi”. Gia in precedenza la King aveva lottato per il genere femminile muovendo delle proteste contro la USTA (United States Tennis Associtation) attraverso conferenze stampa criticando il riconoscimento economico, da parte delle associazioni, per le donne rispetto a quello degli uomini. Nel 1974 la King assieme a delle colleghe fonda la Women’s Sports Foundation che promuove borse di studio per le ragazze sportive, affinchè possano coltivare i loro sogni. Nel 2014 ha chiesto alla FIFA di garantire dei campi di erba alle giocatrici di calcio per il mondiale del 2015. Billie inoltre fu una delle prime giocatrici a fare coming out, dichiarando apertamente la propria omesessualità. Ella inoltre fece parte della delegazione che rappresentò gli Stati Uniti alle olimpiadi invernali di Sochi nel Febbraio del 2014 per lottare per protestare contro le leggi anti-gay di Putin.

Billie Jean King è una “cattiva ragazza” poichè si oppose a ciò che per i suoi tempi sembravano la normalità.

Omar Al-Sabbagh

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Musulmani e cristiani: un’unica comunità

Né la razza, né la religione, né il sesso permetteranno di deviare da un gran obiettivo

 

Ibtihaj Muhammad ne è la prova e vive per dimostrare sulla propria pelle tale frase: vive per realizzare il suo sogno di diventare la miglior schermista, nonostante gli stereotipi sulla sua comunità musulmana.

“La scherma mi ha insegnato tanto di me stessa e quello che sono capace di fare. Voglio essere un esempio per minoranze e giovani musulmani, insegnando che tutto è possibile con la perseveranza. Voglio che sappiano che nulla deve mai impedirgli di raggiungere i loro obiettivi: né la razza, né la religione, né il sesso”

Sebbene fosse amante degli sport, non trovava nessuna attività adatta a sé, poiché voleva conciliare la sua religione.

Così conobbe la scherma, disciplina sportiva sia conforme alle norme della religione musulmana, in quanto le permetteva di indossare il velo sotto la maschera bianca, sia libera da disagi, poiché non si sentiva più fuori posto tra i suoi compagni di squadra.

Lo sport scelto le permise di diventare un tassello per il miglioramento della condizione della sua comunità islamica.

Combatté e superò situazioni di incomodità, imbarazzo e inferiorità, assiduamente vigenti nel corso sua vita e non solo. Fu sospettata di terrorismo, vittima di stalker, destinataria di denunce irrazionali e pregiudiziali in quanto musulmana. Non era l’unica.

Gli stereotipi sono un ostacolo da superare. L’America, avendo come presidente Trump, è condizionata dai suoi pensieri che hanno il proposito di “proteggere” il paese, separandolo anche dagli islamici. Ibtihaj vuole invece dimostrare che la sua comunità non è affatto un pericolo o degrado per la società statunitense, bensì le può apportare benefici, persino in campo sportivo.

Muhammad Ibtihaj riuscì ad affermarsi di fatto nel 2016 come la prima donna musulmana a rappresentare gli Stati Uniti nelle Olimpiadi, indossando l’hijab, velo tradizionale delle donne di fede musulmana, ma anche come la prima donna islamica che vinse la medaglia di bronzo nella gara a squadre di sciabola femminile ai “Summer Games” di Rio.

Grazie alla sua presenza alle Olimpiadi, ebbe l’opportunità di parlare a nome di chi non ha voce a un vasto pubblico, diffondendo il suo punto di vista.

La sua determinazione nella lotta contro gli stereotipi, ci permette di inserirla nel gruppo delle “cattive ragazze”, poiché, come afferma con pertinacia in prima persona, “io voglio rompere le norme culturali. Un sacco di gente crede che le donne musulmane non abbiano voce o che non possano partecipare agli sport. E non si tratta solo di sfidare pregiudizi al di fuori della comunità musulmana ma soprattutto all’interno di essa”. Aggiunse inoltre: “Devo contestare questa idea che in qualche modo noi (musulmani) non apparteniamo agli Stati Uniti a causa della nostra razza o della nostra religione. Voglio che la gente sappia che faccio parte della comunità”.

Pertanto è ritenuta “cattiva ragazza” in quanto rappresenta un’ icona alla lotta contro razzismo e discriminazione, sottolineando che non vi è alcun motivo per non essere considerati americani e musulmani al contempo.

 

Stacy Villa

 

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Una guerriera contro la mutilazione

Nice Nailantei Leng’ete

«Non voglio essere tagliata. Io voglio studiare, non mi interessa il matrimonio», queste sono le parole che sono state pronunciate all’età di 9 anni da Nice Nailantei Leng’ete, una guerriera masai che vive in un villaggio in Kenya alle pendici dell’imponente monte Kilimangiaro.

Nice come tutte le bambine del suo villaggio giocava, studiava e andava a scuola, ed è proprio nell’ambiente scolastico che viene a conoscenza, per “voci di corridoio”, del terribile e temibile rito di passaggio che doveva compiere ogni bambina per poter diventare una donna adulta. Tale rito consiste nella mutilazione dei genitali con l’ablazione totale o parziale del clitoride. La pericolosità del rito, però, nasce dal modo con cui viene praticata la mutilazione, cioè, in assenza di un medico e, nella gran parte dei casi, anche distanti ore da un ospedale, con la possibilità che la mutilata possa morire dissanguata o a causa di infezioni che si sviluppano successivamente.

Nice il giorno in cui avrebbe dovuto subire quel rito barbaro, terrorizzata dai racconti, decise, insieme a sua sorella, di scappare dal nonno per poter evitare la mutilazione. Una volta giunte dal nonno, che oltretutto era uno dei capi tribù, Nice riuscì a convincerlo di farle proseguire gli studi e non essere mutilata; sua sorella, invece, non riuscì a scampare al rito e venne mutilata come tutte le altre bimbe del villaggio.

Da quel fatidico giorno, Nice era diventata una “cattiva ragazza”. Da quel giorno, infatti, iniziò a lottare contro le mutilazioni genitali e grazie al supporto di Amref, la più grande organizzazione sanitaria no profit presente in Africa, dal 2009 è riuscita a salvare più di 10.500 bambine da questa atrocità.

Gruppo di ragazze che stanno compiendo il rito alternativo

Nice, però, dovette affrontare un altro problema: con cosa sostituire il tradizionale rito di passaggio? A mio parere ha preso la decisione più opportuna che si potesse prendere: sostituire il rito tradizionale con una altro rito privo di sofferenze e lacrime.

Il rito alternativo unisce parte della cerimonia tradizionale con l’educazione alla salute sessuale e all’istruzione delle future donne e coinvolge le figure chiave delle tribù: gli anziani, le madri e i giovani guerrieri Moran. Oggi centinaia di bambine giungono al villaggio di Nice per potersi sottoporre al rito alternativo.

Nice è una donna straordinaria che è stata capace di opporsi alle regole e cambiare il mondo in meglio, ogni giorno, passo dopo passo.

Marco Canitano

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“Nera, bassa e formosa”

Io adoro il ballo, perciò non potevo che scegliere Misty Copeland come cattiva ragazza. Ma si può veramente definire una “cattiva ragazza” una persona che insegue i propri sogni?

“unfortunatly you have not been accepted… at thirteen you are too old to be considered” queste furono le parole che ricevette Misty Copeland dalla prestigiosa American Ballet Theatre.

Misty Copeland  lottò sia con le difficoltà dovute al colore della pelle sia con il suo corpo fuori dai canoni. Aveva 13 anni quando provò ad entrare nella scuola di ballo, ma era considerata troppo grande per intraprendere un futuro da ballerina. “Nera, bassa e formosa”, sentiva ripetersi, non aveva i piedi giusti per stare sulle punte, era troppo muscolosa e aveva il petto troppo largo : non aveva il corpo per diventare una ballerina classica. La madre, a causa delle condizioni economiche, aveva deciso che non poteva permettersi di mantenerla a scuola e quindi le aveva comunicato che avrebbe dovuto lasciare il sogno del palcoscenico. “Mia madre è sempre stata chiara nel dirmi che sono una ragazza nera” dice misty in un’intervista “e che come tale sarei stata considerata”.

Misty Copeland non si fermò solo alle parole o offese, il suo unico obiettivo era realizzare il suo sogno e  in lei si è scatenata “ la rabbia di spingersi oltre”.

A 17 anni finalmente fu  accettata dall’American Ballet Theatre, ma non immaginava che sarebbe stata l’unica donna nera lì dentro.

Nonostante i pregiudizi iniziali, Misty scelse di inseguire i suoi sogni, disobbedendo alla madre, ignorando gli insulti e le considerazioni sul suo corpo e sulla sua pelle, solo così, comportandosi da “cattiva ragazza”,  raggiunse il suo obiettivo! Ma Misty ribadisce “Credo che ci voglia più diversità in tutti gli ambiti, sul palco, tra il pubblico, nella direzione, e che le nuove generazioni vadano sollecitate in questo senso. il razzismo è una piaga che forse non verrà mai debellata”. Misty è diventata l’esempio da seguire per tutte le ragazze afroamericane e non che vogliono raggiungere il proprio sogno, qualunque esso sia.

Laura Faiella

 

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