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Socrate, Platone e Protagora: tanto diversi e tanto uguali

Per i sofisti la verità è qualcosa di relativo, particolarmente per Protagora consiste nell’utile, per quanto non nell’utilitaristico e tanto meno nel vantaggio particolaristico; per Socrate la verità è la ricerca della verità; per Platone è un possesso dell’anima.
Si può dunque affermare che il precetto socratico «conosci te stesso» sia una conseguenza della formula di Protagora che riassume la teoria sofistica nell’uomo «misura di tutte le cose»: «il giudizio umano possiede un diritto di legislazione universale; il suo compito è quello di rimettere in questione tutto ciò che sembrava non porre problemi, di rifiutare l’evidenza che è soltanto apparenza». La verità non si basa su dogmatismi, ma si trova nella sua ricerca stessa.
C’è nei sofisti «l’aspirazione a un umanesimo totale perché niente di umano è loro estraneo» e «il relativismo che si è rimproverato loro non è che il rovescio o la contropartita del loro universalismo: la realtà umana, somma di tutti i suoi aspetti, può essere conosciuta solo attraverso lo studio del presente e del passato, del qui e dell’altrove».
Con Platone, invece, «la trascendenza riprende tutti i suoi diritti» e «sarà il punto di riferimento di tutti i misticismi» registrabili dopo il III sec. a. C. e soprattutto nell’era cristiana; cioè delle forze irrazionali contrapposte e intrecciate al razionalismo greco. Per la ragione greca (il logos solo schematicamente opposto al mythos, ma in realtà legato ad esso) la terra dipende dalle leggi del cielo, ma esso «è la patria delle rappresentazioni mitiche»: sede di una «surrealtà trascendente». Infatti, «fino a Newton compreso, la teoria fisica non è esente da presupposti ontologici» e «la scienza più perfettamente razionale si vuole in comunione con l’autorità trascendente»

Se nel complesso «ricerca della verità» si accentua l’aspetto di ricerca mai conclusa e mai concludibile, affermo che la verità (oggetto della ricerca) non è raggiungibile in assoluto per l’uomo. Si sta, allora, dando particolare rilievo all’umano, si sta cioè dicendo che carattere proprio dell’umano è la ricerca.
Se, invece, si accentua il secondo termine, la verità, si cristallizza la ricerca nel suo obiettivo, l’umano nell’anima, il mondo umano nell’Iperuranio, e si trasforma l’arte maieutica in possesso di conoscenze metafisiche da parte dell’anima che le richiama a sé nella memoria.

Questa è una mia piccola riflessione su due famosissimi filosofi e un altrettanto famoso sofista. Per i dubbi e le domande su questo post siete invitati a commentare. Grazie e al prossimo post.

L’arte di “fare uno e molti”

La dialettica, dice Platone, è il metodo supremo per fare filosofia: ci consente di raggiungere la verità o l’idea. Per avvicinarci alla verità possiamo prima di tutto escludere tutte le ipotesi false: questo procedimento prende il nome di confutazione. Se in Socrate la dialettica come confutazione si fermava proprio alla confutazione di coloro che si credevano sapienti ma non lo erano, in Platone essa diventa strumento di conoscenza. E come può la semplice confutazione arrivare ad un vero e proprio sapere? Per Platone basta confutare tutte le ipotesi possibili: quella che rimarrà, che avrà resistito ad ogni confutazione, è quella vera e dimostrata. Ma a me non sembra così semplice: magari noi non siamo riusciti a confutarla, ma in seguito ci riuscirà qualcun’altro. Nello stesso modo il punto critico ed il passo falso del ragionamento di Platone stanno nel fatto che la soluzione potrebbe trovarsi in un’ipotesi a cui non ho pensato.

Come faccio invece a confutare tutte le ipotesi, per raggiungere quella anipotetica? Semplice: dimostrando che le conseguenze che ne derivano sono in contraddizione tra loro. Il “principio di non contraddizione” su cui Platone si basava arrivava infatti alla conclusione che se un’ipotesi dà origine a conseguenze contraddittorie (rispetto a quelle tangibili della realtà sensibile), l’ipotesi sarà falsa. Oppure, se ho due ipotesi contraddittorie fra loro: o è vera l’una o è vera l’altra! Prendiamo un esempio: “Soltanto qualche mio amico gioca a calcio” e “Tutti i miei amici giocano a calcio”; direte voi, o tutti i miei amici giocano a calcio o solo qualcuno: non possono essere vere entrambe! Ma Platone non era stato il primo a comprendere che dimostrando l’assurdità di una tesi si arrivava implicitamente alla veridicità della tesi opposta. Anche Zenone, seguace di Parmenide, c’era arrivato: ma questo “padre della dialettica” pretendeva di difendere con il metodo della confutazione il suo maestro, che di non essere proprio non voleva sentir parlare!

Ma la dialettica diventa anche essenziale strumento della filosofia per un altro motivo: come la filosofia è una “scienza universale”, che cerca quindi di occuparsi di tutta la realtà nel suo complesso, così anche la dialettica è l’arte dell’unire e del dividere. È quella “scienza” che unisce le “cose molteplici” sotto un’unica idea e nello stesso tempo quella che divide queste “cose molteplici” da quelle che non partecipano all’idea. Per esempio: l’idea della bellezza riunisce in sé tutte le “cose belle”, che sono a loro volta separate, divise, dalle cose “non belle” che non partecipano all’idea di bellezza.

In breve: la dialettica è quello strumento che ci consente di arrivare alla verità, pura e assoluta, che non si serve di presupposti, ma arriva a dimostrarli. E fa questo attraverso la confutazione, perché prima di arrivare alla verità devi attraversare le lunghe strade delle menzogne (Rachid Ouala).

Quanto è difficile andare d’accordo?

Discutere di un argomento o un pensiero fa parte della vita di tutti i giorni: insomma, chi può ammettere di non esser mai in disaccordo con qualcuno? Spesso ci troviamo a litigare, e le ragioni che ci spingono a intavolare una discussione sono molteplici. Ma non è nemmeno possibile dissentire su tutto: ci sono innumerevoli occasioni in cui si condivide la stessa opinione, rimanendo d’accordo e in sintonia.

Secondo Socrate, filosofo del V secolo a.C., si avranno idee discordanti su qualcosa se non c’è un’unità di misura, se il criterio che si usa per definirla rimane soggettivo. Per esempio a proposito del buono e del cattivo, del bello e del brutto, del giusto e dell’ingiusto, per i quali ognuno può parteggiare secondo le proprie idee e opinioni, non c’è una regola fissa che stabilisca cosa sia l’uno o l’altro.

Ci sono però situazioni in cui si devono prendere decisioni su cosa è giusto o ingiusto, per esempio quella in cui Socrate si trova nella sua Apologia, cioè davanti a un tribunale.

Socrate riteneva che le cause risolvibili fossero appunto quelle che hanno un’unità grazie alla quale si possono misurare, come quale sia il più numeroso tra gruppi di oggetti, o che cosa sia più pesante o più leggero. Riflette quasi matematicamente sulle domande che si pone, anche quando identifica, per esempio, il santo come un sottoinsieme del giusto, perché non tutto ciò che è giusto è santo, ma qualunque cosa santa è anche giusta. Altrimenti anche fare il calciatore sarebbe un’azione santa, perché è uno sport che fa bene, e quindi è giusto per sé stessi. Socrate però cerca di trovare una risposta non solo ai problemi oggettivi, ma anche a quelli, come il bene e il male, che mantengono un punto di vista soggettivo. Ma perché farlo, se non esiste un unità di misura e sono irrisolvibili? Il fatto che non ci sia un’unità di misura, secondo lui, non significa che essa non esista, ma semplicemente che non è ancora stata trovata, per questo è giusto porsi domande a riguardo.

Questa continua ricerca di risposte da parte di Socrate non lo spingeva in nessun modo a ritenersi esperto in qualche campo. D’altronde come spesso diceva, lui “sapeva di non sapere”, e la ricerca del sapere è ostacolata nel momento in cui una persona è convinta di sapere abbastanza. Infatti Socrate era solito far notare alle persone sicure di sé che in realtà erano ignoranti quanto lui, ma il fatto di non esserne consapevoli le rendeva meno sapienti. Per questo aveva un atteggiamento (che venne poi definito “metodo socratico”) che metteva in luce persino l’ignoranza dei più illustri maestri anche nei campi in cui essi si ritenevano professionisti. Quando finalmente davano una definizione possibile, Socrate riusciva sempre a confutarla provocandosi la loro inimicizia. In fondo, nessun uomo acculturato ammetterebbe di essere un ignorante, soprattutto se l’accusa proviene da una persona povera come Socrate.

E questo succede tutt’ora, il fatto che non si abbia voglia di “svegliarsi”, ma che si preferisca restare nella situazione in cui ci si trova, prendendo come accettabile una risposta, solo perché non si ha la pazienza di ragionarci su. Quindi la si considera inconfutabile nell’eventualità che emerga un dissenso, e la si usa poi come soluzione.

L’amore

Nel Convito di Platone, Fedro dice che l’amore è passione sessuale, Pausania distingue l’amore in amore volgare cioè quello sessuale e l’amore spirituale, Erissimaco concepisce l’amore come una forza cosmica che tiene insieme cose diverse, Aristofane con il mito degli androgini spiega che inizialmente non c’era differenza sessuale, ma gli esseri, troppo presuntuosi, dopo aver deciso di sfidare gli dei furono puniti da Giove che li divise in due parti con un fulmine e quindi l’amore è la ricerca della propria metà. Per Socrate invece l’amore è un desiderio, la mancanza di qualcosa e ricchezza cioè energia di cercare ciò che manca infatti chi è innamorato sente il desiderio di qualcosa che manca, qualcosa di essenziale.
Secondo voi invece cos’è l’amore?