In questo periodo denso di verifiche e interrogazioni, nel mezzo di quest’orgia di numeri affannosamente annotati sul libretto (quando lo studente si degna di portarlo!) aggiungo questo compito assegnato da me personalmente: è facoltativo e va svolto dopo aver finito le verifiche di tutte le materie.
Il compito è il seguente:
Alla luce della sua breve o lunga esperienza nel nostro Istituto, commenti lo studente il seguente brano, liberamente adattato dal capitolo V dei “Promessi Sposi”, ed invii l’elaborato all’indirizzo di posta elettronica preside@istitutocalvino.it, specificando classe, sezione e indirizzo di studio.
Si suggerisce la lettura o il ripasso dei capitoli IV e V del romanzo manzoniano, prima dello svolgimento.
N.B.: Si accettano anche gli elaborati dei docenti.
“”- Con buona licenza di lor signori, – interruppe il Professor Rossi, il quale non avrebbe voluto che la questione andasse troppo avanti: – rimettiamola nel preside Parma; e si stia alla sua sentenza.
– Bene, benissimo, – disse la Professoressa Bianchi, alla quale parve cosa molto garbata di far decidere la questione al preside; mentre la Professoressa Conti, più infervorata di cuore nella questione, si chetava a stento, e con un certo viso, che pareva volesse dire: siamo pazzi?
– Ma, da quel che mi pare d’aver capito, – disse il preside, – non son cose di cui io mi deva intendere: compito mio è garantir la procedura.
– Solite scuse di modestia dei presidi; – disse il Professor Rossi: – ma non mi scapperà. Eh via! sappiam bene che lei non è venuta al mondo già preside, e che la scuola l’ha conosciuta anche da professore. Via, via: ecco la questione.
– Il fatto è questo, – cominciava a gridare la Professoressa Bianchi.
– Lasciate dir a me, che son neutrale, collega, – riprese il Professor Rossi. – Ecco la storia. Uno studente s’arrabatta sul finale; arriva qui con quattro cinquemmezzi e un bel quattro in matematica: il consiglio di classe gli dà cinque insufficienze e lo boccia. Ma essendo la famiglia in una situazione di difficoltà…
– Ben date, ben applicate, – gridò la Professoressa Bianchi. – Fu una vera ispirazione.
– Del demonio, – soggiunse la Prof. Conti. – Non tenere conto delle difficoltà della famiglia! Bocciare un ragazzo sfortunato! persona da sostenere e da aiutare! Anche lei, preside, mi dirà se questa è azione pedagogicamente corretta.
– Sì, signore, perfettamente corretta, – gridò la Professoressa Bianchi: – e lo lasci dire a me, che devo intendermi di ciò che conviene a un docente di scuola superiore. Oh, se giudicassimo la famiglia, sarebbe un’altra faccenda; ma una bocciatura non ammazza nessuno. Quello che non posso capire è perché a qualche collega premano tanto le sorti d’un fannullone.
– Io… – intervenne, stancamente, una docente che ancor non s’era espressa: – son stufa di questa dotta disputa; e non ringrazio per niente quel lazzarone che ha dato occasione a una guerra d’ingegni così aspra. E poi, a me non compete di dar sentenza: il Collega Rossi ha già delegato un giudice… qui il preside…
– É vero; – disse Rossi: – ma come volete che il giudice parli, quando i litiganti non vogliono stare zitti?
– Ammutolisco, – disse la Professoressa Bianchi. La Prof. Conti strinse le labbra, e alzò la mano, come in atto di rassegnazione.
– Ah sia ringraziato il cielo! A lei, preside, – disse il Prof. Rossi, con una serietà mezzo canzonatoria.
– Ho già fatte le mie scuse, col dire che non me n’intendo, – rispose il preside, rendendo il bicchiere a una bidella.
– Scuse magre: – gridarono tutti: – vogliamo la sentenza!
– Quand’è così, – riprese il preside, – il mio debole parere sarebbe che non vi fossero né voti, né registri, né bocciature.
I docenti si guardarono l’un con l’altro maravigliati.
– Oh questa è grossa! – disse la Prof. Bianchi. – Mi perdoni, preside, ma è grossa. Si vede che lei non conosce il mondo.
– Lui? – disse Rossi: – me lo volete far ridire: lo conosce, cara collega, quanto voi: non è vero, preside? Dica, dica, se non ha fatta la sua carovana?
In vece di rispondere a quest’amorevole domanda, il preside disse una parolina in segreto a sé medesimo: “queste vengono a te; ma ricordati, preside, che non sei qui per te, e che tutto ciò che tocca te solo, non entra nel conto”.
– sarà, – disse un supplente appena nominato: – ma il preside… come si chiama il preside?
– Marco Parma – rispose più d’uno.
– Ma, preside Parma, padron mio colendissimo, con queste sue massime, lei vorrebbe mandare il mondo sottosopra. Senza voti! Senza bocciature! Addio studi, addio scuola: impunità per tutti i mascalzoni. Per buona sorte che il supposto è impossibile.
– Animo, collega Arcuri, – scappò fuori Rossi, che voleva sempre più divertire la disputa dalle due prime contendenti, – animo, a voi, che, per dar ragione a tutti, siete imbattibile. Vediamo un poco come farete per dar ragione in questo al preside Parma.
In verità, – rispose la prof. Arcuri, tenendo brandita in aria la penna, e rivolgendosi al preside, – in verità io non so intendere come il preside Parma, il quale è insieme il perfetto dirigente e l’esperto docente, non abbia pensato che la sua sentenza, buona, ottima e di giusto peso sui libri di psicologia o di pedagogia, non val niente, sia detto col dovuto rispetto, in una disputa nello scrutinio finale. Ma il preside sa, meglio di me, che ogni cosa è buona a suo luogo; e io credo che, questa volta, abbia voluto cavarsi, con una celia, dall’impiccio di proferire una sentenza.
Che si poteva mai rispondere a ragionamenti dedotti da una sapienza così antica, e sempre nuova? Niente: e così fece il nostro preside.””
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