Il potere della parola

Credo che la parola abbia un grande potere. Essa è in grado di suscitare forti e differenti emozioni in ognuno di noi, ma è anche capace di  stravolgere le nostre menti ed ipnotizzarle.
Vi sono cose, però, più potenti della parola; il suo potere non è inarrestabile, né imbattibile.
Ciò che conta davvero sono le opinioni, le idee, i pensieri, ed è proprio a causa della carenza di essi che nasce l’ignoranza degli ascoltatori, i quali non fanno altro che farsi trascinare, coinvolgere. I bravi interlocutori sono in grado di stregare e convincere il pubblico con i propri elaborati discorsi, anche diffondendo idee spesso scorrette, ma solo con le parole non si arriva da nessuna parte. Non è possibile tentare di raggiungere un determinato obiettivo sfruttando esclusivamente la propria capacità dialettica; bisognerebbe possedere anche coscienza, conoscenze e capacità.
Ciò che è realmente importante sono i fatti, l’effettiva realizzazione di ciò che si è detto. Credo che non tutti gli ascoltatori siano stupidi e facilmente condizionabili; non tutti si lasciano attrarre dalla magia della parola.
Le uniche armi in grado di sconfiggere la potenza di questa grande dominatrice sono la conoscenza e la sicurezza di conoscere.

La creazione dell’uomo

C’erano in principio la terra, l’acqua, il sole e la luna. Ognuno di essi svolgeva un ruolo molto importante per il pianeta: La terra nutriva le piante e gli animali, l’acqua li dissetava, il sole li scaldava e la luna li illuminava anche durante la notte. C’era, dunque, un legame molto forte tra gli esseri viventi  e queste entità. Un giorno però un terremoto uccise quasi tutte le specie viventi sul pianeta. Allora le quattro entità rimaste praticamente sole decisero di creare una nuova specie in attesa che gli animali ritornassero alla vita. Così il sole donò uno dei suoi raggi, la luna un po’ della sua polvere, la terra promise che lo avrebbe nutrito e l’acqua che lo avrebbe dissetato. Così’ nacque l’uomo dall’unione dell’amore di queste entità e, dal momento della sua nascita,  le piante cominciarono a ricrescere e gli animali si svillupparono molto piu’ in fretta. Fu così che sole, luna acqua e terra compresero che grazie alla nascita  dell’uomo si era creato anche  il ciclo naturale e grazie a ciò tutte le forme di vita vivranno per  sempre in armonia tra di loro.

La vita del Re Sole: uno “spettacolo reale”

Reggia di Versailles
Reggia di Versailles

Durante il periodo della monarchia di Luigi XIV, la vita del re veniva ostentata come un vero e proprio “spettacolo” di corte.
L’intrattenimento regale consisteva nel far assistere funzionari, familiari, nobili e aristocratici, al risveglio del Re. Le fasi di questa rappresentazione, definite entrées, venivano divise in sei momenti diversi, ognuno dei quali aveva un prestigio e una valenza differenti. I pochi “eletti”, che avevano la “fortuna” di poter assistere e partecipare a questi eventi così “prestigiosi”, acquistavano importanza solo per il fatto di servire e aiutare il re durante la sua quotidianità, questa importanza era però proporzionale alla fase a cui si assisteva. D’altro canto, se i pochi privilegiati, che partecipavano alle fasi più illustri, si sentivano importanti e quasi “migliori”, i più, esclusi in parte da questa elitè, covavano invidia verso i primi ed esercitavano forti pressioni alla corte per entrare nelle “grazie” di Luigi XIV. Tuttavia poiché anche quelli appartenenti al rango più elevato potevano essere sostituiti in qualsiasi momento in base ai capricci del re, gli intrighi e le tensioni interne erano sempre più frequenti e accese. Il tutto faceva in modo che a palazzo non vi fossero rivelazioni spontanee di affetto, e che l’atmosfera “reale” fosse caratterizzata da tensione e competizione.
Il tutto ci porta ad identificare la vita del Re Sole non più come una vera e propria vita ma come uno spettacolo nel quale ogni partecipante è in lotta con gli altri per il ruolo di protagonista principale.

Albanese Eleonora, Di Giovanni Adriano, Giangregorio Noemi della 4B

Stranieri a casa nostra?

Leggo il frammento di Empedocle:

Son già stato, infatti, fanciullo e fanciulla
e arbusto e uccello e muto pesce del mare.

Ho ben preparato la citazione. Capiscono tutti e fanno anche i collegamenti opportuni. Parlano di Induismo e di Buddismo. Io richiamo i pitagorici, Platone e l’antroposofia steineriana.
Per pura prudenza, chiedo in che cosa credono, invece, i cristiani.
Panico improvviso, consultazioni. Poi si rassicurano: i cristiani credono alla resurrezione delle anime. Qualcuno precisa: delle anime, non dei corpi.

Stranieri a casa nostra?

L’inferno delle trincee

Trincea inglese 1916
Trincea inglese 1916

Durante la Prima Guerra Mondiale si ricorse spesso alle trincee, come sistema difensivo nelle guerre di posizione: un fossato più o meno profondo, scavato al momento nel terreno, che veniva utilizzato anche come rifugio. Era la tattica necessaria per aumentare le probabilità di sopravvivere, ma se riuscivi a non morire, era come vivere in un inferno.

Le condizioni igieniche erano indecenti: per soddisfare i bisogni fisiologici era presente una buca, nelle vicinanze della trincea, che nei giorni di pioggia si trasformavano in qualcosa di osceno (basta solo immaginarlo per crederci!); altre volte, era la trincea stessa a diventare una latrina. I vestiti utilizzati dai soldati erano gli stessi per settimane, pulci e pidocchi non tardarono a trovare nuovi ‘amici’. Spesso, inoltre, gironzolavano topi o altri animali, che infastidivano i soldati rosicchiando attrezzature e cibarie; come se non bastasse, una delle condizioni peggiori, era dettata dal clima, sia che fosse caldo o freddo, che ci fosse vento o piovesse.

L’idea della morte assillava i soldati giorno e notte, erano obbligati a conviverci: bombardamenti dell’artiglieria, attacchi nemici e soprattutto assalti diretti alle trincee dei nemici. Ora sei vivo, ora hai una pallottola nel petto. Questi soldati sono persone come noi; hanno paura, sono nervosi, stressati, magari vengono presi da attacchi di vomito o di diarrea, alcuni hanno crisi di allucinazioni e trovano l’unica soluzione nel suicidio. Ma allora perchè combattere?

Molti studiosi individuano una ragione nel patriottismo, nel sentimento nazionale; un altro motivo che spingeva i soldati ad andare avanti era la solidarietà tra le piccole unità combattenti. Ma siamo sicuri che i soldati non fossero semplicemente obbligati a combattere dai loro comandanti? Dobbiamo tenere conto che spesso disertare significava essere fucilati dal proprio ufficiale, che – secondo varie testimonianze – si posizionava dietro la truppe con il compito di “serra-fila”, proprio per giustiziare chi voleva defilarsi. anche se un soldato fosse riuscito a scappare, probabilmente non avrebbe trovato rifugio nemmeno in famiglia; disertare non significava solo umiliare la propria famiglia, ma anche ridurla in miseria!

Movimento Operaio: origini differenti ma uniti in opposizione alla Prima Guerra Mondiale

Il termine “movimento operaio” sta a indicare l’insieme delle organizzazioni (sindacali, politiche, cooperative, assistenziali e culturali) che accolgono, rappresentano e promuovono gli interessi dei lavoratori salariati. Esso accompagnò la nascita dell’organizzazione sociale del lavoro avviata con la Rivoluzione Industriale in Inghilterra tra la fine del Settecento e gli inizi dell’Ottocento e quindi diffusa in Europa occidentale e negli Stati Uniti.
Il movimento operaio ebbe sempre forti caratteristiche nazionali.
Corteo che inneggia al potere operaioLe prime organizzazioni avevano prevalente carattere di tutela sindacale e di mutuo soccorso, ma dovettero in primo luogo battersi per lo stesso diritto di associazione.
Le rivoluzioni del 1848 (nelle quali si schierò in prima fila il proletariato urbano, ancora in gran parte disorganizzato) portarono alla nascita del socialismo scientifico, che per primo volle dare coscienza di sé, capacità organizzativa e fini universali agli operai “in quanto classe” (distinti cioè dal resto della società e contrapposti alla classe capitalistica detentrice del potere economico e politico).
Da quando questo programma diede vita alla Prima Internazionale (1864), col termine “movimento operaio” si intesero prevalentemente le organizzazioni di ispirazione anarchica e socialista. Si creò in tal modo una grave confusione tra definizione di “movimento operaio” fondata sul radicamento sociale (il lavoro salariato in quanto tale) e definizione fondata sull’ispirazione ideologico-politica. Questa confusione fu in seguito fonte di atteggiamenti settari e di gravi contrapposizioni all’interno del movimento internazionale e di ciascun paese, divisosi in tronconi distinti a seconda delle basi culturali e delle finalità politiche perseguite.
Già la Prima Internazionale, dopo la sanguinosa prova della Comune di Parigi (1871), finì per sciogliersi proprio a causa delle divergenze tra anarchici e socialisti.
In ciascun paese in realtà sorgevano organizzazioni sindacali e assistenziali anche al di fuori di questo filone, soprattutto per iniziativa del cosiddetto socialismo cristiano e delle Chiese: nacquero così, per esempio, la YMCA (Young Men’s Christian Association) in Gran Bretagna e gli Istituti di Bethel negli anni settanta in Germania.
In quel periodo anche in Italia, oltre alle Società di mutuo soccorso laiche, sorsero, grazie all’opera dei congressi, quelle di matrice cattolica. Ma ciò che soprattutto distingueva i due filoni principali del movimento operaio era che quello cristiano perseguiva scopi esclusivamente assistenziali e caritativi, senza mettere in discussione l’ordinamento della società, mentre nel filone socialista prevalevano i fini sindacali e politici di partecipazione collettiva sia alla lotta per l’emancipazione del lavoro sia, soprattutto, per la partecipazione al potere politico.
Questa connotazione “di classe” si espresse nella creazione dei partiti socialisti prima e dopo la nascita della Seconda Internazionale. Essa fu nettamente controllata dal Partito Socialdemocratico tedesco, modello di organizzazione di massa capace di incidere profondamente sulle condizioni di vita civile dei lavoratori, mentre sui rapporti di forza con gli imprenditori esercitavano il loro determinante peso i liberi sindacati socialisti.
Mentre il Partito operaio socialdemocratico russo era costretto a nascere in clandestinità e a esercitare solo una ristretta influenza, in Francia il Partito operaio e  il Partito Socialista Rivoluzionario si fusero e la Confederazione Generale del Lavoro raccolse in un’unica organizzazione le varie associazioni.
Analogo processo diede vita in Italia al Partito Socialista Italiano e alla Cgl, mentre su ampie fascie di lavoratori una forte incidenza veniva esercitata dalla dottrina sociale della Chiesa, alla quale si ispirarono i sindacati cosiddetti “bianchi” sia in Francia che in Italia, nonché la Internazionale Cristiana del 1908. Quarto Stato, Pellizza da Volpedo
Molto diverso in Gran Bretagna fu lo sviluppo del Trade Union Congress, che raggruppò diverse leghe sindacali (le quali però mantennero gran parte della propria autonomia) del partito laburista, che a sua volta era federazione sia di sindacati, sia di gruppi politici a carattere locale.
Ancora più difficile e contrastato fu il processo di organizzazione negli Stati Uniti: alle differenze ideologiche e professionali si sovrapponevano,  spesso ancor più gravi e volutamente approfondite dalla propaganda padronale, le differenze etniche e culturali. Vari furono i tentativi di unificazione che lasciarono il passo all’American Federation of Labor (nato nel 1886), organizzazione sindacale tesa alla difesa delle aristocrazie operaie anglosassoni. Un’organizzazione politica di stampo “operaio” con pretese “di classe” non riuscì però mai a decollare.
Ogni partito dunque aveva alle spalle una storia differente ma ciò che unificò ampiamente il movimento operaio da uno stato all’altro fu la Prima Guerra Mondiale: l’opposizione a un conflitto di così vaste proporzioni crebbe in tutti i paesi coinvolti e assunse spesso carattere di sollevazione popolare.
Negli anni immediatamente precedenti la guerra, la Seconda Internazionale Socialista prese posizione contro un evento considerato estraneo agli interessi del proletariato e voluto dai capitalisti per portare avanti i loro progetti imperialisti. A livello locale prevalsero le ragioni degli interessi nazionali rispetto a quelle dell’internazionalismo operaio, perciò nel 1915 i socialisti pacifisti organizzarono una conferenza internazionale in Svizzera dove si ribadì con forza la condanna alla guerra e si propspettò l’idea di trasformare la guerra in rivoluzione proletaria. Questa tesi fu supportata soprattutto dal socialista russo Lenin, nel cui paese si arrivò persino all’abbandono di massa del fronte, seguito nel 1917 dalla Rivoluzione d’Ottobre.

Italiani brava gente?

Da sempre potenze come la Spagna, il Portogallo e l’Inghilterra si sono affermate come protagoniste nello scenario coloniale. Al contrario di questi paesi l’Italia non ebbe mai lo stesso successo:  i suoi tentativi di conquista coloniale non sempre andarono a buon fine.
Il caso della Libia dimostra le difficoltà che l’Italia ha storicamente incontrato nei suoi progetti di espansione. Nell’ottobre del 1911 inizò il bombardamento da parte delle navi italiane di Tripoli, permettendo l’occupazione della città senza eccessivi problemi. La popolazione restò infatti tranquilla, permettendo agli italiani di assumere un atteggiamento paternalistico nei confronti dei conquistati, atteggiamento dovuto ad una profonda ignoranza nelle conoscenze delle tradizioni libiche. Poco dopo, infatti, scoppiò una rivolta della popolazione che si trovava nel territorio occupato dagli italiani: l’esercito italiano subì molte perdite poichè nessuno mai si sarebbe aspettato una reazione così violenta. La risposta dell’esercito italiano non si fece attendere: i soldati incominciarono ad uccidere e a colpire la popolazione in modo indiscriminato e chi non fu giustiziato fu deportato in carceri italiane.
A questo punto il governo italiano decise di cambiare tattica, proclamando innanzitutto la sovranità italiana sulle province turche, la Tripolitania e la Cirenaica. Successivamente, anzichè continuare l’attacco alla Libia spostò il conflitto in Turchia. Il governo ottomano, preoccupato per un possibile intervento italiano sul proprio territorio, avviò le trattative di pace e il ritiro delle truppe turche indebolì i libici.
Le repressioni delle rivolte libiche da parte del governo italiano continuarono anche durante il periodo fascista, in cui l’Italia impiegò per la prima volta mezzi aerei all’avanguardia.
La resistenza libica durò fino il 1930 quando Pietro Badoglio, governatore della Libia, decise di occuparsi personalmente del problema e deportare migliaia di libici in campi di concentramento.
In nessun’altra colonia la repressione italiana ha assunto le dimensioni di quelle libiche; i tanti massacri e b0mbardamenti non confermano quindi il presunto buonismo del colonialismo italiano rispetto a quello delle altre potenze europee: la storia conferma infatti che non sempre gli italiani sono brava gente.

Libici ribelli impiccati

Stacanovista: le origini

Stachanov in miniera
Stachanov, al centro, parla con un suo collaboratore.
Quante volte ci è capitato di sentire la parola “stacanovista” senza sapere da cosa significhi esattamente oppure da dove derivi.

Per chi non lo sapesse il termine si riferisce a coloro che dimostrano una dedizione al lavoro fuori dal comune. Il termine venne coniato nei primi anni del ‘900 quando, in Russia, nacque il movimento Stacanovista che aveva come scopo quello di aumentare la produttività razionalizzando il lavoro. Il movimento, a sua volta, prendeva il nome dal minatore sovietico Aleksej Grigoriyevich Stachanov, “Eroe del Lavoro Socialista”.
Divenne una celebrità per aver ideato un nuovo metodo di estrazione del carbone basato sulla cooperazione dei minatori: Stachanov stesso si occupava del taglio del carbone che veniva poi trasportato sui carri dai suoi compagni. In questo modo, il 31 agosto 1935, stabilì il record di maggior quantità di carbone estratto in un turno di lavoro (120 tonnellate in 5 ore e 45 minuti).

Il governo sovietico diede enorme risalto ai metodi di lavoro di Stachanov che furono così adottati in altre miniere. In suo onore nell’Unione Sovietica il 31 agosto divenne il “giorno del minatore di carbone” e nel 1978 la città ucraina di Kadievka prese il nome di Stachanov.

Questa vicenda ebbe un così grande risalto tanto da ammettere il termine “stacanovista” nel nostro vocabolario moderno.

Cause culturali della prima guerra mondiale

Gavrilo Princip è stato un rivoluzionario bosniaco, autore dell’attentato di Sarajevo contro l’arciduca Francesco Ferdinando d’Asburgo, erede al trono dell’Impero austro-ungarico. Questo attentato era stato organizzato dalla Mano Nera, una società segreta serba, che si poneva come obiettivo quello di riunire tutti i territori con popolazioni slave in un unico stato; tuttavia Bosnia ed Erzegovina appartenevano all’Impero austro-ungarico. Eppure Francesco Ferdinando era il principale sostenitore del trialismo, ovvero di quel progetto che avrebbe voluto riunire le terre slave dell’Impero sotto una terza corona accanto a quella tedesca e magiara (ungherese). L’organizzazione terrorista panslavista decise comunque di ordinare l’assassinio del futuro imperatore.
Questo avvenimento viene considerato la causa occasionale della prima guerra mondiale. Infatti i motivi profondi furono altri e di vario genere: politici, economici, militari e culturali. Prendiamo in esame questi ultimi; sicuramente giocò un ruolo fondamentale la diffusione del nazionalismo (concezione che affonda le sue radici nella Rivoluzione francese) con cui si indica quell’ideologia che sostiene l’affermazione della nazione come collettività depositaria del patrimonio culturale e dei valori tradizionali e nazionali.

Un’altra causa sono le tesi razziste riguardanti la necessità di salvaguardare l’identità nazionale. Inoltre in questo periodo il darwinismo veniva applicato ai conflitti tra gli stati: si riteneva che la guerra rappresentasse la lotta per la sopravvivenza come avviene  in natura secondo le teorie di Darwin. Anche i giovani ritenevano che la guerra potesse essere uno strumento utile alla loro realizzazione personale e che rappresentasse l’unica possibilità di cambiamento della situazione sociale e politica.

Infine come ultima causa bisogna prendere considerazione la sottovalutazione della guerra stessa; l’Europa infatti usciva da un secolo di pace (1815-1914) garantito dal congresso di Vienna che stabilì due principi da seguire: quello di legittimità e quello di equilibrio. Il primo legittimava il ritorno dei sovrani ai corrispondenti troni dopo la caduta di Napoleone; il secondo si poneva come obiettivo quello di evitare la prevaricazione di uno stato rispetto ad un altro “equilibrando” le forze.

Arianna M. e Serena B.