Tutti gli articoli di Nello Colavolpe

Anni ’70

Può anche darsi che il mio sia“reducismo”, ma quando passo nei pressi di via Mancini a Milano, non posso fare a meno di ricordare il giorno in cui sono stato aggredito da una gruppo di neofascisti. La mia unica colpa era quella di indossare un eskimo e di essere passato troppo vicino alla sede del M.S.I.
Ricordo i particolari: le pistole sfilate dalle fondine, un coltellaccio puntato contro il petto e poi un balzo disperato che mi fa rotolare verso la strada. Ricordo la frenata violenta della macchina che sopraggiungeva, la gomma della ruota che si blocca fino al contatto con i miei capelli e poi ancora uno scatto e la fuga verso la salvezza.
Voglio ricordare anche il mio amico Gaetano Amoroso, accoltellato e ucciso a 21 anni il 27 aprile1976, da un gruppo di squadristi neofascisti. Quella sera avrei dovuto essere con lui e solo un po’di influenza mi ha costretto a stare a casa.
Soprattutto questo mi viene in mente se penso a quegli anni, anni belli e terribili allo stesso tempo.
Belli perché eravamo giovani e pensavamo di cambiare il mondo, terribili per lo stato di tensione in cui si viveva ogni giorno.
Bisogna riconoscere al regista Pernich il coraggio di aver messo in scena un tema difficile, una pagina di storia che deve ancora essere scritta fino in fondo, senza segreti di Stato e omissis.
STRAORDINARI I RAGAZZI IN SCENA ! Hanno interpretato con passione le speranze e le contraddizioni di noi giovani di un tempo.

Per non dimenticare

Eccoci arrivati ad Auschwitz: ad accoglierci una nebbia fitta e densa, presagio di un’esperienza che ci avrebbe segnato la vita.

Ingresso nel campo Auschwitz 1 - Cancello con la scritta “Arbeit macht frei” (il lavoro rende liberi)

Binari grigi, filo spinato ovunque e tutto intorno a noi baracche, testimoni di un genocidio inspiegabile e senza senso. La terra, dimora di molte vittime, sembra fremere e urlare di dolore sotto i nostri piedi mentre nei nostri cuori solo rabbia.

il reticolato - alta tensione
Binario a Birkenau

Non potremo mai scordare quelle foto appese nel museo: sguardi attoniti e impauriti ci scrutano dalle piccole cornici, fredde che chiedono di essere ricordate.
Guardando attorno le descrizioni di Primo Levi sembrano prendere vita.
E’ difficile non immaginare uomini, donne e bambini, ormai diventati numeri, girare per il campo immenso in balia del gelo che immobilizza gli arti, incapaci di far scendere sul loro viso anche solo una lacrima.
I camini dei forni crematori sembrano ancora fumare insaziabili.

Forni crematori ad Auscwitz 1

Molti sono gli stagni dove, a distanza di mezzo secolo, galleggiano frammenti di ossa umane. Nelle teche ci sono oggetti di tutti i generi muti e immobili ma allo stesso tempo intrinsechi di una straordinaria carica emotiva. Capelli, tutine di bambini ormai consunte, occhiali deformi e scarpe logore giacciono inermi davanti ai nostri occhi increduli.

Bambola rotta in una teca del museo di Auschwitz

Ci ritroviamo in un corridoio freddo, umido, contaminato dalla muffa invadente e davanti a noi si ergono delle celle, alcune anche di infime dimensioni, dimentiche della luce del sole dove molti prigionieri (tra cui anche il celebre Padre Kolbe) hanno trovato la morte abbandonati a se stessi.
Custoditi qua e là vi sono anche autentici documenti tedeschi compilati minuziosamente e machiavellicamente, partecipi e collaboratori di un piano spietato.

Barattoli vuoti del gas Zyklon B

Imponenti si ergono alcuni Blocks dove dottori malati compivano crudeli esperimenti su corpi innocenti. A testimoniare ciò la foto di un bambino di appena due anni: occhi persi, spauriti e un corpo che di umano ha ben poco.

Piccola vittima degli esperimenti del dottor Josef  Mengele, il “dottor morte” di Auschwitz

Infine più di 600 persone hanno acceso una candela in onore di quelle vittime che per giorni, mesi o addirittura anni sono state costrette a vivere un incubo da cui era impossibile evadere; che ogni mattina lottavano per far sì che la loro speranza di essere liberi non potesse rimanere un flebile sogno.
Ogni nostra singola fiammella sia quindi testimonianza giorno per giorno di questo triste capitolo della storia che coinvolse l’intera umanità.

Carla Diani e Stefano Lenzi

Ecco come avete conciato i tavoli da disegno

Non sarebbe stato meglio disegnare su una superficie pulita anziché avere sotto gli occhi frasi insulse, un repertorio iconografico degno di un vespasiano e intagli che sembrano realizzati da seguaci di Priapo?
L’inchiostro della penna penetra inesorabilmente nella copertina di gomma che ricopre i banchi e non esistono detersivi in grado di cancellarlo; così tutto si stratifica nel tempo: cuori trafitti, numeri di telefono, motivi vagamente antropomorfi accompagnati da didascalie zeppe di parole irripetibili, firme da graffittari frustrati e frasi spesso tanto cattive quanto assurde – tutto insieme in un caos primordiale, in un delirio di sentimenti mai dichiarati se non furtivamente e di spregio per il bene comune.

Caricatura del prof Colavolpe alla lavagna e fotografie di studenti davanti ai tavoli da disegno con scritte e disegnini

La mia caricatura è stata realizzata dall’alunno Roberto Mazzarol di 2aA.
Le frasi e i disegni sui banchi, visibili nella vignetta, sono solo in parte rispondenti al vero.
Nel rispetto del lettore ho preferito non citare espressioni particolarmente volgari.