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Carpe diem

Non voglio parlarvi della vita di Quinto Orazio Flacco, più semplicemente noto come Orazio, e tanto meno delle opere che ha composto. Voglio però condividere quello che sembrava dirmi con i suoi componimenti, primo tra tutti il celebre Carpe diem.

Dum loquimur, fugerit invida
aetas: carpe diem, quam minimum credula postero.

Il poeta latino invita i lettori a godere di ogni singolo momento offerto dalla vita, a metterlo a lucro come se fosse un dono. In particolare, egli si rivolge a Leuconoe (letteralmente “dalla mente candida”) che, ricca di aspettative, attende con ansia la sua vita futura. Orazio le consiglia dunque di essere quanto meno fiduciosa possibile nel futuro e di vivere il presente fintanto che è giovane, perché il tempo, invidioso, fugge. L’attimo che deve essere colto e fermato, quasi strappato all’inesorabile scorrere della vita, può essere qualcosa di importanza rilevante oppure di estremamente banale, come l’osservare un paesaggio – che il poeta spesso descrive.

Quando abbiamo letto per la prima volta quest’Ode in classe, ho pensato al mio modo di vivere, o meglio, di non vivere, o meglio ancora, di vivere piuttosto male il presente. La causa di ciò è la mia mente e il suo continuo proiettare immagini dei miei grandi progetti per la vita adulta: penso all’università, al lavoro, alle speranze per l’avvenire e abbino il presente al tempo delle fatiche e dei sacrifici, in modo da costruire il mio futuro. Continua la lettura di Carpe diem

è proprio per tutti la PROVA DI ITALIANO?

Sotto l’intestazione del Ministero, il titolo recita:
P000 – ESAMI DI STATO CONCLUSIVI DEI CORSI DI STUDIO DI ISTRUZIONE
SECONDARIA SUPERIORE ed il sottotitolo prosegue:
PROVA DI ITALIANO
(per tutti gli indirizzi: di ordinamento e sperimentali)

Ora, mi dico: sarebbe anche una bellissima traccia quella della tipologia A. Chi non non conosce Primo Levi? Ma sento dire: “ma noi non l’abbiamo fatto, prof!”
E… “ci sta!” per dirla come si usa tra quelli (i miei amati studenti, ndr) che hanno la fortuna di avere molti meno anni di me.
E nello stesso tempo mi chiedo: ma anche se l’avessero letto e studiato, quale curriculum studiorum è davvero in grado in questo momento storico di giustificare una traccia di esame di maturità in cui si chiede di affrontare un incipit siffatto:

“Poiché dispongo di input ibridi, ho accettato volentieri e con curiosità la proposta di comporre anch’io un’«antologia personale», non nel senso borgesiano di autoantologia, ma in quello di una raccolta, retrospettiva e in buona fede, che metta in luce le eventuali tracce di quanto è stato letto su quanto è stato scritto. L’ho accettata come un esperimento incruento, come ci si sottopone a una batteria di test; perché placet experiri e per vedere l’effetto che fa.”

Quanti giovani diciotto/diciannovenni/ventenni hanno un’idea, almeno pallida, di cosa significhi “nel senso borgesiano di autoantologia”, “ci si sottopone a una batteria di test” o “placet experiri“?

E del resto, quanti rappresentanti politici eletti sono in grado di cimentarsi in simil tenzone?
Non è che per “borgesiano” capiscono “borghese” e ci infilano un H di troppo?
Ed infine, amaramente… chi se ne accorgerebbe?

Mi scuso in anticipo con quanti smentiranno questo mio commento.

A. Mealli
geodocente in via di sparizione. Tra quelli che resistono strenuamente e per sempre rimpiangeranno questa orrenda deriva.
Perché se la geografia è inutile… il latino è sparito dal comune patrimonio culturale da tempo e la lettura “era vizio innocente e tradizionale, un’abitudine gratificante, una ginnastica mentale, un modo obbligatorio e compulsivo di riempire i vuoti di tempo, e una sorta di fata morgana nella direzione della sapienza”.