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La potenza della parola.

Un grande esponente del movimento sofistico è Gorgia.

Come Protagora, anche Gorgia scrisse molto e i suoi scritti erano per lo più orientati verso l’oratoria.

Egli nutriva un grande interesse per l’uso retorico, ovvero persuasivo, della parola. Non usava la parola per comunicare come stanno le cose: lo riteneva impossibile. Se ne serviva, invece, per manipolare i suoi interlocutori e spingerli ad accettare il suo punto di vista. Agiva sulle passioni, sulle paure, sui sentimenti…

Gorgia esaltava la potenza ingannatrice della parola.

Qualche interprete sostiene che non si tratta di un inganno nel senso morale del termine. Gorgia si riferirebbe alla finzione letteraria, propria dei poeti, e capace di coinvolgere i lettori: sarebbe un ascoltatore davvero sciocco colui che ascoltando una poesia non si lascia influenzare dalle parole di essa o non desta un brivido.

Questa interpretazione sembra ben poco conciliabile con altre sue parole:

Dalla magia e dalla potenza ingannatrice della parola si sono ricavate due arti, quella di traviare la mente e l’altra di ingannare l’opinione pubblica.

Gorgia equipara la potenza della parola alla potenza dei farmaci: come infatti certi farmaci eliminano dal corpo tumori, altri troncano la malattia e altri ancora la vita; così anche nei discorsi, le parole producono dolore, altre paura e altre ancora, addirittura, incutono terrore, altre infine, con qualche persuasione perversa, stregano e avvelenano l’anima. Esse restano vive anche nel corso degli anni e, nei momenti meno opportuni, ti colpiscono.

Gorgia nega che le parole possano esprimere la realtà e ne sottolinea, invece, la potenza persuasiva. Ma le parole, per fare tanto effetto sulle persone, devono avere un significato. La loro forza non sta solo nel suono o nel modo di pronunciarle, ma soprattutto nel loro significato, cioè, in quel riferimento alla realtà che Gorgia vorrebbe negare.

Gorgia dunque fa un uso improprio della parola, perché tiene conto solo di una sua funzione secondaria, ovvero quella sentimentale-emotiva, ed esclude, invece, la sua funzione principale, quella razionale.

Tuttora le parole vengono usate in modo improprio, come ad esempio nelle pubblicità dove esse colpiscono il desiderio delle persone e non l’intelletto.

Impariamo a difenderci.

L’origine delle stelle cadenti.

C’era una volta uno strano animale che viveva nelle nuvole, era per metà gazza. Ogni sera si metteva a guardare le stelle che brillavano e sognava che un giorno avrebbe potuto averle tutte. Sognava e risognava, ma un giorno si decise di partire per prenderle. Si portò dietro un sacchetto dove mettere le stelle e, una volta calato il sole, si avviò.
Ne prese tante, 10, 20, 30, 40, 50, ma ne voleva altre, molte altre! Era acciecato ormai dal bagliore delle stelle e riempì tutto il sacchetto fino all’orlo. Le stelle che pesavano molto cominciarono a corrodere il sacchetto con le loro punte e, una volta rotto, cominciarono a scappare.
Le stelle però, non trovando più casa, cominciarono a viaggiare per lo spazio. Certe ritrovarono la loro casetta e altre stanno tutt’ora viaggiando, realizzando i sogni delle persone che le vedono cadere.