Archivi categoria: Storia

Cause culturali della prima guerra mondiale

Gavrilo Princip è stato un rivoluzionario bosniaco, autore dell’attentato di Sarajevo contro l’arciduca Francesco Ferdinando d’Asburgo, erede al trono dell’Impero austro-ungarico. Questo attentato era stato organizzato dalla Mano Nera, una società segreta serba, che si poneva come obiettivo quello di riunire tutti i territori con popolazioni slave in un unico stato; tuttavia Bosnia ed Erzegovina appartenevano all’Impero austro-ungarico. Eppure Francesco Ferdinando era il principale sostenitore del trialismo, ovvero di quel progetto che avrebbe voluto riunire le terre slave dell’Impero sotto una terza corona accanto a quella tedesca e magiara (ungherese). L’organizzazione terrorista panslavista decise comunque di ordinare l’assassinio del futuro imperatore.
Questo avvenimento viene considerato la causa occasionale della prima guerra mondiale. Infatti i motivi profondi furono altri e di vario genere: politici, economici, militari e culturali. Prendiamo in esame questi ultimi; sicuramente giocò un ruolo fondamentale la diffusione del nazionalismo (concezione che affonda le sue radici nella Rivoluzione francese) con cui si indica quell’ideologia che sostiene l’affermazione della nazione come collettività depositaria del patrimonio culturale e dei valori tradizionali e nazionali.

Un’altra causa sono le tesi razziste riguardanti la necessità di salvaguardare l’identità nazionale. Inoltre in questo periodo il darwinismo veniva applicato ai conflitti tra gli stati: si riteneva che la guerra rappresentasse la lotta per la sopravvivenza come avviene  in natura secondo le teorie di Darwin. Anche i giovani ritenevano che la guerra potesse essere uno strumento utile alla loro realizzazione personale e che rappresentasse l’unica possibilità di cambiamento della situazione sociale e politica.

Infine come ultima causa bisogna prendere considerazione la sottovalutazione della guerra stessa; l’Europa infatti usciva da un secolo di pace (1815-1914) garantito dal congresso di Vienna che stabilì due principi da seguire: quello di legittimità e quello di equilibrio. Il primo legittimava il ritorno dei sovrani ai corrispondenti troni dopo la caduta di Napoleone; il secondo si poneva come obiettivo quello di evitare la prevaricazione di uno stato rispetto ad un altro “equilibrando” le forze.

Arianna M. e Serena B.

Il cinema in trincea

Fin dai primi anni in cui si diffuse in clima di guerra, il cinema divenne un’arma di difesa per il rafforzamento e la mobilitazione ideale del fronte interno. Gli obiettivi inizialmente non erano tanto volti a rappresentare il realismo della guerra quanto invece incitare emotivamente i soldati e quindi favorire un senso di partecipazione economica allo sforzo bellico.

La rappresentazione della prima guerra mondiale attraversò diverse fasi: in un primo momento gli operatori non ebbero accesso alle trincee, perciò la guerra appareva lontana. Nella seconda fase venne esaltato l’elemento umano, il  sacrificio e la capacità di affrontare il freddo e gli sforzi. Infine  nell’ultima fase gli operatori poterono accedere al fronte così da immortalare nel modo migliore i processi d’industrializzazione in atto nei vari paesi partecipanti al conflitto.

Continua la lettura di Il cinema in trincea

La condizione di vita dei soldati nelle trincee durante la Prima guerra mondiale

La trincea, un fossato scavato nel terreno al fine di offrire riparo al fuoco nemico, è un antichissimo sistema difensivo utilizzato nelle guerre di posizione. Durante la prima guerra mondiale raggiunse il massimo utilizzo.

In questo conflitto i militari furono costretti a viverci per quattro lunghissimi anni, in pessime condizioni:

  • per la sporcizia, infatti la mancanza di igiene trasformò ben presto le trincee in un rifugio per topi che prolificarono a dismisura
  • per le intemperie climatiche,  in quanto d’estate il caldo, d’inverno la neve, il gelo, la pioggia erano insopportabili
  • ma soprattutto per lo stato di tensione continua che logorava i nervi. Ciò che rendeva le sofferenze inaccettabili era la onnipresente presenza della morte incombente: un soldato dopo colazione non sapeva se sarebbe arrivato a cena… Inoltre aveva davanti a se uno spettacolo agghiacciante: i cadaveri rimanevano tra le opposte trincee, nella zona chiamata terra di nessuno, per giorni, talvolta per sempre.

Questa situazione accomunava gli eserciti di entrambi gli schieramenti. Sicuramente la vera dispensatrice di morte e il vero terrore fu l’artiglieria, che con gli incessanti bombardamenti causò circa il 70% dei morti e dei feriti nel corso del conflitto. Prima di un attacco alle trincee nemiche, queste venivano martellate da bombardamenti lunghi ed incessanti. Ove non vi era l’effetto distruttivo di queste armi, vi era tuttavia il terrore, la confusione e lo stress provocati dalle continue deflagrazioni, che arrivavano a durare anche numerose giornate consecutive. L’obiettivo era quello di stordire e spaventare il nemico trincerato, così che non potesse reagire con determinazione all’imminente assalto. Assalto che era per i soldati il peggiore momento della guerra. Il preannuncio dell’attacco era di pochi minuti o al massimo di un paio d’ore, e proprio l’attesa era il momento più angosciante.

Tutti i soldati sapevano che molti di loro sarebbero rimasti impigliati nel filo spinato e sarebbero diventati obiettivi ideali per i tiratori nemici, ma sopratutto erano consapevoli che era tutta la loro azione sarebbe stata inutile: anche se fossero riusciti a conquistare la prima linea, avrebbero ricevuto la controffensiva della seconda linea e sarebbero stati ricacciati indietro. Ovviamente per tutti questi motivi la resistenza nervosa dei soldati fu messa a dura prova: i più “duri” avevano singhiozzi convulsivi, tremori, conati di vomito, e prostrazioni, i più sensibili  arrivavano addirittura alla ribellione, alla diserzione, alla follia e al suicidio. Comunque, quando veniva impartito un ordine, l’attacco veniva sferrato.

Una forza che permetteva ai soldati di continuare a combattere nonostante tutto fu la solidarietà. Essi sapevano che erano tutti sulla stessa barca, nessuno escluso. Lo spirito di corpo e il cameratismo davano un senso di unione e di coesione ai soldati, che diventarono un’unica grande famiglia. Questo concetto è espresso bene della poesia Fratelli di Ungaretti del 1916.

Trincea

« Di che reggimento siete fratelli?

Parola tremante nella notte

Foglia appena nata

Nell’aria spasimante

involontaria rivolta

dell’uomo presente alla sua

fragilità

Fratelli»

Comunque anche l’uso della fucilazione, e soprattutto la pressione psicologica subita dai militari e dalle loro famiglie “persuadeva” loro a combattere… Come avrebbero fatto infatti a passare la prima e la seconda linea, a sfuggire ai controlli della polizia e a tornare a casa? E se anche ci fossero riusciti, come avrebbero reagito i parenti? Dopo quanto tempo sarebbero stati denunciati alle autorità? E chi avrebbe offerto loro un lavoro?

Non rimaneva che obbedire agli ordini e combattere.

Francesco Mastrogiovanni

E guerra fu

Le cause che diedero inizio alla Prima Guerra Mondiale, come tutti sappiamo, furono moltissime: politiche, culturali, sociali… Ma la scintilla che fece esplodere il conflitto fu l’attenato contro il futuro erede al trono d’Austria Franceso Ferdinando e sua moglia Sofia. Fra ‘800 e ‘900 l’uccisione di regnanti in Europa non era un evento raro, ma si trattava sempre di fatti circoscritti, per cause e conseguenze, ai confini interni degli Stati. Così non avvenne per l’assassinio dell’Arciduca austriaco. L’attentato infatti fu utilizzato dal governo di Vienna come il casus belli e diede formalmente inizio alla Grande Guerra.

Esisteva un gruppo politico chiamato “Giovani Bosniaci” composto da giovani membri di alcune società segrete tra Serbia e Austria-Ungheria, che aveva come idea di fondo quella di eliminare l’impero asburgico con un movimento rivoluzionario per porre fine alla dominazione austriaca sulla penisola balcanica. Tra questi c’era Gavrilo Princip.

Il 28 giugno 1914, l’Arciduca e la moglie si trovavano in visita in Bosnia per poter osservare le manovre miltari ed assistere all’inaugurazione di un museo a Sarajevo. L’attentato era stato preparato attentamente: un uomo era posizionato ad un’alta finesta di un palazzo per poter mirare , ma non riuscì nel suo intento perchè vi era troppa gente che ostacolava il successo del colpo; un altro membro del gruppo, mentre la vettura dell’arciduca passava a bassa velocità sul lungofiume dell’Appel, lanciò una bomba a mano, però mancò la vettura, provocando comunque molti feriti tra gli ufficiali e il popolo. Pensando che tutto fosse fallito, i Giovani attentatori abbandonarono l’impresa. Per il successivo spostamento si decise che le automobili dell’arciduca dovessero viaggiare a velocità più elevate e cambiare la strada precedentemente decisa, per evitare altri attentati. L’autista della vettura di Ferdinando e della moglie commise però un errore di percorso e si arrestò per cercare la giusta direzione. In quel momento, per puro caso, Princip si trovava lì, appena fuori da un negozio di alimentari, e sparò due colpi dal marcapiede a lato della vettura, colpendo Sofia al petto e Ferdinando al collo, unico punto non protetto dal giubbottino antiproiettile. Le vittime morirono nel trasferimento per i soccorsi. Le ultime parole pronunciate da Ferdinando furono: “Sofia cara, non morire! Resta in vita per i nostri figli!” (“Sopherl! Sopherl! Sterbe nicht! Bleibe am Leben für unsere Kinder!“)

Chiara M. e Chiara C.

Gavrilo princip
    assassino di Ferdinando e Sofia

Società di massa e globalizzazione

Possiamo definire la nostra società come una società di massa; quest’ultima, infatti, come quella attuale, è caratterizzata in primo luogo da una diffusione di massa dei prodotti di consumo (telefoni, automobili, televisori…) accessibili a tutti in particolare nel mondo occidentale.
Le prime manifestazioni di questo tipo di società risalgono agli inizi della Seconda rivoluzione industriale, mentre con la Terza essa si diffuse in tutto il pianeta, dando luogo a un fenomeno non più solo economico, ma anche politico e culturale: la globalizzazione.
Nella società di massa i cittadini vivono in grandi città e vengono rappresentati non più da piccole comunità, ma dalle grandi istituzioni (Stati, partiti, sindacati…); gli individui non producono più ciò che consumano, ma lo comprano con il denaro ricavato dal lavoro; i comportamenti quotidiani delle persone, infine, si uniformano secondo modelli generali. In una società di massa, dunque, i singoli individui scompaiono rispetto al gruppo.
Con la diffusione della società di massa anche la vita privata delle famiglie mutò: insieme all’illuminazione elettrica e all’acqua potabile si diffusero i cosiddetti mass media, cioè i mezzi di comunicazione di massa (radio, televisione, quotidiani).
In campo economico si sviluppò enormemente il settore terziario, ossia il settore dei servizi (banche, ospedali, scuole…) e nacque la pubblicità.
Anche il mondo della scuola subì un radicale cambiamento: l’istruzione, non più considerata un bene riservato ai più abbienti ma un diritto di tutti cittadini, venne resa obbligatoria e gratuita, nonché organizzata e finanziata dallo Stato. Tuttavia ciò provocò la reazione degli ambienti più tradizionalisti, che vedevano in un popolo alfabetizzato e istruito un pericolo per le classi privilegiate.
Con la società di massa si diffuse in molti stati europei il suffragio universale maschile (in Italia nel 1912). L’estensione del diritto di voto fece nascere nei movimenti politici la necessità di conquistare il consenso di un gran numero di elettori e portò quindi alla nascita dei partiti politici di massa. Contemporaneamente sorsero organizzazioni sindacali nazionali, la cui arma principale per ottenere aumenti dei salari e riduzioni delle ore lavorative era lo sciopero.

Per concludere bisogna ricordare che, oltre all’omologazione e alla spersonalizzazione degli individui di fronte al gruppo, l’avvento della società di massa favorì la nascita dei movimenti politici totalitari del ‘900 (fascismo, nazismo e comunismo), impensabili al di fuori di questo tipo di contesto.

mmagine dello sciopero del 1912 del settore tessile a Lawrence
mmagine dello sciopero del 1912 del settore tessile a Lawrence (Massachusetts)

Rerum Novarum, l’appello della Chiesa a un accordo fra parti nella nostra società.

Leone XIII
Leone XIII fu il primo Papa a interessarsi alla questione sociale.

 
Leone XIII
Rerum Novarum, pubblicata nel 1891

La Rerum Novarum non fu sicuramente un documento improvvisato. Alle sue spalle ci furono anni di lavoro e ampie ricerche da parte di autorevoli vescovi. Questa enciclica rappresenta il primo passo concreto della chiesa sul tema del dibattito sociale.

Papa Leone XIII scelse di prendere una posizione moderata, che criticava sia l’odio e i movimenti rivoluzionari della classe operaia, sia il comportamento verso i dipendenti e lo schiavismo che a volte era ancora presente in certe situazioni. Alle seguenti problematiche egli sottolinea il valore delle associazione (le quali possono essere sia di soli operai, sia miste, ovvero con operai e padroni). Precisa anche che è meglio creare una nuova associazione che rappresenti appieno la propria idea, piuttosto che aderire ad una alla quale poi non si parteciperebbe entusiasticamente. Infine il Papa condanna la lotta di classe e la massoneria, poichè esse minerebbero all’armonia tra le due classi sociali.

Nello specifico la Rerum Novarum non condivideva l’idea dell’abolizione della proprietà privata poiché con essa non veniva meno il problema della povertà ma anzi, si acutizzava la diversità, sconvolgendo anche poi tutto l’ordine sociale. Per questo motivo l’enciclica venne vista dai marxisti come un’opera principalmente strutturata per criticare la politica socialista in quanto la denuncia verso il capitalismo appariva molto blanda. Infatti risuonava molto forte la difesa della proprietà privata da parte del Papa, il quale chiedeva un intervento mirato dello Stato, mentre per quanto riguardava l’affermazione dei diritti dei lavoratori Leone XIII non chiariva allo stesso modo il ruolo che avrebbe dovuto rivestire lo Stato nella questione suddetta. Un altro tema trattato dalla Rerum Novarum era quello delle organizzazioni sindacali, le quali, in poche parole, avrebbero dovuto semplicemente opporsi alle organizzazioni socialiste e di classe.

Questo testo rappresentò perciò, principalmente per i cristiani, un forte richiamo rivolto ad uno Stato assenteista che non rispettava e difendeva affatto i diritti degli operai, i quali erano ormai sempre più oppressi dalla legge del profitto.
L’enciclica infine non forniva soluzioni definitive ma confermava il valore della possibilità di riunirsi in associazioni, poichè essa non derivava altro che dalla natura socievole dell’uomo.

Il doppio volto di Giolitti

L’azione di governo di Giolitti fu caratterizzata da una profonda contraddizione. Il suo modo di far politica venne definito del “doppio volto”:
• aperto e democratico nell’affrontare i problemi del Nord
• conservatore e corrotto nello sfruttare i problemi del Sud

Il doppio volto di Giolitti
Il doppio volto di Giolitti

Per quanto riguarda il Nord, non represse gli scioperi e favorì l’organizzazione di associazioni di lavoratori. Alle critiche dei conservatori che lo definivano troppo tollerante, rispose affermando che in Italia non esisteva un reale pericolo rivoluzionario. Giolitti promosse numerose riforme in campo sociale: venne riconosciuta la validità degli scioperi per motivi economici, venne regolamentato il lavoro femminile e minorile, fu resa obbligatoria l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e ricostruì la Cassa nazionale per l’invalidità dei lavoratori, diminuì le ore lavorative, istituì l’ispettorato del lavoro e nel 1912 introdusse il suffragio universale maschile. Il progresso era ovunque: la rete ferroviaria, i trafori alpini, lo sviluppo dell’idroelettricità, le grandi opere di bonifica e d’irrigazione consentirono un notevole incremento della produzione in tutti i settori. La produzione del grano e dei vini raddoppiò. Ebbe inizio l’esportazione del cotone.
Tutto ciò portò all’aumento dei salari dei lavoratori e, di conseguenza, nel Nord si andò diffondendo un benessere economico.

Il Mezzogiorno, invece, era depresso ed impoverito, abbandonato ai latifondisti; in particolare, era diffuso il clientelismo e la corruzione. Qui Giolitti, al contrario del Nord, controllò le elezioni politiche facendo ricorso ai prefetti, impedì agli avversari di tenere i comizi elettorali, falsificò i risultati elettorali e usò la malavita per intimidire gli avversari. Di fronte agli scioperi, non fu neutrale: fece intervenire le forze dell’ordine e ciò causò numerose vittime. Per questo modo di operare gli fu rivolto l’appellativo di ministro della malavita. I salari dei lavoratori scesero portando povertà e disoccupazione. Molti contadini furono costretti a emigrare verso l’America.

Giulia D’Antuono e Giulia Naretti

Il matrimonio per le donne durante l’Ancien Régime

Questo articolo parlerà della libertà che le donne avevano rispetto al loro matrimonio, quindi
soprattutto riguardo la scelta del marito, durante il periodo dell’ancien régime e quindi tra l’XIV e il XIX secolo e della vicenda di una ragazza francese, Chaterine Gent.

Innanzitutto è importante evidenziare che la donna generalmente aveva il diritto di scegliere lo sposo e di rifiutarlo ma ovviamente nel nucleo familiare era l’uomo ad essere il padrone. Inoltre poteva risposarsi qualora il coniuge fosse morto, aveva diritto all’eredità, era libera di praticare una professione e di amministrare il suo salario e le faccende domestiche autonomamente. Il fatto che le donne lavorassero quindi non le limitava all’ambito domestico ma potevano andare, da giovani, a scuola e, poi, recarsi a lavorare. Una riflessione importante derivante da queste informazioni è che le donne nel periodo dell’ancien regime erano molto più libere e rispettate di quanto lo siano ai giorni nostri in molti paesi del mondo.

La vicenda di Catherine Gent è emblematica: nel 1529 la giovane era stata promessa in moglie dalla madre, dopo la morte del padre, a François Martin, tramite un accordo prematrimoniale che Catherine aveva inizialmente accettato. Ella aveva inoltre accettato un regalo dal promesso sposo e dichiarato pubblicamente che si sarebbe fidanzata con lui. Al momento, però, della promessa di matrimonio Catherine si era rifiutata di dare il suo assenso annullando così il matrimonio.

Subito François intentò una causa contro Catherine per aver rotto la promessa di matrimonio. L’avvocato della giovane la giustificò affermando che le promesse fatte in precedenza erano state fatte sotto minaccia e che razionalmente era impossibile che la ragazza volesse sposare François dato che egli era impotente. Anche l’amica di Catherine, Edmonne, testimoniò che la ragazza non aveva intenzione di celebrare il matrimonio e che in particolare la madre l’aveva minacciata che non avrebbe più provveduto al suo mantenimento. La risposta tenace di Catherine era stata: «Sta bene, mamma, sarò felice di fare la domestica, e se non mi permetterete di andare a servizio, preferirei che mi uccideste piuttosto di sposare quell’uomo, e vi perdonerò».

Non sappiamo, però, come andò a finire l’episodio di Catherine. Avrà avuto la meglio la volontà della ragazza o quella della madre?

Questa vicenda ci fa riflettere su come sia importante ricordarsi che molte delle cose che noi oggi diamo per scontato come la parità dei diritti tra i due sessi e la libertà religiosa, per citare due esempi notevoli, sono state conquistate, lottando, da ”piccoli eroi” dimenticati.

Beatrice Bonelli, Alessandro Luberto

Trasporti nell’antico regime

Nel XVIII secolo spostarsi era un problema: i mezzi di trasporto erano molto lenti e le vie di comunicazione erano pericolose, impervie e poco praticabili. Il mezzo di trasporto, o meglio, gli animali da trasporto erano gli equini. Comunque la maggior parte dei trasporti avveniva via mare con navi che potevano trasportare le merci più velocemente ed in maggior quantità. Per questi problemi di spostamento il commercio non era favorito e quindi era abituale l’autoconsumo che comportava così lo scambio di merci, il baratto, solo nei paesi vicini.

Ovviamente le difficoltà nello spostamento creavano problemi nella gestione di un grande regno: i messaggeri per portare informazioni alle periferie di esso dovevano percorrere centinaia di chilometri e ciò impiegava loro molto tempo e l’utilizzo di diversi cavalli. Questo determinava il ritardo delle comunicazioni e i messaggi all’arrivo potevano essere ormai inutili e obsoleti. Le conseguenze di questi problemi rendevano difficile la formazione di complessi politici durevoli e la creazione di grandi imperi: per esempio l’Italia in questi anni era divisa in una decina di piccoli stati anche se, a differenza del nostro paese, la Francia,  l’Inghilterra e la Spagna erano già uniti sotto il controllo di un re e molto espansi territorialmente.

Ora la situazione è molto diversa. I trasporti grazie alla tecnologia sono in continuo miglioramento e ci permettono di percorrere lunghe distanze in poco tempo. Così le comunicazioni sono molto più veloci ed efficienti. I mezzi usati principalmente ai nostri giorni per i trasporti sono le navi, i treni e gli aerei che ,eccetto le navi che ora sono di gran lunga migliori, non erano presenti in quei tempi ed ora possiamo beneficiare di ciò grazie ad un continuo sviluppo della tecnologia.

Catherine portavoce dei diritti delle donne

Nel Settecento, come anche nelle epoche precedenti, all’interno della famiglia il ruolo del marito era quello di fornire un riparo e provvedere al mantenimento della prole e della sposa.
L’uomo pagava le imposte e rappresentava la famiglia di fronte alla comunità. Il dominio della moglie restava invece sempre interno al nucleo domestico. Le donne dell’alta società erano le padrone della casa, dirigevano la servitù, e si occupavano delle proprietà di famiglia.
Il Settecento vide quindi, per quel che riguardava le classi agiate, un aumento della sfera di influenza delle padrone di casa, sulla gestione dei beni. Questo avvenne poiché era ritenuto che la dignità della moglie rappresentasse una conferma della posizione sociale del coniuge.
Anche nelle classi meno abbienti, come quelle dei fattori, il ruolo della moglie, nella famiglia, aumentò di importanza. In genere, però, per quanto l’opera di una moglie fosse ritenuta importante per la prosperità della famiglia, il suo lavoro non veniva mai valutato in termini economici.
Il Settecento vide anche l’incremento delle industrie familiari, e quindi del lavoro femminile all’interno della famiglia. In questo secolo, però, il crescente aumento della produzione, richiedeva anche lunghi ed ingenti spostamenti della forza lavoro maschile. Nei periodi di assenza del capofamiglia, erano le mogli ad occuparsi delle eventuali proprietà o attività familiari. Ma l’assenza dei mariti poteva anche durare per anni, in quei casi, le mogli potevano assumere la responsabilità dell’azienda.
Nel Settecento le giovani ragazze erano costrette dalla famiglia a sposarsi contro la propria volontà per far fronte alle difficoltà dovute a lutti o perdite. Un esempio fu il caso di Catherine Gent (1529), fanciulla che, sotto minaccia, approvò il fidanzamento con François Martin. Per celebrare le nozze mancava solo l’assenso definitivo di Catherine, ma non arrivò mai.
Il motivo per cui Catherine Gent subì tante pressioni è che la giovane aveva effettivamente la facoltà di rifiutarsi di sposare Martin. Questa libertà però era limitata dalla differente considerazione uomo-donna nell’ambito familiare, tuttavia la società europea in cui viveva Catherine, per quanto riguarda i diritti delle donne era molto più avanzata delle altre società e culture del tempo nel resto del mondo.

Sara Peruffo, Giulia Guzzo