All’inizio del Trecento la popolazione europea era quasi triplicata rispetto due secoli prima. Purtroppo, la crescita demografica non fu accompagnata da uno sviluppo delle tecniche agricole. Così nei primi anni del XIV secolo si verificò un’ampia differenza tra la domanda e l’offerta di cibo. Questo fatto, unito ad alcuni anni di raccolti scarsi, provocò un periodo di carestia.
Le carestie ebbero due conseguenze molto rilevanti. Ci fu un grande aumento del tasso di mortalità ed un indebolimento delle difese immunitarie dei sopravvissuti. Si posero così le basi per la diffusione della peste nera di metà secolo.
Archivi tag: Trecento
Crisi del Trecento: le cause
Il Trecento fu un secolo caratterizzato da una profonda crisi sociale, economica e demografica. Le cause di questo profondo cambiamento furono principalmente tre: Il cambiamento del clima, la frequenza di guerre molto spesso represse col sangue e, il fattore più influente di tutti, la presenza e conseguente diffusione della peste.
Il primo fattore citato è il cambiamento climatico: cosa è successo?
All’inizio del Trecento c’è stato un peggioramento delle condizioni climatiche. Molti storici hanno definito questo periodo come la fine del “periodo caldo medievale”, il quale aveva permesso lo scioglimento dei ghiacci, la coltivazione della vite e abbondanti raccolti facilitati dalle piogge scarse e regolari. Nel corso di questo secolo, però, non c’è stato un notevole abbassamento del clima (in contrapposizione al caldo medievale), come ci si aspetterebbe, ma un consistente aumento delle piogge.
Secondo fattore è la numerosa presenza di guerre devastanti: esse si sono ripercosse su molti centri abitati, soprattutto sulle povere abitazioni dei contadini, che venivano depredate e distrutte.
Guerra di particolare rilevanza, di questo secolo, è quella che fu definita come “guerra dei cent’anni”, guerra che complessivamente durò 116 anni (1337-1453). In realtà non furono 116 anni ininterrotti di guerra, infatti, all’interno di questa ci furono numerose interruzioni e periodi di tregua che la divisero in tre fasi principali: la guerra edoardiana (1337-1360), quella carolina (1369, 1389) e quella dei Lancaster (1415-1429), alle quali si aggiunse alla fine la fase conclusiva della guerra (1429-1453).
Questa lunga guerra scaturì fra Regno di Francia e Regno d’Inghilterra per motivi di successione al trono.
Terzo e ultimo, ma non meno importante, fattore è la peste: come si era diffusa?
La peste è una malattia che gli uomini del tempo non riuscivano a spiegarsi, poiché non avevano abbastanza conoscenze a riguardo. È una malattia per cui uomini, donne, bambini (nessuno poteva sfuggire dalla malattia ad eccezione di chi “scappava” dal territorio) morivano numerosi ogni giorno. La peste che caratterizzò questo secolo fu definita “peste nera” (1347-1353) e si era diffusa dopo essere stata importata da commercianti asiatici che navigavano verso l’Europa. Il contagio era stato molto facilitato dalle scarse condizioni igieniche presenti nel territorio e dalla totale assenza di un sistema di fognature.
La popolazione, durante questi anni, subì dure conseguenze: un terzo della popolazione europea fu colpita da questa malattia, anche se non con la stessa intensità in tutte le zone. Infatti era possibile che alcune zone fossero fortemente colpite mentre in alcuni territori ad esso confinanti fossero rari i casi di contagio.
Le nuove tecniche di combattimento nel Trecento
Fino a tutto il XIII secolo le operazioni militari erano state condotte e gestite dai “signori della guerra” appartenenti all’aristocrazia, che dai tempi di Carlo Magno avevano costituito la parte più forte del potere politico e militare: i nobili erano infatti i soli a disporre di terre e quindi di rendite sufficienti per allestire, armare e mantenere possenti reparti di cavalleria. Erano i cavalieri, truppe di nobili uomini in cerca di fortuna alle dipendenze dei signori feudali, il punto di forza degli eserciti medievali. I fanti rappresentavano soltanto un nucleo secondario, e di essi facevano parte prevalentemente contadini e artigiani strappati alle loro consuete occupazioni, male armati e male addestrati. Tuttavia nel corso del XIV secolo, a partire dalla guerra dei Cent’anni, il ruolo della cavalleria venne fortemente ridimensionato a causa della comparsa di nuove e più efficaci tattiche di combattimento della fanteria. Tra queste innovazioni le più significative sono senza dubbio le armi da getto, ovvero la balestra e l’arco che acquistarono progressivamente importanza e cambiarono radicalmente le tecniche di combattimento. La balestra aveva infatti una potenza micidiale: le frecce che scagliava potevano trapassare qualsiasi armatura. Per il suo impiego però si richiedeva un addestramento ben preciso. Superiore alla balestra per efficienza era l’arco, poiché richiedeva un tempo di ricarica della freccia molto inferiore rispetto a quello della balestra; infatti se un balestriere esperto non riusciva a scagliare più di due frecce al minuto, i lunghi archi utilizzati dagli Inglesi durante la guerra dei Cent’anni ne potevano lanciare perfino otto. L’arco era l’arma plebea per eccellenza, tutti i contadini ne conoscevano l’uso e durante le battaglie nulla potevano le spade dei cavalieri contro la pioggia di frecce che cadeva su di loro. Ma gli arcieri e i balestrieri avevano generalmente un ruolo di difesa. Fu l’introduzione delle lunghe picche dei soldati svizzeri, a modificare la tecnica di combattimento, assegnando un ruolo primario alla fanteria. Durante le battaglie, la fanteria svizzera, costituita da circa seimila soldati, si disponeva in quadrati ed ogni fante era armato di picca: una lancia lunga circa tre metri, che veniva usata con entrambe le mani. In questo modo la cavalleria nemica che giungeva verso la formazione di fanti, si trovava davanti ad un immensa concentrazione di lance che venivano manovrate all’unisono con grande tempismo e, come si può immaginare, nella maggior parte dei casi i cavalieri venivano infilzati da questo grande numero di picche. Successivamente il prestigio della fanteria svizzera fu oscurato, verso la fine del XV secolo, dall’uso della polvere da sparo. Inventata dai Cinesi presumibilmente intorno all’VII-IX secolo, venne da loro utilizzata per la fabbricazione di fuochi d’artificio. Furono gli Europei a farne uno strumento di morte, costruendo intorno alla metà del XIV secolo le prime armi da fuoco. I primi cannoni erano di bronzo, rame e stagno. Questi metalli divennero una preziosa merce di scambio e si formò un ingente mercato di armi soprattutto nell’Italia settentrionale e nei Paesi Bassi. Inizialmente i proiettili erano a forma di freccia, poi vennero sostituiti da palle di pietra e infine di bronzo. Il nome di questo nuovo tipo di arma deriva dalla forma della struttura dalla quale venivano lanciati i proiettili, che in un primo periodo era una sorta di vaso, poi si passò ad una forma tubolare, cioè alla “canna”, posta su un cavalletto. Inizialmente i cannoni avevano molti difetti e oltre che ad avere un tiro impreciso facevano anche più rumore che danni. Dopo vari studi e perfezionamenti anche da parte di uomini di fama, come Leonardo Da Vinci, che studiò con precisione la traiettoria dei proiettili, le prestazioni dei cannoni migliorarono notevolmente ed essi diventarono così la miglior arma in circolazione. Con l’arrivo delle armi da fuoco le fortificazioni delle città vennero modificate; vennero progettati bastioni, torri e mura elevate che potessero resistere il più possibile ai bombardamenti dei cannoni. Furono inoltre studiate forme più adatte a respingere i colpi: il cilindro e il cuneo sembrarono le forme più indicate per evitare la distruzione perché davano maggiore stabilità. Come tutte le grandi invenzioni anche le armi da fuoco suscitarono varie perplessità. Io sono d’accordo con Ludovico Ariosto che nell’Orlando Furioso, trovò l’occasione per esprimere il suo giudizio indignato, nel quale condannò le armi da fuoco come strumenti di guerra poco virtuosi. In effetti con le armi da fuoco si perse il senso di gloria, di onore e di valore che si poteva ottenere con una battaglia di spade tra due cavalieri o con un duello tra due eroi epici che si affrontavano per proteggere o manifestare i propri ideali.
I poveri nel Trecento: malvagi da isolare o sofferenti da aiutare?
Chi erano i poveri nel Medioevo?
Il povero era colui che non mangiava carne e non beveva vino; era un infermo, cieco, zoppo o monco, coperto di piaghe che degli stracci lasciavano apparire con una inverecondia ripugnante; il povero viveva nella sporcizia. Egli era laido, faceva paura, lo si riteneva malvagio, era disprezzato, umiliato e lui stesso umiliava gli altri con il suo contatto. Il povero era un errante, un vagabondo; col sacco sulle spalle, il bastone in mano, andava di borgata in borgata. Non aveva né una casa né una professione. La società ignorava il povero, infatti i documenti non lo designavano con il suo nome, supposto che se ne conoscesse uno. L’isolamento lo perseguitava anche dopo la morte, poiché il suo cadavere non trovava posto fra gli altri Cristiani; ad esempio nel cimitero degli Innocenti, a Parigi, la “fossa dei poveri” era in disparte. Da tutto ciò viene spesso trasmessa un’idea sbagliata della povertà del Medioevo. Studi recenti stanno smentendo l’immagine di un Medioevo gravato dalla miseria e da una fame diffusa e invincibile. Come sempre, la realtà è più sfumata e sembra proprio che la fame più atroce sia iniziata con l’età moderna. Anche se non va idealizzato, il lunghissimo periodo medievale è, per molti versi, simile alla nostra epoca per quanto riguarda l’intensità della felicità e dell’infelicità, della miseria e della ricchezza. Ciò che è profondamente cambiata è la mentalità nostra che ci fa apparire intollerabile o miserabile ciò che un tempo era accettato. Purtroppo non abbiamo la controprova, e non potremo mai sapere cosa avrebbe pensato un uomo medievale degli stili di vita moderni. Sappiamo invece che nel Trecento si formarono due diversi tipi di tendenze riguardo agli atteggiamenti da adottare nei confronti dei poveri. Innanzitutto c’erano le istituzioni di beneficenza che avevano il compito di fornire e di organizzare i soccorsi ai bisognosi. In primo luogo vanno nominati gli ospedali, che nel Medioevo ospitavano soprattutto i poveri. Ad assisterli poi vi erano le varie congregazioni. I fondi per la beneficenza non mancavano, giacché i mercanti nella loro contabilità tenevano presente anche la necessità di redimersi dai peccati. L’opera di beneficenza veniva svolta in larghissima misura sul piano delle istituzioni; il più delle volte le somme venivano affidate ai collettori delle elemosine, che rappresentavano conventi, ospedali e lebbrosari, e non ai poveri direttamente. Mentre nell’altra tendenza riguardante l’atteggiamento da adottare con i poveri, in opposizione con la prima, si sviluppò una legislazione di carattere repressivo nei loro confronti. In molti paesi, le prime serie misure contro i poveri furono prese intorno al 1350. Nel 1351 il re don Pedro I di Castiglia pubblicò un’ordinanza contro i mendicanti validi, che diventarono passibili di fustigazione sin dalla prima contravvenzione alla legge. In Inghilterra diversi testi legislativi promulgati da Edoardo III tra il 1349 e il 1351 si prefissero lo scopo di reprimere la mendicità, il vagabondaggio e l’elemosina data agli oziosi, e nello stesso tempo regolamentarono i salari. Ma questa legislazione, che d’altronde rimase spesso inapplicata, non cancellò affatto le antiche idee sui diritti sacri del povero quale rappresentante del Cristo sulla terra. Cominciò semplicemente a delinearsi una distinzione, che avrebbe avuto molta fortuna nei secoli seguenti, tra poveri “buoni” e poveri “cattivi”; e i poteri pubblici, almeno, ritenettero indispensabile usare la massima severità con i secondi. Ma si esitava, si andava a tentoni. Evidentemente, alla fine del Medioevo non si era ancora deciso quale dei due opposti atteggiamenti adottare.
Poveri, ora come nel Trecento
I poveri c’erano allora, come adesso. L’epoca di cui parliamo è il Trecento, anni caratterizzati da una profonda crisi, economica, demografica e sociale. Ma come venivano trattati allora i poveri?
Una profonda contraddizione segnava la società: se da una parte i poveri erano cacciati e considerati malvagi, dall’altra essi costituivano un modo per redimersi dai propri peccati. Le ingiustizie che subìvano erano molte: spesso non potevano neppure avere alloggio negli asili di una stessa città per due notti di fila, pena la forca. Il povero era isolato: non aveva nome, né documenti, e anche dopo la morte era separato dagli altri, in fosse comuni. Ma riceveva nello stesso tempo asilo e aiuti da ospedali, confraternite e corporazioni. I mercanti istituirono il “conto di messer Domeneddio”, che raccoglieva le elemosine concesse ai poveri. Oltre alle singole corporazioni, che prevedevano sostegno e assistenza in favore dei membri in difficoltà, i poveri erano anche ricordati nei lasciti testamentari: non c’era miglior mezzo infatti per espiare i propri peccati.
Penso ora a ciò che succede nel presente. Anni luce lontano dal Trecento, sembra. Eppure, i mendicanti che supplicano per pochi euro, che giacciono ai lati delle strade, scansati dai passanti, raccontano un’altra storia. Il modo in cui essi sono oggi trattati è così diverso da quello del Trecento? Di sicuro c’è una maggior sensibilizzazione nei loro confronti: non sono più considerati malvagi o cacciati con brutalità dalle città. Ma se nel Trecento essi erano anche sofferenti da aiutare, anche solo per la salvezza della propria anima, ora non è più così: i più poveri ed i mendicanti guardano dal basso della loro posizione i passanti, che, il più delle volte, li ignorano, imbarazzati dalla sporcizia e dalla ripugnanza in cui vivono, ma troppo lontani dalla loro realtà per allungare una mano in loro aiuto. Certo, le organizzazioni umanitarie tentano di rendere le loro condizioni più sopportabili, ma la maggior parte delle volte questo non è sufficiente. Nel Trecento, benché l’obiettivo fosse puramente egoistico, un aiuto veniva fornito anche dalle persone comuni.
Ed allora io mi domando: possibile aver fatto un passo indietro rispetto ad un’epoca in cui gli ebrei e i lebbrosi erano accusati e perseguitati perché considerati gli untori che diffondevano la peste?