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Bacone: un nuovo metodo per “interpretare” la natura

"Instauratio magna" di Bacone


Nel periodo che va da metà Cinquecento a metà Seicento, i filosofi cominciano a concentrare la loro attenzione sul metodo per conoscere la realtà. Fanno parte di questa “corrente” filosofi come Bacone (Sir Francis Bacon), Cartesio (René Descartes) e altri pensatori sia precedenti sia successivi.

Vorrei porre l’attenzione, però, su Bacone, che ha dato un grande contributo per formare il concetto moderno di scienza. In particolare la sua metodologia ha portato un grande apporto nel campo della botanica, zoologia, anatomia, embriologia ecc.; in seguito ad una paziente e graduale analisi dei fenomeni con l’aiuto di mezzi di classificazione di stile baconiano si è ottenuta un’importante serie di risultati scientifici.

La sua opera più celebre è il Novum Organum, chiamato così in contrapposizione all’Organon (“strumento”) di Aristotele: infatti, Bacone si distacca completamente dal metodo dei sillogismi aristotelico e ne propone uno completamente nuovo.

Il Novum Organum di Bacone si divide fondamentalmente in due parti:

• La pars destruens, in cui sono esposti gli errori da cui dobbiamo liberarci per delineare il metodo della ricerca della verità. Occorre purificare la nostra mentalità da una serie di errori che avevano causato sino ad allora lo scarso progresso delle scienze. Tali errori (o per meglio dire, i pregiudizi dell’uomo) sono definiti “idola” e si dividono in idola tribus (pregiudizi fondati sulla stessa natura umana, che tende a semplificare e a compiacersi di astrazioni), idola specus (pregiudizi derivanti dal singolo individuo condizionato dall’ambiente in cui si trova, dal temperamento, dall’educazione, dalle letture, dagli amici, ecc.), idola fori (pregiudizi che derivano dal contatto reciproco tra gli uomini, in particolare dal loro “commercio” di idee e pensieri) e idola theatri (pregiudizi derivanti dalle “false eredità” delle teorie filosofiche, ma anche di altre scienze, tramandate dalla tradizione). Una volta abbattuti questi muri, possiamo accostarci al “vero” metodo di conoscenza.

• La pars construens, in cui Bacone espone il suo metodo rigoroso di conoscenza della realtà. Secondo il pensatore inglese, se si vuole realmente “interpretare la natura” e coglierla nella sua struttura più profonda (quella che lui chiama la “forma” dei corpi), bisogna adottare un metodo induttivo rigoroso, quello che lui propone attraverso la teoria delle tabulae.

Ciò che, però, ha attirato la mia attenzione è il nuovo metodo di conoscenza proposto dal filosofo, la pars construens che lui espone. Vediamo di analizzarla nei dettagli.

La pars construens è presentata da Bacone nel secondo libro del Novum Organum. Per il pensatore inglese, se non ci si vuole accontentare di “anticipare la natura” con affrettate e sommarie induzioni, ma si vuole veramente “interpretare la natura” cogliendo la “forma” dei corpi, si deve seguire un metodo induttivo rigoroso, elencando i vari casi in cui la “forma” si presenta nelle tabulae.

Bacone individua tre tipi di “tavole”:

• Nella tavola della presenza (tabula praesentiae) si raccolgono tutti i casi positivi, cioè tutti i casi in cui il fenomeno si verifica (per esempio, Bacone prende in analisi il calore che viene prodotto dal sole, dal fuoco, dai fulmini, attraverso strofinamento, ecc.).

• Nella tavola dell’assenza (tabula absentiae in proximitate) si raccolgono tutti i casi in cui il fenomeno non ha luogo, mentre si sarebbe creduto di trovarlo (per esempio, sempre per quanto riguarda il caldo, i raggi della luna, la luce delle stelle, i fuochi fatui, ecc.).

• Infine, nella tavola dei gradi (tabula graduum) sono presenti i gradi in cui il fenomeno aumenta e diminuisce (ad esempio, le variazioni di calore in uno stesso corpo in relazione a vari ambienti o ad altre particolari condizioni).

Una volta compilate le tre tavole, l’intelletto deve procedere all’induzione vera e propria, cioè all’individuazione della “forma”. Tale processo deve avvenire per via di “esclusioni” e di “eliminazioni”: ossia si deve procedere allo scarto delle ipotesi false. Ad esempio, il calore non è soltanto un fenomeno celeste, perché anche i fuochi terrestri sono caldi; né solo un fenomeno terrestre, visto che il sole è caldo; dipende da un particolare elemento, l’antico elemento chiamato “fuoco”? No, poiché qualsiasi corpo può essere riscaldato per sfregamento, ecc. Per via di eliminazioni sarà così possibile tentare una prima interpretazione positiva, detta vindemiatio prima. Tale interpretazione dovrà essere ulteriormente sottoposta a esperimenti di vario genere, fino all’esperimento “cruciale” (experimentum crucis), che dovrebbe permettere di accettare in modo definitivo l’ipotesi o di rifiutarla.

In prima analisi il metodo baconiano sembrerebbe valido, anche se un po’ troppo rigido per quanto riguarda la sua schematizzazione e la sua lentezza nel compiersi. Allora perché nel corso dei secoli il suo metodo è stato a poco a poco dimenticato, mentre il metodo galileiano oggi è ancora alla base dell’analisi scientifica? Quali sono i suoi limiti?

Sebbene presenti molti elementi in comune con il metodo scientifico moderno, la procedura di Bacone manca di un elemento fondamentale: la matematica; ovvero lo strumento rigoroso di un’analisi quantitativa delle esperienze scientifiche di cui, di lì a poco, Galilei comprenderà l’importanza fondamentale. Inoltre, Bacone sostiene, a differenza di Galilei, di voler conoscere lo schematismus latens ed il dinamismus latens della realtà, cioè la struttura nascosta e l’elemento dinamico latente delle cose: in qualche modo, dunque, si può dire che Bacone sia ancora alla ricerca dell’essenza, cosa che lo differenzia moltissimo dalla concezione scientifica moderna.

Infatti nei suoi scritti notiamo che Bacone arriva addirittura a compiere delle affermazioni che oggi risulterebbero alquanto inverosimili: per esempio, sosteneva che l’oro è composto da una serie di nature semplici (quali il colore, il peso specifico, la duttilità, la malleabilità, ecc.); con la conoscenza di queste nature semplici, è possibile “rivestire” (superinducere) di nature nuove un corpo dato; ad esempio, si può produrre un metallo con le caratteristiche dell’oro, o una pietra trasparente, o un vetro molto resistente, ecc. Tali affermazioni, secondo me, mostrano come Bacone abbia qualche legame con la tradizione magico-ermetica, anche se Bacone rifiuta ufficialmente la magia. Allora sembra quasi naturale che un soggetto del genere, col passare degli anni sia stato abbandonato nell’oblio, non credete anche voi?

San Tommaso d’Aquino: il grande innovatore

San Tommaso d'Aquino

Nell’arco dell’intera storia della filosofia, il frate domenicano Tommaso d’Aquino è stato di sicuro una delle personalità più influenti e, ancor oggi, conta un numero straordinario di “seguaci” della sua dottrina. Con tale pensatore la fiducia nella possibilità di conciliare fede e ragione, in nome di una concezione rigorosamente unitaria del sapere, raggiunge l’apice. Pochi anni dopo la sua morte le “nozze” fra filosofia e teologia entreranno in crisi.

Come mai questo pensatore ha avuto un così grande rilievo nella storia?

In primo luogo bisogna rilevare che la sua filosofia è importantissima per dottrina cattolica, ed avendo la religione cattolica quasi un miliardo e duecento milioni di credenti, appare quasi naturale che questo filosofo sia ancor adesso tra i più letti e commentati nel mondo.

Possiamo riassumere la sua grande novità rispetto al pensiero precedente in tre punti essenziali:

  1. Cambiamento importante nel pensiero religioso, in particolare per quanto riguarda la natura umana e ciò che l’uomo può dire della natura divina: fino ad allora i pensatori cristiani (compreso Agostino)
    • privilegiavano la “teologia negativa”: l’uomo non può affermare nulla intorno a Dio, perché, essendo l’essere stesso, è sostanzialmente qualcosa di indefinibile
    • svalutano il corpo che, legato alla terra, svia l’uomo dai suoi obiettivi ultraterreni
    • ritengono non vi sia alcuna somiglianza tra noi e Dio: egli è l’essere divino irraggiungibile e noi inutili creature terrene.

    Per Tommaso, al contrario,

    • ciò che noi possiamo dire di Dio non è del tutto sbagliato: di certo non potrà mai arrivare a determinare la sua grandezza, ma serve comunque ad esaltarla
    • il corpo deve essere rivaluto perché anch’esso è opera di Dio e ha un ruolo positivo nella vita umana
    • vi è una similitudine tra l’essere umano e Dio: infatti tutti gli esseri da lui creati traggono dal divino la loro essenza e l’uomo è tra quelli che ne trae di più perché è l’unico essere che ha in sé sia l’elemento spirituale (l’anima) sia l’elemento terreno (il corpo).
  2. Il rapporto tra fede e ragione, che è uno dei temi più importanti sviluppati nella sua filosofia: egli riprende il concetto agostiniano (“credo ut intelligam, intelligo ut credam”) e lo conferma, affermando anch’egli che fede e ragione devono trovare un accordo e collaborare, che filosofia e teologia sono scienze che vanno usate entrambe per raggiungere la verità. Per dare credito alla sua idea che fede e ragione possono collaborare, Tommaso compie una dimostrazione razionale dell’esistenza di Dio, rivelando così che il “credo quia absurdum” di Tertulliano è sbagliato come del resto tutte le correnti fideiste (di cui fa parte anche Guglielmo di Occam), le quali affermavano che nessuno degli attributi divini poteva essere oggetto di dimostrazione, altrimenti Dio non avrebbe compiuto il gesto inutile di rivelare all’uomo ciò che poteva scoprire con le sue sole forze.
  3. La sua teoria della conoscenza: Tommaso a riguardo espone una teoria realista, ossia l’uomo è in grado di conoscere la realtà che lo circonda; tale posizione è contrastata da filosofi come Guglielmo di Occam (il quale era un frate francescano; in quel periodo domenicani e francescani erano ordini religiosi avversi tra loro e, anche in ambito filosofico, avevano sempre posizioni contrastanti): questi filosofi sposavano una posizione nominalista, cioè l’uomo non ha alcuna possibilità di comprendere la realtà.

Dopo questo breve sunto, cerchiamo di analizzare più a fondo i tre elementi della dottrina di Tommaso.

Come citato sopra, fino a quel momento i filosofi cristiani prediligevano la “teologia negativa”, in altre parole, per quanto riguarda il nostro modo di predicare qualcosa di Dio, l’uomo è in grado solamente di dire cosa Dio non è (ad esempio: Dio non è cattivo, Dio non è ingannevole, Dio non è malvagio, ecc.), ma se volesse dire cosa Dio sia, non potrebbe perché la sua natura ineffabile fa sì che nulla di ciò che si professi di lui serva in qualche modo a comprendere il suo essere, il linguaggio umano non può far nulla per descriverlo. San Tommaso, invece, sebbene non si distacchi totalmente da tale tradizione, ritiene che ciò che noi diciamo di positivo sul suo conto (esempio: Dio è glorioso, onnipotente, onnisciente, ecc.), anche se non riesce comunque a estrapolare la sua essenza, serve comunque a valorizzare la sua magnificenza e a cogliere parte del suo essere. Per quanto riguarda invece la natura umana, secondo la “teologia negativa” l’uomo, fatto di anima e corpo, deve “disprezzare” la sua parte corporea che, essendo legata al mondo terreno, lo distoglie dai suoi obiettivi più importanti, ovvero il raggiungere la felicità nella vita ultraterrena. Tommaso al contrario rivaluta il corpo: dopotutto Dio ha creato l’uomo come unione di anima e corpo, ponendolo, di fatto, al confine tra il mondo delle sostanze spirituali (perché possiede l’anima) e il mondo terreno (perché possiede il corpo); il corpo, essendo in stretto legame con l’anima, ha anch’esso una funzione rilevante nel conseguimento della felicità terrena, che contribuisce così anche alla felicità ultraterrena, l’unica davvero importante per il vero cristiano. Il fatto che l’uomo sia un essere a metà strada tra le sostanze spirituali e il mondo terreno è inoltre un segno evidente della nostra somiglianza col divino.

Altra questione è la teoria della conoscenza secondo Tommaso. Nella storia della filosofia la gnoseologia (ossia “teoria della conoscenza”) è da sempre uno degli ambiti più trattati, la quale in particolare nel mondo medievale si divideva in due posizioni contrastanti: la posizione realista, secondo cui l’intelletto è in grado di conoscere la realtà, e la posizione nominalista (cui appartiene Guglielmo di Occam e uno dei più grandi scrittori contemporanei, Umberto Eco, che mostra la sua concezione nella sua opera “Il nome della rosa”: “nomina nuda tenemus”), secondo cui l’intelletto umano non riesce ad avere una conoscenza del reale e i nomi che noi diamo alle cose sono semplici etichette che noi poniamo agli oggetti che sembrano avere una vaga somiglianza. Tornando a Tommaso, la sua teoria della conoscenza viene esposta nel seguente modo: l’anima intellettiva umana non è in grado di apprendere direttamente gli intellegibili, ma può conoscere le forme delle cose solo nella loro unione con i corpi, in altre parole soltanto grazie all’esperienza sensibile. L’anima (fatta di facoltà attiva e passiva) considera le forme sensibili nel loro aspetto universale, ossia la facoltà attiva astrae gli elementi comuni (gli universali) e li imprime nella facoltà passiva, che conserva tutti gli universali raccolti.

Il rapporto tra fede e ragione è una questione piuttosto ampia che affonda le sue radici all’origine delle prime comunità cristiane e che è diventato col passare degli anni un problema sempre più importante dato che il cristianesimo si era ormai affermato come religione europea. Tale problema parte alle origini del cristianesimo con Tertulliano che condanna in modo categorico la ragione e la filosofia (“credo quia absurdum”); poi prosegue con Sant’Agostino, secondo il quale la fede è fondamento della ricerca razionale e la filosofia chiarisce i contenuti di fede, predisponendo l’uomo ad accoglierli (“credo ut intelligam, intelligo ut credam”); in seguito vi è Anselmo d’Aosta, il quale, non distaccandosi totalmente dalla posizione agostiniana, afferma che, anche se la fede ha un primato sulla ragione, quest’ultima chiarisce ciò che si possiede già con la fede (“credo ut intelligam”). Ed ecco che arriva Tommaso d’Aquino, che sotto molti aspetti rivela di avere punti in comune con Agostino: secondo la sua concezione unitaria del sapere, è impossibile che due scienze come filosofia e teologia siano separate, anche se la filosofia può creare contrasti con le verità di fede; dato che comunque la priorità va data alla rivelazione divina, in quei casi bisogna sottostare ai risultati raggiunti dal teologo. Entrambe le scienze tendono a un’unica verità, ma diverso è il modo di conoscerla: pur utilizzando entrambe il medesimo metodo di ricerca (tratto dalla logica aristotelica), partono però da premesse differenti, che in ambito teologico derivano dalla fede, mentre in ambito filosofico sono evidenti. Come conciliare dunque due scienze così diverse, una legata alla fede, l’altra alla ragione? Semplicemente la teologia ha il compito di fornire un sommo sapere speculativo e pratico, mentre la filosofia ha lo scopo di intendere sempre meglio i contenuti della rivelazione, di dimostrare che alcuni dogmi che la ragione umana è in gradi di indagare e capire (come l’esistenza di Dio e l’immortalità dell’anima) non siano contraddittori, di combattere le posizioni contrarie alla fede. Le due scienze non sono in contrasto, ma al contrario sono complementari.

Al giorno d’oggi, in cui l’uomo è ormai approdato a una visione laica della vita, completamente distaccata dalla religione e dal sapere teologico, come si può conciliare la filosofia di un pensatore cristiano medievale, che ritiene che filosofia e teologia siano semplicemente due facce di una stessa moneta?

Secondo me, bisognerebbe partire dal presupposto del perché esista la religione e perché, fin dall’antichità, l’uomo ha avuto bisogno di credere in uno o più enti soprannaturali. Una reale spiegazione credo che sia impossibile trovarla, ma per me è possibile dimostrare l’esigenza per l’uomo di una religione. Prendiamo in esame due casi: al giorno d’oggi se andiamo in mezzo alle tribù eschimesi, possiamo notare che essi possiedono una loro religione seppur animista, lo stesso vale se andiamo in mezzo alle tribù amazzoniche o a qualsiasi altra popolazione tribale o civilizzata; tutti possiedono una religione e questo è un primo elemento per dimostrare il bisogno religioso dell’uomo. La seconda via riguarda l’analisi storica: se prendiamo in considerazione i nostri antenati, come l’homo sapiens di Neanderthal, o le prime tribù nomadi preistoriche, possedevano anche loro una religione. Quindi appare quasi evidente che l’essere umano, unico dotato di ratio, abbia bisogno di credere in uno o più enti sovrumani.

Dunque perché ci meravigliamo che nel corso della storia parte fondamentale della filosofia sia stata dedicata alla religione? Del resto Tommaso non ha fatto altro che incarnare in modo straordinario la mentalità della sua epoca.

Questa breve precisazione, forse un po’ fuori luogo, aveva semplicemente lo scopo di convincere il lettore che, anche se viviamo ormai in una società che si ritrova quasi al rifiuto della religione, è altrettanto vero che la società occidentale affonda le sue tradizioni nel credo cristiano e involontariamente ne siamo ancora molto influenzati. Quindi è inutile cercare di fuggire dal “mos maiorum”, ma dovremmo piuttosto cercare di conciliare tradizione e innovazione, che è ciò che la Chiesa in questi anni sta cercando di compiere.

Dopotutto è quello che ha fatto Tommaso ai suoi tempi, ha conciliato la tradizione della rivelazione divina con gli scritti aristotelici che in quel periodo, grazie alla formazione delle università e ad illustri personalità come Guglielmo di Moerbeke, si stavano diffondendo con una rapidità impressionante, tanto da essere stati più volte oggetto di censura da parte della Chiesa.

Ritorniamo al commento del pensiero di Tommaso. Secondo me, riguardo al superamento della “teologia negativa” vi è poco da condividere ai giorni nostri, perché, trattandosi di ciò che si professa di Dio e della natura umana sotto l’aspetto religioso, riguarda comunque qualcosa di strettamente teologico, non riguardante la società laica moderna; tale problema tuttavia interessa l’ambito della Chiesa che ha confermato la posizione di Tommaso riguardo a quel problema teologico.

Più interessante risulta invece l’ambito gnoseologico che nel corso della storia è stato trattato dalla maggior parte dei filosofi, fino ad arrivare, come già detto prima, ai giorni nostri con Umberto Eco, fautore della posizione nominalista. A mio parere, la posizione realista, di cui fa parte Tommaso, è quella più “giusta” da sposare, perché dà grande rilievo al ruolo della ragione umana. Io ritengo infatti che, se per assurdo non avessimo realmente la possibilità di conoscere la realtà, l’uomo non avrebbe in sé la sua insaziabile sete di sapere e il progresso a cui siamo pervenuti nei giorni nostri non avrebbe mai potuto realizzarsi; del resto se i nominalisti come Occam avessero ragione, periodi storici come il Rinascimento, in cui l’uomo rivaluta la sua ragione, pensa, desidera una conoscenza approfondita della realtà, non sarebbero mai potuti esistere.

Altro ambito è il rapporto fede-ragione. Anche quest’altro nodo fondamentale della dottrina di Tommaso è difficile da ricondurre ai giorni nostri per via della sua natura teologica, ma trattando anche di ragione è più facilmente interpretabile. Se fossi un credente ferreo, sarei completamente d’accordo con Tommaso perché se esiste un modo per cui fede e ragione possano collaborare e per cui le verità di fede possano essere dimostrate, ne andrei subito in cerca. Ma essendo un soggetto critico verso la religione, non credo di poter essere d’accordo con Tommaso, perché secondo me la teologia parte da presupposti non condivisibili da tutti, ma solo dai credenti. All’interno delle visioni cristiane di sicuro Tommaso ha una posizione migliore rispetto al fideismo, ma risulta comunque difficile da conciliare con la visione moderna del mondo.

In tale discorso rientrano le sue famose prove dell’esistenza di Dio, che, devo ammettere, adducono forti argomentazioni a sostegno della tesi, ma si poggiano comunque su premesse non del tutto concrete.

Io ammetto che l’uomo abbia bisogno di credere nel divino, ma è davvero possibile dimostrare l’esistenza di Dio con le sole risorse del mondo sensibile? Lascio la questione aperta, poiché neanche io ho una soluzione a riguardo.

Il metodo socratico nella scuola di oggi

Il metodo socratico, la maieutica, non vuole trasmettere nozioni, ciò che conta è la ricerca, tramite il dialogo, non della verità assoluta e superiore ma di una verità che raggiunta potrà e dovrà essere rimessa in discussione. Il maestro allora è realmente sullo stesso piano dei discepoli, non è un modello che si abbassa al loro livello: questo non occorre poiché è il dialogo stesso che li rende eguali: nessuno è depositario di verità, tanto meno Socrate che va sempre ricercando e investigando. Dialogando inoltre si realizza un comportamento concretamente virtuoso perché il confronto con l’altro implica il rispetto, l’ascolto serio, vero e interessato delle ragioni dell’interlocutore a cui si dà spazio con la tecnica delle brevi domande e risposte.
Il dialogo è quindi la condizione che permette il riconoscimento della verità e la realizzazione di un comportamento autentico e virtuoso.
Similmente, la scuola di oggi, non dovrebbe limitarsi a insegnare dei concetti ma sollecitare l’alunno a un autonomo sviluppo delle proprie capacità.
Secondo me si dovrebbe cominciare a formare le persone da un punto di vista umano e discutere su argomenti che possono offrire nuovi spunti di riflessione. Se un insegnante si impegnasse ad applicare la maieutica con gli studenti, potrebbe ridare vita a una scuola ormai in crisi. Infatti i giovani non hanno più alcuno stimolo quando vanno a scuola, l’unico intento che li spinge a continuare gli studi, è ricevere il diploma, fondamentale per trovare un lavoro. in questo modo però la scuola si sta trasformando da un mezzo per crescere interiormente e culturalmente, a un luogo dove bisogna obbligatoriamente andare per un tot di anni per prendere il pezzo di carta e lavorare.

Cosa possiamo imparare di buono dai Sofisti

Il movimento sofistico è un movimento filosofico diffusosi nel V secolo a.C. nell’antica Grecia, specialmente ad Atene. Il termine Sofista ha acquisito rapidamente un significato negativo. Come mai?
Ci sono giunte più descrizioni negative che positive dei sofisti:
pochissime opere di sofisti si sono salvate e quindi per conoscerli bisogna affidarsi alle descrizioni dei loro avversari, le quali non possono essere altro che negative.
Una critica rivolta ai sofisti riguardava il modo in cui svolgevano il loro compito. I sofisti infatti diffondevano il loro sapere solo a pagamento e ciò per la mentalità tradizionale era meschino ed ignobile.
Eppure la Sofistica ebbe ugualmente grande successo soprattutto ad Atene.
Infatti i sofisti insegnavano a usare le parole per catturare gli animi della folla e persuaderla e in una città democratica come Atene, a un candidato, per salire al potere, serviva saper usare le parole al fine di formare discorsi persuasivi per convincere i cittadini a votarlo.
I sofisti erano riusciti a trasformare l’arte della parola in una scienza insegnabile come tutte le altre e inoltre essi conoscevano la psicologia umana e quindi sapevano come suscitare le stesse emozioni in persone diverse.
Personalmente mi hanno colpito due cose sui sofisti: la prima è la loro capacità di persuadere la gente con le parole e insegnare agli altri queste abilità; la seconda è l’idea che chiunque sia in grado di imparare i loro insegnamenti.
Da queste caratteristiche possiamo capire che la parola è una gran dominatrice che sa compiere cose divine. La parola sa stroncare la paura, sa rimuovere la sofferenza, sa diffondere gioia, sa intensificare la commozione e sa smuovere gli animi delle persone.
Non è per caso che negli stati dittatoriali la libertà di parola è la prima cosa ad essere abolita; infatti quei sovrani che hanno usato la forza della parola per persuadere gli uomini hanno paura che questa venga usata contro di loro da qualcun altro e quindi di cadere dal loro trono.
Per i Sofisti, il sapere non è solo per pochi privilegiati, tutti sono in grado di accedervi.
I sofisti ci aiutano a comprendere che noi siamo in grado di raggiungere qualsiasi obbiettivo.
Attraverso questa stessa convinzione, si può giungere ad avere l’opinione per la quale tutti hanno diritto a una seconda possibilità. Come ogni uomo è in grado di accedere al sapere così ogni uomo colpevole di un reato è in grado di capire dove ha sbagliato e quindi compiere un cambiamento interiore.

Gorgia

La parola è una gran dominatrice che anche col più piccolo e invisibile corpo, cose profondamente divine sa compiere” questo diceva Gorgia, filosofo greco antico, sostenendo che la parola era uno dei principali mezzi di persuasione. Essa per Gorgia era paragonabile  a un “narcotico” che addormentava la ragione costringendo chi la ascoltava a piegarsi al suo volere,alla parola veniva conferito, quindi, un grande potere:quello di ingannare l’anima grazie alla magia dei suoi discorsi. La parola infatti, per questo filosofo non ha il potere di indicare come stanno realmente le cose ed ecco allora che essa diviene disponibile per altri scopi che vanno dalla già citata persuasione, al tentativo di stimolare emozioni, al manipolare l’ opinione pubblica. I poeti sono i principali fruitori della potenzialità emotiva della parola. La poesia,attraverso i versi poetici è in grado di evocare tutte le emozioni nelle diverse sfumature. Ormai la poesia è diventata un interesse di nicchia mentre, oggi ,per la stragrande maggioranza delle persone la poesia si esprime attraverso i versi delle canzoni dei propri cantanti preferiti. Mentre la capacità persuasiva della parola che può essere spinta sino alla manipolazione delle opinioni altrui, oggi, come  nei secoli passati, è utilizzata sia dai politici sia a chi ambisce a conquistare posizioni di potere. Molto spesso, infatti, con le giuste parole si riesce a persuadere, sedurre e stregare la ragione altrui con le proprie idee (giuste o sbagliate che siano) e spesso anche a far cambiare opinione oltre che ad acquisire consenso. Io sono del parere che la parola ha un grande potere ma se le parole poi non si traducono in fatti, esse possono risultare come un “boomerang” per chi le ha spese. Dietro a qualunque grande oratore ci deve essere sempre, in primo luogo, una grande personalità e una grande credibilità. Ma la grande verità di fondo è che, a volte, un’azione vale più di mille  parole. Un gesto, uno sguardo, un’azione, sostituiscono mille discussioni inutili, o, semplicemente, aiutano a esprimere meglio il proprio concetto. Quante  volte , infatti,  sarà capitato di essere fraintesi o esprimere attraverso le parole il contrario di ciò che pensiamo realmente quando attraverso un singolo gesto si potrebbe evitare tutto ciò. Ecco, allora, che il potere della parola specialmente la parte che riguarda l’espressione dei sentimenti viene più efficacemente sostituita da un abbraccio,un pugno,una risata,un bacio o, più in generale, da gesti meccanici che esprimono appieno l’emozione che si prova in quel singolo momento.

Chi ha ragione?

Platone riteneva che nessun uomo è uguale ad un altro. Ciò è dato anche dal fatto che, secondo il filosofo, l’anima di un uomo è tripartita, cioè l’anima di un uomo ha tre parti: c’è una parte razionale, che presiede all’uso della ragione, una parte concupiscente, che regola i desideri e i bisogni primari dell’uomo, e una parte animosa, che sarebbe una parte intermedia tra le precedenti, che genera le passioni positive, come ad esempio il coraggio. Il filosofo inoltre immaginava che, in uno Stato ideale, la cui forma di governo era la monarchia (infatti Platone riteneva che la tirannide era ingiusta e la democrazia corrotta, visto che aveva condannato a morte uno degli uomini migliori, Socrate; verso la vecchiaia Platone riterrà una forma mista il governo migliore), gli uomini che avevano l’anima la cui parte prevalente era quella razionale dovevano essere i governanti, quelli con la parte animosa dovevano essere i guerrieri e quelli con la parte concupiscibile, non essendo in grado di tenere a freno i loro istinti, avrebbero dovuto essere i lavoratori. Insomma, gli uomini non erano paragonabili tra loro.

Secondo la Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino, che è un testo giuridico elaborato durante la Rivoluzione francese, oltre ai vari diritti fondamentali dell’ uomo, c’è il principio di uguaglianza, cioè tutti gli uomini sono pari tra loro, senza distinzioni di alcun genere.

Chi ha ragione quindi?

La Dichiarazione, verrebbe da dire, perché elenca una serie di diritti importantissimi ed è stata prodotta in tempi moderni, durante una rivoluzione a cui poi ne è seguita una repubblica.

Ma ha proprio torto Platone?

Secondo me no. Il mio parere è che sia il filosofo che la Dichiarazione hanno qualcosa sia di giusto sia di errato. È vero che abbiamo tutti gli stessi diritti fondamentali, come ad esempio il diritto alla vita, però è anche vero che non siamo tutti uguali, in quanto ogni persona ha un proprio carattere, una propria personalità, insomma un proprio modo di essere. Perciò bisogna pensare che siamo uguali solo in determinati aspetti, per il resto è molto meglio essere diversi.

Déclaration des Droits de l'Homme et du Citoyen
Déclaration des Droits de l’Homme et du Citoyen

La fede e la ragione: indipendenza o necessità reciproca?

Agostino in un dipinto di Antonello da Messina
Agostino in un dipinto di Antonello da Messina

A una prima superficiale osservazione e lettura dei testi può sembrare che Sant’Agostino voglia far dipendere la ragione umana dalla fede. Invece, leggendo le sue considerazioni sul rapporto tra fede e ragione, o meglio ancora tra fede e conoscenza, si scopre un uomo d’avanguardia, le cui idee anticipano di secoli molti studi filosofici successivi.
Secondo Agostino infatti la fede e la ragione umana, non devono essere viste come due mezzi contrastanti per raggiungere la conoscenza, ma come due potenzialità che l’uomo deve saper integrare. Le Scritture così come ci furono consegnate usano spesso un linguaggio ambiguo, perciò la ragione può aiutare la fede a comprendere le verità rivelate, interpretando metafore e immagini bibliche. Ma allora la ragione umana è migliore della fede e la sovrasta? No perché la ragione umana può spingersi ovunque, ma non ci permette di sapere cosa si deve raggiungere, allora la fede entra in gioco e guida l’animo umano alle decisioni giuste.
In alcune occasioni però è necessario che si lasci spazio per indagare alla ragione, e che solo in seguito la fede intervenga per analizzare ciò che la ragione ha scoperto.
Sant’Agostino dà un esempio di ciò parlando dei testi antichi: spiega infatti come l’uomo possa imparare dagli scritti antecedenti al cristianesimo, ma si debba servire di essi come un mezzo: non rinnega la validità dei testi pagani, ma ritiene necessario analizzare la loro dottrina sotto un ottica cristiana.
Citando il filosofo: “Non si tratta di rigettare la fede, ma di percepire con la luce della ragione le verità che già credi con la ferma fede”. Ciò che ci sta dicendo è che la fede (ma vale anche per altre correnti di pensiero) non varia la propria natura se osservata con la razionalità, ma deva farsi forte di ogni tipo di conoscenza che possiamo fornirle. Agostino dice inoltre che non si deve mai subordinare la ragione alla fede poiché ci furono donate allo stesso modo, ed essendo un dono è bene che usiamo anche la ragione; inoltre senza di essa non potremmo nemmeno capire cosa voglia dire “credere in Dio”.
Agostino rimane però un uomo di chiesa e un teologo, e conclude dicendo che la fede deve essere anteposta alla ragione là dove essa non può spingersi, e che grazie alla fede che purifica la mente, la ragione può riprendere la sua strada.

Tenendo conto del fatto che queste sono parole di un religioso del IV secolo d.C. è innegabile che siano all’avanguardia per la loro epoca.
Pur non essendo io credente ritengo questi pensieri assai saggi e queste idee moderne. Infatti alla ragione umana serve un metodo per scegliere la strada da percorrere, e sia esso la fede o qualsiasi altra dottrina, è importante che nessuno dei due venga subordinato all’altro. Ciò è importante poiché l’uomo rimane prima di tutto un essere razionale.

Confutazione delle 5 prove dell’esistenza di Dio

Tommaso d’Aquino nella Summa theologiae propone 5 prove dell’esistenza di Dio. Queste prove riscossero grande successo al suo tempo e furono indubbiamente frutto di una grande deduzione logica, tuttavia zoppicano in alcuni punti e alla luce delle nostre nuove conoscenze risultano altamente improbabili; ora tenterò quindi di confutarle.

La prima via e la più evidente, è quella che parte dal moto. È certo infatti e consta ai sensi, che alcune cose si muovono. Ora tutto ciò che si muove è mosso da altri … Muovere, infatti, vuol dire trarre dalla potenza all’atto: ora una cosa non può essere portata all’atto se non in virtù di un ente che sia già in atto … Se, dunque, ciò da cui deriva il moto si muove a sua volta, sarà necessario che anch’esso sia mosso da un terzo, e questo da un quarto. Ma in questo caso non si può procedere all’infinito … Dunque è necessario arrivare ad una prima ragione del mutamento che non muti affatto; e tutti riconoscono che esso è Dio.

La seconda via parte dalla nozione di causa efficiente. Vediamo infatti, nelle cose che cadono sotto i sensi, un ordine di cause efficienti; tuttavia non si vede, né è possibile, che una cosa sia causa efficiente di sé stessa, poiché, se così fosse, una cosa dovrebbe essere prima di sé stessa, il che è impossibile.(Ogni causa precede sempre i suoi effetti). Ma non è possibile che nelle cause efficienti si proceda all’infinito… Dunque è necessario porre una prima causa efficiente, che tutti chiamano Dio.

Tommaso ritiene a ragione, che esista una causa efficiente prima ingenerata e non causata da altro che metta in moto le varie cause successive, tuttavia se si considera il concetto di causa e effetto, bisogna ammettere che questo è limitato in un certo tempo e uno certo spazio mentre Dio è al difuori di questi concetti perché non è “presente” nello spazio e non è influenzato dal concetto di tempo. Inoltre, o ammettiamo che tutte le cose hanno una causa (quindi anche Dio), oppure esiste qualcosa di non causato che sia causa di tutto il resto. Questo potrebbe essere l’energia o la materia, o anche più enti, infatti se si ammette l’esistenza di qualcosa ingenerato non è detto che sia uno e uno solo.
Attribuire questo ruolo ad un essere superiore significa cercare di dare una spiegazione a fenomeni immanenti di cui non si ha i mezzi e le conoscenze materiali per poterli spiegare razionalmente.
Oggi sappiamo che l’energia non si crea e non si distrugge ed è la causa di tutti i fenomeni fisici che possiamo osservare.

La terza via è presa possibile e dal necessario, ed è questa. Tra le cose noi ne troviamo di quelle che possono essere o non essere; infatti alcune cose nascono e finiscono, il che vuol dire che possono essere e non essere. Ora, è impossibile che tutte le cose di tal natura siano sempre state, perché ciò che può non essere un tempo non esisteva. Se dunque tutte le cose esistenti in natura sono tali che possono non esistere, in un dato momento niente ci fu nella realtà. Ma se questo è vero, anche ora non esisterebbe niente, perché ciò che non esiste, non comincia ad esistere se non per qualcosa che è. Dunque, se non c’era ente alcuno, è impossibile che qualcosa cominciasse ad esistere e così anche ora non ci sarebbe niente, il che è evidentemente falso. […]Dunque bisogna concludere all’esistenza di un essere che sia di per sé necessario, e non tragga da altri la propria necessità, ma sia causa di necessità agli altri. E questi tutti dicono Dio.

Come detto sopra San Tommaso non trovando queste qualità in alcun ente materiale le attribuisce a Dio, tuttavia per poter fare questa affermazione, prima dovrebbe aver potuto vedere ogni cosa materiale e accertarsi che potesse anche non esistere. Inoltre noi oggi possiamo ancora una volta attribuire queste caratteristiche all’energia che, come sappiamo, non può essere creata ne distrutta, e può a sua volta diventare materia che poi si può plasmare nei vari enti che compongono l’universo. E ancora possiamo pensare che i singoli enti possano non essere necessari mentre sia necessario il loro insieme, per esempio per fare una macedonia servono vari frutti ma nessuno di essi è fondamentale, mentre è necessario il loro insieme infatti deve esserci più di un tipo di frutto.

La quarta via parte dai gradi di perfezione che si riscontrano nelle cose. C’è infatti nelle cose il più e il meno buono, il più e il meno vero, il più e meno nobile, e così via. Ma il più e il meno si dicono di cose diverse in quanto si avvicinano diversamente ad un massimo, come è più caldo ciò che si avvicina di più a ciò che è caldo al massimo. Vi è dunque un essere verissimo e ottimo e nobilissimo, e quindi qualcosa che è in grado massimo … Ora ciò che è massimo in un genere è causa di tutto ciò che appartiene a quel genere … Vi è dunque qualcosa che è causa dell’essere, della bontà e della perfezione di tutti gli enti, e quello chiamiamo Dio.

Questa dimostrazione non regge poiché per stabilire un rapporto tra due enti basta confrontarli tra di loro e non serve paragonarli ad un terzo ente che rappresenta il massimo termine di paragone. Per esempio si può affermare che il topo è più piccolo dell’ orso senza conoscere l’elefante.

La quinta via parte dal governo delle cose. Vediamo infatti che alcuni enti privi di conoscenza, ossia i corpi naturali, operano per un fine; il che risulta dal fatto che operano sempre o il più delle volte in modo da conseguire ciò che è il meglio. Da ciò è manifesto che non raggiungono il fine per caso, ma perché vi sono orientati. Ora gli enti che non hanno conoscenza non tendono al fine se non vi sono diretti da uno che ha conoscenza e intelligenza, come la freccia è diretta dall’arciere. Dunque vi è un principio intelligente dal quale tutte le cose della natura sono ordinate ad un fine, e questo chiamiamo Dio.

Il fatto che un ente naturale e privo di conoscenza giunga apparentemente ad un presunto fine non implica che questo sia mosso da Dio. È normale che corpi apparentemente simili si comportino allo stesso modo perché hanno le stesse caratteristiche fisiche. Il sale si scioglie sempre in acqua e possiamo dire che questo succede a causa delle sue proprietà chimico-fisiche e non perché è predisposto a conseguire una presunta perfezione. Inoltre in natura esistono molti fenomeni ed enti dal comportamento ciclico (per esempio gli astri) e che quindi non tendono ad un fine e non sono in alcun modo ordinati. Tommaso fa un’analogia tra degli enti privi di conoscenza di cui sappiamo per esperienza che vengono effettivamente mossi verso il loro fine da enti intelligenti ed altri enti che sembrano anch’essi mossi verso un fine, e poiché non ci fa capire chi li muova attribuisce questo ruolo a Dio. Ma un ragionamento analogico, soprattutto quando esce dal campo dell’esperienza, non ha mai il valore di una prova stringente.

Tommaso d'Aquino, dipinto di Sandro Botticelli
Tommaso d’Aquino, dipinto di Sandro Botticelli

Freud e l’interpretazione dei modelli astronomici

Sigmund Freud
Sigmund Freud

Sigmund Freud, il padre della psicanalisi, ha visto nell’impostazione tolemaica un’espressione di narcisismo dell’uomo e nel copernicanesimo la prima grande contestazione della centralità dell’uomo.

L’impostazione tolemaica è un modello astronomico proveniente dall’astrologo, astronomo e geografo greco Tolomeo, vissuto nel II secolo d.C. Egli riprese e perfezionò ulteriormente il sistema proposto da Ipparco (le cui opere sono andate tuttavia perdute) nel II secolo a.C. .
Si trattava di un sistema di tipo geocentrico; esso poneva dunque la Terra al centro dell’universo, supponendo che gli altri corpi celesti ruotassero intorno ad essa.
Il sistema copernicano fu invece introdotto da Nicolò Copernico (Mikołaj Kopernik), astronomo polacco; egli propose (nel XVI secolo) un modello astronomico di tipo eliocentrico: il Sole fisso al centro dell’universo e gli altri pianeti che vi girano intorno. Non fu il primo modello eliocentrico: anche Aristarco di Samo nel III secolo a.C. ne aveva proposto uno, ma gli antichi avevano preferito l’ipotesi tolemaica.

L’interpretazione dell’affermazione di Freud potrebbe sembrare banale: l’uomo si riteneva tanto importante da porsi addirittura al centro dell’Universo. È opportuno guardare la definizione, presa dal vocabolario, del termine “narcisismo” riferito al singolo individuo umano: adorazione morbosa di sé stessi, che si esprime nel culto e nella cura maniacale per il proprio corpo e che spinge a improntare a totale egoismo i rapporti con il mondo. Dunque, nel nostro caso, l’Uomo, inteso come genere umano, si sarebbe posto al centro dell’Universo, “mettendo in mostra” puro egoismo. Simile, ma più improntata all’ambito sessuale, è l’interpretazione che Freud dà del narcisismo nella sua opera Introduzione al narcisismo. Il termine «narcisismo» deriva dalla descrizione clinica; Freud lo riprese da Paul Näcke, che lo adottò nel 1899 per descrivere l’atteggiamento di chi tratta il proprio corpo allo stesso modo con cui viene di solito trattato il corpo di un oggetto sessuale, per cui lo utilizza per raggiungere un personale soddisfacimento. Il termine “narcisismo” viene così ad indicare una perversione che ha assorbito tutta la vita del soggetto. Dunque, ricapitolando, Freud vide nell’impostazione tolemaica un’espressione di narcisismo dell’Uomo proprio per la fermezza e costanza con la quale Egli difese questo modello.

Copernico ebbe il coraggio di andare contro il buon senso comune, osò mettere in discussione una teoria scientifica accettata da secoli e, soprattutto, scalzò l’essere umano da una posizione di privilegio. Il copernicanesimo è, allora, davvero, la prima grande contestazione della centralità dell’uomo.

Sembra ovvio, persino banale. Eppure mi sorge spontanea una domanda: com’è possibile che durante il Medioevo (durante il quale il genere umano “venne condotto” dai dogmi della Chiesa), e fino alla rivoluzione scientifica, l’Uomo, abbia ritenuto corretto il sistema tolemaico e ritenuto falso a prescindere qualsiasi altro modello, quando è ben risaputo che la mentalità medievale pone Dio, e non l’uomo, al primo posto? E, d’altra parte, com’è possibile che proprio nel periodo umanistico-rinascimentale, quando l’Uomo si scopre artefice del suo destino, Egli cominci finalmente ad accettare il sistema copernicano, che elimina l’uomo dal centro dell’universo?

Protagora ha torto

Protagora afferma: “L’uomo è misura di tutte le cose, per quello che sono così come sono, per quello che non sono così come non sono”. Questa massima può essere interpretata in due modi:

  • interpretazione relativista: la natura delle cose è esattamente così come pare a ciascuno (quindi visione soggettiva)
  • accettazione dei limiti umani: gli uomini devono attenersi a criteri di giudizio esclusivamente umani, perché non possono confrontarsi con una verità assoluta e quindi divina.

Io non sono d’accordo con questo pensiero. A mio parere ogni persona ha una visione soggettiva delle cose e del mondo, ma spesso essa corrisponde all’oggettività e ad un pensiero comune considerato reale e concreto da tutti. Penso quindi che delle verità assolute con cui paragonarsi esistano e siano assolutamente accessibili dall’ uomo.

Per quello che ho capito sul pensiero di Protagora, se una persona dice “il sole brilla” e un’altra dice “il sole non brilla”, allora entrambe le affermazioni sono giuste. Secondo me non è vero perché ad esempio in questo caso, tra i pensieri dei due, una verità assoluta che può essere provata c’è, ed è che il sole brilla. Quindi ritengo esatta solamente la prima affermazione e di conseguenza, ritengo sbagliato il pensiero di Protagora.

Certo, Protagora potrebbe rispondermi: “per te il sole brilla, ma soltanto di giorno, per un cieco non brilla mai. E tutti e due avete ragione”. No, invece, perché io posso vedere il sole brillare solo di giorno ma ciò non significa che per me brilli solo in quel momento: esso non smette mai di brillare ma semplicemente lo fa da un’altra parte del mondo. Vi è quindi una spiegazione scientifica in grado di dimostrare ciò che è vero ed oggettivo. Il cieco non vede il sole brillare perché ha una percezione del mondo diversa, ma questo non significa che egli viva in un mondo concretamente diverso; quindi anche per lui ci devono essere delle certezze, magari anche dimostrate scientificamente, e queste portano al formarsi di pensieri comuni ed oggettivi.