Tutti gli articoli di Fred Di Nando

Il colonialismo: sogno o incubo per gli italiani?

Dalla seconda metà dell’Ottocento, gran parte della classe dirigente italiana avrebbe voluto, per il nostro paese, una politica coloniale di successo simile a quella delle grandi potenze europee. I passati fallimenti sotto il governo Crispi e la conquista di Tunisia e Marocco da parte della Francia  furono le cause principali dell’avventato e vergognoso tentativo del nostro paese di sottomettere la Libia. A questi bisognava sommare poi un crescente interesse in questa politica da parte di gruppi industriali e finanziari, i quali volevano ricavare ricchezza dall’acquisizione di territori africani.
Le operazioni militari per la conquista iniziarono il 3 ottobre del 1911 con un bombardamento su Tripoli da parte delle navi italiane, le quali erano fuori gittata per i deboli cannoni turchi. L’esercito, già il giorno dopo, riuscì ad occupare la città senza incontrare resistenze. Questo fatto contribuì  a diffondere tra le nostre truppe un’ottimistica fiducia ed  un atteggiamento paternalistico verso i libici, nonostante noi non conoscessimo per nulla la popolazione e le sue tradizioni. E infatti, il 23 ottobre, dopo quasi un mese dall’inizio delle prime ostilità, scoppiò una rivolta nella zona della Libia italiana: alcuni gruppi di milizia ben organizzata attaccarono varie postazioni italiane e seminarono il panico tra i nostri soldati. Riuscirono ad entrare fino a Tripoli. In questo attacco subimmo gravi perdite: nessuno si aspettava una reazione simile dai “nostri figli” libici.
Come risposta a questa offesa i nostri soldati reagirono in modo molto disordinato e terribilmente crudele:  furono commessi veri e proprio eccidi. Ci fu un grandissimo numero di arresti ed esecuzioni; più di 3000 libici vennero poi rilegati in carceri speciali italiane, dove vi morirono in 633.

Il governo italiano, quando vide che il fronte arabo resisteva,  decise di cambiare tattica: proclamò la sua completa sovranità sulla Tripolitania e la Cirenaica e spostò il fronte di attacco dalla Libia alla Turchia. Così nella primavera del 1912 le navi italiane occuparono l’isola di Rodi e le Sporadi per poi compiere un’incursione nello stretto dei Dardanelli. Maometto V, imperatore turco, decise di avviare subito delle trattative di pace col nostro paese e decretò l’autonomia delle due provincie lasciandole di fatto sotto il controllo italiano.

Un ruolo fondamentale in questo scontro venne svolto dai bombardamenti aerei, in cui l’Italia dimostrò di essere all’avanguardia, testando i nuovi dirigibili e aerei a scopo bellico. Infatti tra il maggio e l’agosto del 1917 ci furono un centinaio di bombardamenti contro i civili per costringere la popolazione a non appoggiare i rivoltosi. In questi raid vennero impiegate anche bombe cariche di iprite, un gas tossico. Per piegare completamente la terra libica al nostro volere infine, nel 1929, Pietro Badoglio, governatore della Libia, decise di spezzare i legami tra popolazione sottomessa e sovversivi. Fece deportare più o meno 100000 arabi nei campi di concentramento. Infatti la popolazione della Cirenaica diminuì moltissimo, passando da 198300 abitanti nel 1911 a 142000 nel 1931.

Alla fine del sogno coloniale italiano troviamo dunque un vero e proprio genocidio, a testimonianza del fatto che quando la questione riguarda denaro e potere, la vita ha assunto ormai un valore così basso che non può più frenare i mezzi di distruzione usati per raggiungere questi due scopi. Riusciremo a ritrovare il vero significato di questa parola, che è anche il primo diritto umano di ogni persona che nasce?
Federico Cornalba e Andrea Vaghi

Rerum Novarum, l’appello della Chiesa a un accordo fra parti nella nostra società.

Leone XIII
Leone XIII fu il primo Papa a interessarsi alla questione sociale.

 
Leone XIII
Rerum Novarum, pubblicata nel 1891

La Rerum Novarum non fu sicuramente un documento improvvisato. Alle sue spalle ci furono anni di lavoro e ampie ricerche da parte di autorevoli vescovi. Questa enciclica rappresenta il primo passo concreto della chiesa sul tema del dibattito sociale.

Papa Leone XIII scelse di prendere una posizione moderata, che criticava sia l’odio e i movimenti rivoluzionari della classe operaia, sia il comportamento verso i dipendenti e lo schiavismo che a volte era ancora presente in certe situazioni. Alle seguenti problematiche egli sottolinea il valore delle associazione (le quali possono essere sia di soli operai, sia miste, ovvero con operai e padroni). Precisa anche che è meglio creare una nuova associazione che rappresenti appieno la propria idea, piuttosto che aderire ad una alla quale poi non si parteciperebbe entusiasticamente. Infine il Papa condanna la lotta di classe e la massoneria, poichè esse minerebbero all’armonia tra le due classi sociali.

Nello specifico la Rerum Novarum non condivideva l’idea dell’abolizione della proprietà privata poiché con essa non veniva meno il problema della povertà ma anzi, si acutizzava la diversità, sconvolgendo anche poi tutto l’ordine sociale. Per questo motivo l’enciclica venne vista dai marxisti come un’opera principalmente strutturata per criticare la politica socialista in quanto la denuncia verso il capitalismo appariva molto blanda. Infatti risuonava molto forte la difesa della proprietà privata da parte del Papa, il quale chiedeva un intervento mirato dello Stato, mentre per quanto riguardava l’affermazione dei diritti dei lavoratori Leone XIII non chiariva allo stesso modo il ruolo che avrebbe dovuto rivestire lo Stato nella questione suddetta. Un altro tema trattato dalla Rerum Novarum era quello delle organizzazioni sindacali, le quali, in poche parole, avrebbero dovuto semplicemente opporsi alle organizzazioni socialiste e di classe.

Questo testo rappresentò perciò, principalmente per i cristiani, un forte richiamo rivolto ad uno Stato assenteista che non rispettava e difendeva affatto i diritti degli operai, i quali erano ormai sempre più oppressi dalla legge del profitto.
L’enciclica infine non forniva soluzioni definitive ma confermava il valore della possibilità di riunirsi in associazioni, poichè essa non derivava altro che dalla natura socievole dell’uomo.